LAVORI IN CORSO
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

      A quest'ora della notte il Nautilus, un american bar ubicato alla periferia della città, è affollato di clienti. Una densa nube di fumo, portatrice di strani odori, conferisce all'ambiente un'atmosfera irrequieta.
   Seduta su una sedia a trampolo, davanti al bancone della mescita, do ascolto alle parole che uno sconosciuto mi scodella addosso mentre sorseggio una birra scura. Stasera non sono capitata qua per cercare compagnia anche se attorno a me ci sono parecchie ragazze di mio gradimento. 
   - Il Nautilus è uno dei pochi locali in città dove si può conversare senza essere disturbati da una musica assordante. Sei d'accordo con me? - mi chiede.
   - La clientela del Nautilus è molto diversa da quella degli altri locali. Qui i clienti sono perlopiù gay e lesbiche e hanno tutti voglia di rimorchiare, sei d’accordo?
   - Beh, io non sono gay, però mi ci trovo bene qui.
   - Nemmeno io sono lesbica. - mento.
   - Ah!
   - Pensavi che la fossi?
   - No, beh, non lo so.
   - Ci vieni spesso al Nautilus?
   - Ogni tanto… mi piace l'atmosfera che si respira nel locale.
   - T'incuriosisce la gente?
   - E' uno dei pochi locali dove le persone non fingono di essere ciò che non sono.
   - Abiti in città?
   - Sì.
   - Dall'intonazione della voce deduco che non sei parmigiano. Vieni dal Sud, vero?
   - Vivo a Parma ormai da dieci anni e mi considero parmigiano d'adozione. Sbaglio a dire questo?
   - No, affatto.
   - Sono approdato a Parma dalla Calabria per frequentare l'università, dietro suggerimento di alcuni miei concittadini che già studiavano qua.
   - Ah!
   - Questa città mi è piaciuta da subito. Mi hanno conquistato le ragazze soprattutto. Bellissime, ma presuntuose come poche altre. Arrivando a Parma mi è sembrato di scoprire un universo nuovo. Mi sono trovato a vivere in maniera completamente diversa rispetto alla realtà dove sono cresciuto. L'ho sempre amata questa città, ma adesso viverci sta diventando sempre più difficile, non credi? 
   - Beh, anch'io come te sono venuta a Parma per studiare. La mia famiglia è di Roccabianca. Sai dov'è? Ci scommetto che se ti mettessi sotto il naso la cartina geografica della provincia di Parma non saresti in grado individuare il mio paese, vero? 
   - Beh.
   - Roccabianca è un paese della Bassa, con le case ammucchiate a ridosso dell'argine del Po. Un paese umido, perennemente a rischio d'inondazione, avvolto dalle nebbie durante i mesi invernali e investito da un sole cocente d'estate.
   - Non mi hai detto a che facoltà sei stata iscritta.
   - Ho conseguito la laurea breve in scienze infermieristiche, tre anni di studi per diventare infermiera professionale. In questa professione ci ho investito passione ed entusiasmo, ormai sono otto anni che lavoro in ospedale e mi sento realizzata perché dedico tutta me stessa agli altri.
   Mi guarda come fossi un'aliena, forse è rimasto sorpreso dalle mie affermazioni. Non posso fare a meno di costatare che bello lo è per davvero. Ha una carnagione scura, fisico asciutto, capelli lunghi a coprirgli le orecchie, e i suoi occhi sembrano penetrarmi. Deve essere dotato di un bel cazzo, penso, mentre mi perdo a guardargli le sopracciglia, assai folte, che ricoprono il margine superiore delle orbite. Agata, la ragazza con cui ho appuntamento, farebbe pazzie per guardarlo mentre scopa con me, ne sono certa, e non è detto che la cosa non possa accadere.
   - E tu che lavoro fai? - gli domando.
   - Sono laureato in giurisprudenza, ma sono in attesa di una definitiva sistemazione.
   - Ah.
   - Avevo scelto questa facoltà perché era mio desiderio laurearmi in breve tempo. In realtà mi sarebbe piaciuto fare il medico, ma non avrei mai potuto frequentare una facoltà così impegnativa e dispendiosa come quella di medicina.
   - Sono molti gli studenti che abbandonano l'università all'insorgere delle prime difficoltà. Il passaggio dal liceo all'università è un trauma per molti. La facoltà di medicina è una facoltà impegnativa, probabilmente una delle più difficili.
   - Io mi sono laureato cinque anni fa con 110 e lode e ancora vivo in una situazione di precariato. Non ti nascondo che con quello che guadagno ho persino difficoltà a mantenermi. Appena laureato non sarei riuscito a vivere in città senza l'aiuto economico dei miei genitori.
   - Non avevo idea che fosse così difficile trovare lavoro a Parma.
   - Se uno s'illude, come ho fatto io per lungo tempo, di trovare un posto di lavoro cercando di mettere a frutto la propria laurea allora sì.
   - Mentre studiavo per diplomarmi infermiera ho trovato un impiego a ore come baby-sitter. - lo interrompo. - E sai come l'ho trovato? Scorrendo le inserzioni su uno di quei tabloid a distribuzione gratuita che si recuperano nei locali pubblici della città. Guadagnavo poco più di 500 euro al mese e con quei soldi ci pagavo un posto letto nell'appartamento che condividevo insieme ad altre tre ragazze. Ricordo che risparmiavamo su tutto, soprattutto sul consumo dell'energia elettrica e sul riscaldamento dell'appartamento. Ci arrangiavamo mangiando pane e latte oppure cucinando piatti di pastasciutta. Rare volte ci prendevamo il lusso di cenare al Mc Donald's. Lì con tre euro riuscivamo a saziarci con un Big Mac e patatine fritte. E tu? A proposito qual è il tuo nome?
   - Marcello.
   - Il mio è Erika.
   - Bel nome davvero.
   Abbozzo un sorriso soddisfatta per avere ricevuto il suo apprezzamento. Lo seguo con gli occhi mentre s'impadronisce del bicchiere a calice che gli sta davanti, lo avvicina alle labbra, e sorseggia il Barracuda, una sorta di cocktail con cubetti di ghiaccio che il barman gli ha servito.
   - Adesso che lavoro fai?
   - Dopo essermi laureato ho cercato un lavoro che avesse attinenza con la laurea che ho conseguito, te l'ho detto no? Ma non l'ho trovato, dopo mi sono messo alla ricerca di un lavoro tramite le agenzie interinali. Ho dato la mia disponibilità per qualsiasi tipo di occupazione, avevo troppo bisogno di guadagnare e non potevo fare lo schifiltoso. Col passare del tempo ho abbandonato l'idea di fare il praticante nello studio di un qualsiasi avvocato. Ho cominciato a lavorare come operaio in una azienda che produce salumi distante alcuni chilometri dalla città. Era un progetto co.co.co. ed è durato otto mesi, finito quel lavoro ho fatto il rappresentante, dopodiché ho lavorato come bracciante agricolo raccogliendo pomodori e cipolle nei campi. In questi ultimi cinque anni ho fatto di tutto, proprio di tutto, e nel contempo non ho mai cessato di presentare domande e curriculum ad aziende e partecipare a concorsi pubblici riservati ai laureati, purtroppo senza ottenere apprezzabili risultati, ma solo promesse.
   - Io, invece, una volta conseguito il diploma d'infermiera sono stata assunta alle dipendenze dall'Azienda Ospedaliera. Dopo solo tre anni di lavoro sono passata a tempo indeterminato.
   - Sei stata fortunata.
   - Un po'.
   - Io invece sono sfigato!
   - Perché?
   - Beh, è chiaro che faccio parte di quella schiera, sempre più numerosa, dei lavoratori precari che il sistema considera manovalanza riciclabile, un po' come il vetro e le bottiglie di plastica. Mi capisci?
   - Non deve essere facile seguitare a vivere in questo modo.
   - Ormai siamo in tanti a sbarcare il lunario con lavori precari. Oggi qualsiasi laurea non ha più il valore di una volta. Un tempo forse lo aveva, adesso è solo un pezzo di carta.
   - E' terribile.
   - Lo so.
   - E il tuo domani come immagini che sia?
   - Vado avanti per inerzia, senza un futuro da costruire. Ho ventisette anni e seguito a vivere nella più assoluta incertezza. Te ne rendi conto?
   - Meno male che esistono le agenzie interinali che procurano lavoro a chi non lo ha, altrimenti sarebbe un guaio per i giovani.
   - Quelle? Ma sono un modello di caporalato, non lo sai? Sono la precarietà resa stabile.
   - Non lo sapevo. Quello che posso dire è che nel mio piccolo vivo una realtà di lavoro molto diversa dalla tua. Fare l'infermiera mi realizza e dà un senso alle mie giornate. Forse anche alla mia vita.
   - Non per molto, vedrai! Ormai nei posti di lavoro, anche in quelli più umili, c'è sempre più competitività, ma un tempo non era così, probabilmente anche nel tuo posto di lavoro prima o poi si arriverà a questo.
   - E' probabile, ma non sono in grado di fare dei confronti col passato. Non so come si lavorava in ospedale vent'anni fa.  
   - Mio padre ha lavorato in fabbrica per quarant'anni. Quando gli parlo di lavoro precario e di flessibilità mi guarda con aria di compatimento. Scuote la testa e racconta che c'è stato un tempo in cui dentro la fabbrica esisteva la solidarietà, l'aiuto reciproco, il sindacato era forte e c'era la fiducia di riuscire a costruire un mondo migliore. Adesso tutto è cambiato. La gente lavora anche sedici ore al giorno per aumentare il proprio reddito. La maggioranza lo fa perché ne ha bisogno, molti hanno il mutuo della casa da pagare, i figli da mantenere agli studi, ma c'è anche chi lo fa per comperare delle cose inutili, magari un nuovo modello di cellulare da cambiare a fine mese.
   - Hai ragione.
   - A proposito... Mi fai sapere qual è il tuo numero di cellulare che me lo segno. Magari uno di questi giorni ti chiamo e usciamo insieme a cena se ti va.
   - Mi spiace, ma non posseggo il telefonino.
   - Eh! Scherzi, vero?
   - Dico sul serio, che c'è di tanto strano?
   - Niente... niente. Il fatto è che il cellulare è un apparecchio di cui nemmeno io so fare a meno. Mi sembra strano che tu non lo abbia.
   - Se devo essere sincera lo considero uno strumento di consumo, non dico sia inutile, ma è stato caricato di un valore che non ha.
   - Parli come una di sinistra. La sei?
   - Cosa intendi per essere una di sinistra?
   Un gruppo di uomini e donne si affacciano al bancone davanti al quale io e Marcello siamo seduti. Il loro rumoreggiare viene a spezzare la conversazione che sto conducendo con il mio occasionale compagno e ne sono seccata.
   - Andiamo a sederci là.
   Marcello indica con lo sguardo un tavolo, lasciato libero da una coppia gay, in un angolo del locale alla mia destra, vicino a una finestra che dà sul cortile da cui s'intravedono le foglie e i rami di un albero.
   - Là potremo seguitare a conversare con più calma senza essere disturbati.
   - Sto aspettando un'amica. Siamo d'accordo che l'avrei attesa dinanzi al bancone della mescita, mi spiacerebbe se non si accorgesse della mia presenza quando arriva.
   - Non ti preoccupare da quel tavolo la vedremo arrivare se mette piede nel locale.
   - Va bene, dai, andiamo.
   Con il bicchiere di birra stretto nella mano attraverso il locale dinoccolando le anche mentre il mio occasionale compagno mi segue d'appresso.
   Il tavolo dove prendiamo posto ha il piano di marmo con striature rosa ed è sostenuto da un treppiedi in ferro battuto. Mi colloco con la schiena a ridosso della parete per controllare la porta d'ingresso del Nautilus nel caso Agata sopraggiunga, cosa di cui dubito visto il forte ritardo.
   - Dove eravamo rimasti? Ah, sì, prima ti ho chiesto se sei di sinistra e non mi hai risposto.
   - Non sono comunista, per niente, però mi considero di sinistra.
   - Non sono in contrasto le due cose?
   - Il comunismo è finito il giorno che è stato abbattuto il muro di Berlino. Non credi?
   - Sarà anche vero, ma questa sinistra che governa non mi rappresenta.
   - E' l'unica alternativa possibile a Berlusconi e ai suoi accoliti.
   - Ma per te cosa significa essere di sinistra?
   - Per me essere di sinistra vuol dire credere che un cambiamento delle attuali condizioni di vita delle persone sia ancora possibile. La vita non può essere circoscritta soltanto al consumo delle cose e alla competizione più esasperata, dove a prevalere sono sempre gli interessi di pochi e furbi. Credo che siano ancora validi i principi di solidarietà e giustizia sociale che mi hanno consegnato in dote i miei genitori, non credi?
   - Tutto il contrario del cinismo e l'ipocrisia dei valori che contraddistingue gran parte della gente di destra.
   - Mamma mia come sei radicale! La gente che sta a destra non è tutta brutta come la disegni tu. Sbagli a pensarla così, te lo assicuro.
   - Sono e resterò sempre comunista. Come mio padre che ha lavorato alla catena di montaggio di una fabbrica per una vita intera e morirà comunista. E' una stanchezza rabbiosa la nostra.
   - Capisco che tuo padre la pensi così, tu no, sei troppo pessimista.
   - Pessimista? Rispetto al passato il mondo del lavoro è cambiato in modo radicale. Le grosse fabbriche non esistono più, si sono spezzettate e hanno decentrato le loro attività. Il posto fisso è diventato una mera illusione, non esiste più. Nessuna impresa ha interesse ad avvalersi di lavoratori a tempo indeterminato, preferiscono fare ricorso a stipendiati con contratti flessibili in modo da diminuire i costi del lavoro.
   - Hai ragione! Anche dove lavoro, in ospedale, prima o poi, non ci saranno più infermiere a tempo indeterminato. La nostra azienda ospedaliera, come sta già succedendo in altri ospedali, in un prossimo futuro farà ricorso a personale infermieristico proveniente da cooperative, ne sono certa. Hanno già cominciato con appaltare i lavori delle pulizie e la gestione dei pasti ai ricoverati. Al più presto lo faranno con il personale amministrativo, poi sarà la volta degli infermieri e dei tecnici, per ultimi i medici anche se molti di loro lavorano già dentro e fuori l'ospedale.
   - Oggi chi lavora non è più tutelato, manca la sicurezza del posto di lavoro. Guarda il mio caso, ho vent'otto anni e vivo nell'incertezza più assoluta, senza tutela sindacale, in uno stato di ansia che mi lascia svuotato perché non so cosa può riservarmi il futuro.
   Sto per rispondergli quando mi accorgo della presenza di Agata che si è affacciata all'ingresso del Nautilus e si guarda attorno. Mi alzo in piedi e le faccio segno di avvicinarsi agitando la mano per richiamare la sua attenzione. Lei mi vede e attraversa la sala. Su di sé ha gli occhi dei clienti seduti ai tavoli, confusi dalle tette prive di reggiseno che ballonzolano e sembrano uscirle dalla camicetta sbottonata sul davanti.
   - Scusa per il ritardo, purtroppo sono incappata in un contrattempo in ospedale e non sono riuscita a liberarmi per tempo. Te l'ho detto una infinità di volte di procurarti un telefono cellulare, ti avrei avvertita del ritardo, invece.
   - Non importa. A proposito... ti presento Marcello con cui ho fatto conoscenza poc’anzi mentre ti aspettavo.
   - Piacere, Agata. - dice estendendo la mano verso l'uomo seduto di fronte a me. Marcello si alza in piedi e ricambia il saluto stringendole la mano.
   - Beh, ti è venuta qualche idea sul come trascorrere il resto della serata? - dico rivolgendomi alla mia amica che nel frattempo ha preso posto fra me e Marcello.
   - No, e a te?
   - Una certa idea ce l'avrei. - dico ammiccando con gli occhi, in modo allusivo, verso Marcello.
   - Ah! Credo di avere capito. - mi dà risposta Agata. - Che ne pensate se andiamo a scopare a casa mia? - propone producendo un certo imbarazzo sul volto del nostro ospite. - Che ne dici? Ti va di scopare con noi due insieme?
   - Eh?
   - Non sto scherzando, dico sul serio. Erika non ti ha detto che tipo di donna sono?
   - No, abbiamo parlato soltanto di lavoro per tutta la sera.
   - E non ti ha parlato di me? Nemmeno delle sue voglie?
   - No.
   - Non scandalizzarti, è soltanto un po' ninfomane. Scopa con chiunque le cerca la fica. Ma anch'io non le sono da meno, credimi. - le do corda mostrandomi entusiasta della proposta.
   - Mi state prendendo per il culo, vero?
   - No, affatto! - lo rassicuro - Non hai voglia di scopare con due donne contemporaneamente? Non dirmi che non lo hai mai fatto, eh!
   - Io...
   - Ci scommetto che ti è venuto il cazzo duro dopo avere ascoltato questa proposta. Dimmi la verità! - lo incalza Agata.
   - Anch'io penso che lo hai duro, vero? - dico reggendo il gioco che sta portando avanti la mia amica.
   - Dai, ragazze, smettetela di prendermi per il culo.
   - Non scherziamo! Vuoi che andiamo a scopare a casa mia o preferisci farlo qui? - lo incalza Agata dopo che si è alzata in piedi. - Ti va di scopare nel cesso? Lo fanno in tanti in questo locale, potremmo provare a farlo anche noi tre. Allora ti sei deciso?
   Il nostro ospite è sorpreso dalla strana proposta di Agata e rimane muto. Tutt'a un tratto sembra trovare la forza per rispondere, ma lo precedo e prendo la parola.
   - Andiamo via da qui, dai.
   Mi alzo dalla sedia, abbandono la tavola, e m'incammino verso l'uscita del locale.
   Ci ritroviamo tutt'e tre nel parcheggio all'ingresso del Nautilus. Marcello ci conduce alla sua automobile, una Fiat Panda dalla carrozzeria malconcia. Agata si accomoda sul sedile posteriore della autovettura e io prendo posto sul quello anteriore, accanto a quello del conducente. Marcello sale in macchina e accende il motore. Abbandoniamo il parcheggio e subito dopo ci ritroviamo a percorrere la Via Emilia.
   - Dove andiamo? - chiede Marcello.
   - A casa mia. - le fa eco Agata.
   - Ah! Bene, ma che strada prendo?
   - Vai dritto verso l'ospedale, abito in Via Cappelluti. Sai dov'è?
   - Sì, certo.
   Ci lasciamo alle spalle l'Arco di San Lazzaro e ci dirigiamo verso il centro storico. A quest'ora della notte la città trabocca di animali notturni che si muovono da un posto all'altro in cerca di una preda da catturare. La mia l'ho già catturata.
   - Devi sapere, Agata, che quest'uomo sa tutto sul precariato e la flessibilità nel mondo del lavoro, vero Marcello? -
   - Beh, quello che so è che dopo l'introduzione della cosiddetta legge Biagi viviamo in una situazione in cui è presente una frammentazione del lavoro e c'è molto precariato.
   - E il tuo cazzo ne ha risentito? Ce l'hai precario e flessibile anche lui o lo hai duro? Fammi sentire.
   Allungo la mano e gliela deposito sulla patta dei pantaloni. Marcello non si scosta, ma non dà risposta alla mia domanda. Incomincio a strusciare le dita sulla protuberanza che si eleva dal tessuto. Gli abbasso la cerniera e infilo la mano nella patta. Afferro il cazzo, solido come il ramo di una quercia, e glielo sfilo dalle mutande.
   - Ce l'hai bello duro, eh?
   - Dici?
   - Fammelo vedere anche a me. - dice Agata che si è sporta in avanti dal sedile posteriore per costatare come è fatto il cazzo che stringo nella mano. - Uhm... non c'è male, complimenti davvero! E' un bel cazzo.
   Sì, è un bel cazzo, e Marcello ne deve essere conscio perché sorride compiaciuto. Accarezzo la cappella certa che a Agata le sarà venuta voglia d'infilarselo in bocca, il cazzo. Seguito a stringerlo, compiacendomi del piacere che sto dando alla mia compagna, mentre sfioro la cappella con le dita.
   La Panda ha superato il Ponte delle Nazioni. Stiamo percorrendo Viale Piacenza e fra non molto raggiungeremo la casa di Agata. Ancora una volta condivideremo il corpo, il cazzo, il culo e la bocca dello stesso uomo. Ma più di tutto potrò godere del corpo di Agata, consapevole che per averlo sarò costretta a farmi inculare da Marcello, come è già accaduto in passato con altri uomini, perché è così che vuole lei.
   Quello che sto compiendo è un atto d'amore verso Agata, l'ennesimo. E glielo sto offrendo nel solo modo che lei sa esigere da me, con devozione e arrendevolezza. Sono asservita al suo volere, disposta a darle ciò che un'altra donna non saprebbe darle.
   La prima volta che mi ha proposto di fare sesso con uno sconosciuto, facendomi inculare davanti a lei, ho sentito il sangue ribollirmi nelle vene. Ho provato una profonda rabbia, ma ho camuffato lo svilimento che mi aveva preso senza tradire nessuna emozione.
   Stanotte, ancora una volta, andrò a fare sesso con un uomo davanti a Agata. Sono consapevole del controllo che esercita su di me, ma non so fare a meno di lei. Farmi scopare da un uomo con lei presente è l'unico modo che ho per possederla e anche stasera potrò abbeverarmi alla sua fica, domani non lo so. E' diventato tutto precario ormai.

 

 
 

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