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LA
CONFESSIONE
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Tempo
fa mi hai chiesto perché scrivo
racconti, ricordi? Nessuno lo aveva mai
fatto prima di te, anche se la medesima
domanda me l'ero posta anch'io a più
riprese. Scrivo per sconfiggere la
paura, ecco qual è la vera ragione per
cui scrivo.
La paura è una compagna
che mi porto appresso dall'adolescenza e
di cui non sono mai riuscito a liberarmi
del tutto.
Sulla tastiera del computer
digito lettere dell'alfabeto per
riempire il vuoto che mi circonda e
sentirmi meno solo. Se rimango senza
fare niente mi prende la malinconia, così
ho imparato a dribblare le mie paure
prodigandomi nello scrivere racconti. Mi
comporto allo stesso modo di chi, per
vincere le proprie inquietudini, occupa
il tempo lavorando ininterrottamente dal
mattino sino a sera, senza mai fermarsi,
perché stare impegnati, mantenendo
occupata la mente, aiuta a non pensare.
- Paura di che? - hai
domandato. - Paura di vivere. - ho
risposto.
Ero certo che non mi
avresti capito, siamo troppo diversi tu
e io, anche se le tue paure le taciti
ubriacandoti e riempiendoti il cervello
con sogni di fumo. Di diverso, fra noi,
c'è che non vuoi ammettere le tue
angosce, vero?
Entrambi abbiamo una
dannata paura di vivere, lo so bene.
Vivere vuole dire amare e né tu né io
sappiamo farlo. Siamo egoisti e
innamorati di noi stessi. Sostieni che i
miei racconti sono malinconici, può
darsi, probabilmente hai ragione, ma sei
davvero convinta che le storie che tu scrivi non lo siano altrettanto?
Ciò che entrambi troviamo
affascinante nello scrivere racconti sta
nella potenzialità che abbiamo
d'immedesimarci nei personaggi delle
storie che scriviamo, nella capacità di
saperle raccontare ed esserne
protagonisti in prima persona nel
momento in cui le scriviamo. Sono storie
che ci eccitano perché ne diveniamo
inconsapevoli mattatori. Ci piace
immedesimarci nei personaggi, nelle loro
storie e perversioni, e proviamo il
medesimo piacere che avvertono loro, sei
d'accordo?
Attraverso la scrittura
abbiamo l'occasione di essere finalmente
protagonisti e provare quelle sensazioni
che descriviamo nei racconti, perché
nella vita reale, quella di tutti i
giorni, non siamo in grado di realizzare
le storie di sesso e d'amore che
narriamo.
Infatti, nel momento in cui scrivo
un racconto mi è permesso di essere di
volta in volta, appassionato amante,
gay, lesbica, puttana, pederasta, single
o maritato. Non credi che tutto ciò sia
meraviglioso? Sono certo che la medesima
cosa succede anche a te, vero? Penso di
sì, non oso pensare che i tuoi racconti
siano autobiografici come invece
appaiono ai miei occhi quando li leggo.
Dici che scrivere racconti
erotici ti è utile per auto
analizzarti, che provi piacere nel
comunicare agli altri le emozioni che
provi quando fai l'amore. Io c'ho
creduto, ma non immaginavo fossi così
puttana come hai mostrato d'essere
quando ti ho conosciuta di persona.
Sei stata tu a prendere
l'iniziativa, ricordi? Fino allora
c'eravamo fiutati soltanto attraverso la
posta elettronica commentando
privatamente i nostri racconti, poi hai
insistito per volermi conoscere di
persona. Perché
lo hai fatto? Perché?
Quando alle due del
pomeriggio sono partito da Parma,
terminato il lavoro in clinica, avevo un
solo pensiero per la testa: scoparti! Le
lunghe ore di viaggio in autostrada
hanno affaticato il mio fisico. Ho
raggiunto Roma verso le otto di sera. Il
navigatore satellitare, in dotazione al
mio Bmw, mi ha guidato sino al luogo
convenuto dell'incontro. Senza
quell'infernale aggeggio elettronico non sarei mai
arrivato puntuale all'appuntamento. E
poi, per dirla tutta, per un provinciale
come me è stata una impresa non da poco
addentrarmi nelle strade trafficate di
Roma.
Ho raggiunto il luogo
dell'appuntamento con qualche minuto di
anticipo rispetto all'ora concordata. Ho
aspettato mezz'ora nell'abitacolo
dell’automobile prima che ti degnassi
di raggiungermi. Meno male che hai avuto
l'accortezza di avvertirmi sul cellulare
del tuo ritardo, altrimenti,
indispettito com'ero, sarei scappato
senza aspettarti.
Di te, prima di quella
sera, conoscevo l'età e le poche cose
che c'eravamo confidati nelle e-mail
scambiate. Non t'immaginavo così
carina, ma ero curioso di conoscerti
perché affascinato dalla
delicatezza dei tuoi scritti. Storie di
gente comune con cui hai saputo trasmettermi forti emozioni. Questo ti
aveva reso magica ai miei occhi e non è
cosa da poco se permetti. Quando
te l'ho raccontato in e-mail mi hai
detto:
- Perché non vieni a
trovarmi a Roma?
Non ho dato risposta al tuo
messaggio, ho preferito lasciare
trascorrere qualche settimana prima di
farlo. Durante questo lasso di tempo
sono andato a rileggere più di un tuo
racconto. Adesso, dopo che ti ho
conosciuto di persona, sono dell'idea
che sei molto diversa dalla romantica
ragazza protagonista dei tuoi racconti.
Spero di non offenderti se dico che sei
un po' troia. Ecco quello che
realmente sei. Ti senti offesa? Spero di
no.
Seduto davanti al volante
del Bmw sono rimasto ad ascoltare la
musica che usciva dai diffusori,
collegati al lettore di CD, mentre ero
in attesa del tuo arrivo, con la
macchina parcheggiata dinanzi al
ristorante dove c'eravamo dati
appuntamento. Sei comparsa forando il
buio della notte, illuminata dalla
flebile luce di un lampione, come solo
una dea può fare. Hai bussato al vetro
della vettura e ti sei rivolta a me
pronunciando il mio nome.
- Lorenzo?
- Sì. - ho risposto,
articolando a mia volta il tuo nome,
dopo essermi premurato di abbassare il
finestrino della portiera.
Sono sceso dalla vettura e
ci siamo scambiati una serie di
convenevoli baci sulle guance, dopodiché
mi hai preso sottobraccio e mi hai
condotto al ristorante.
- Come hai fatto a intuire
che c'ero io e non un altro nell'auto? -
ti ho chiesto una volta che abbiamo
preso posto a tavola.
- Dalla targa, cretinetto.
Su una delle due strisce azzurre c'è la
sigla PR.
Cazzo! Che figura da
imbranato che ho fatto. Ricordi? Ma
emozionato lo ero per davvero. Mica
potevo immaginare che mi sarei trovato
in compagnia di una donna bella e
seducente come te quando ho lasciato
Parma per raggiungere Roma.
- Mamma mia! Che erre
arrotata che c'hai! - hai commentato. -
Mi piace come parli. Fa tanto francese,
ma i parmigiani hanno tutti questo
accento?
Ho risposto di no, anche se
la cadenza con cui noi parmigiani siamo
soliti modulare le parole si
caratterizza per una accentuazione della
erre.
Il cameriere ci ha servito
un primo piatto di spaghetti bucati
conditi con ragù di carne, salsa di
pomodoro e spezie. A te avevo lasciato
il compito di fare le ordinazioni delle
pietanze e la scelta dei vini da
accompagnare alla cena.
Abituato a consumare un
vino leggero e frizzante come il
lambrusco, mi sono trovato a disagio nel
sorseggiare un chianti rosato come
quello che abbiamo bevuto.
Dopo pochi bicchieri ero già
brillo, ricordi? Sono rimasto stupito,
ma non troppo, quando l'estremità del
tuo piede si è insinuata fra le mie
cosce e hai cominciato a sfiorarmi la
patta dei pantaloni con l'alluce. Stavo
gustando una porzione d'agnello al forno
e per poco un boccone di carne non mi è
andato per traverso. Ho incrociato i
tuoi occhi e siamo rimasti a lungo a
fissarci mentre hai seguitato, ostinata,
a strisciare le dita del piede sul
tessuto delle brache.
Ero venuto a Roma anche per
scopare, ma non era il motivo più
importante, perlomeno per me. Mi ero
sobbarcato un viaggio di qualche
centinaia di chilometri animato dalla
voglia di conoscerti, ma ti avevo
immaginata meno puttana di quello che
hai mostrato d'essere.
A mezzanotte abbiamo
abbandonato il ristorante. Lo ricordo
bene perché hai dato una occhiata
all'orologio che tengo al polso mentre superavo
la porta d'uscita del locale.
- Ho un piccolo bilocale a
pochi passi da qui. Ti va di andarci? -
hai detto quando siamo giunti in
prossimità della mia auto.
Che domanda del cazzo.
Certo che mi andava, ero venuto da Parma
fino lì
per conoscerti e l'invito lasciava
presagire che la nostra conoscenza si
sarebbe arricchita di altre emozioni,
specie dopo il massaggio al cazzo che
avevi eseguito con la punta del piede.
Nel temperamento di tutte
le persone c'è presente una componente
sadica e masochistica e la cosa mi
sembra normale. Penso che una piccola
dose di sofferenza serva ad aumentare il
godimento. Ma esiste un tipo di
sofferenza che non è propriamente
fisica ed è quella di chi sa fare uso
delle parole o di un semplice gesto per
mettere in imbarazzo e umiliare l'altro.
Tu in questo sei maestra, vero?
Varcata la soglia della
mansarda mi sono ritrovato in un
appartamento che somigliava a una
palestra.
- E' una tua seconda casa, vero?
Quella in cui sei solita ricevere gli
amanti, è così?
- Accomodati nella stanza
da letto, torno subito. - hai detto
indicandomi la porta della stanza.
Sei sparita alla mia vista
e hai fatto ritorno dopo pochi minuti.
Quando sei riapparsa non indossavi
l'abito di qualche istante prima. Un
bustino in stile vittoriano, di pelle
nera, ti avvolgeva il tronco fino al
sottile perizoma che proteggeva il
triangolo di peli dell'inguine. Un paio
di guanti neri lunghi fino ai gomiti ti
coprivano le mani e gli avambracci. Ai
piedi calzavi stivaletti di cuoio neri,
dalle lunghe punte, guarniti con frange
e borchie lucenti che ti facevano
sembrare una cavallerizza.
Mi hai fatto stendere sul
letto e hai provveduto a spogliarmi. Le
tue mani mi hanno liberato degli
indumenti, lasciandomi completamente
nudo. Ti ho lasciato fare, eccitato dai
tuoi modi ridicoli, ma che di assurdo
non avevano niente.
- Fidati di me. - hai detto
mentre provvedevi a divaricarmi braccia
e gambe stringendomi polsi e caviglie
con dei legami che hai provveduto a
fissare all'armatura in ferro del letto.
Dopo avere allestito il campo su cui
avremmo dovuto battagliare sei andata a
sederti al bordo del letto, hai tolto i
guanti e hai iniziato ad accarezzarmi i
fianchi e l'interno delle cosce, poi hai
preso a baciarmi sulla bocca.
Se fino a quel momento
avevo giudicato i tuoi modi divertenti,
seppure abbastanza ridicoli, col
trascorrere dei minuti ho iniziato a
provare una strana eccitazione. Fremiti
di piacere hanno fatto sussultare il mio
corpo esplorato dalle tue carezze. Tu ne
eri compiaciuta, più di quanto ne
godessi io. Hai aperto la bocca e con la
punta della lingua hai iniziato a
leccarmi ogni anfratto. I muscoli hanno
cominciato a irrigidirsi come una corda
tesa. In quei frangenti ho sperimentato
un certo compiacimento per lo stato di
prigioniero in cui mi sono venuto a
trovare. Il cazzo mi pulsava a
dismisura, ma a te pareva non
importartene granché. Ne sei rimasta
lontana occupandoti invece delle altre
parti del mio corpo.
Hai cominciato a sfiorare
con le dita la superficie ricca di peli
del mio petto. Con la punta dei
capezzoli, sporgenti dal bustino di
pelle, hai sfiorato la mia bocca,
ripetendo il gesto più volte. Avrei
desiderato carpirli, stringerli fra le
labbra, e succhiarli, tu invece mostravi
un certo piacere nell'accrescere il
desiderio che mi stava divorando.
Ti ho supplicato più volte
di liberarmi. Avrei voluto seppellire il
cazzo nella tua bocca, ma tu hai
seguitato nella tua opera di
circonvenzione senza dire una sola parola. In
quel frangente mi sono reso conto che
l'immobilizzazione non serviva a vincere
la riluttanza di chi è legato e si
sente prigioniero, ma è una utile
risorsa che serve ad aumentare la
tensione erotica e incrementare
l'intensità dell'orgasmo.
Legato polsi e caviglie, in
completa balia del tuo volere, mi sono
sentito un prigioniero sessuale. Per te
era appagante tenermi incatenato al
letto delle torture, chissà quanti
uomini hai tenuto sdraiati sopra quel
giaciglio prima e dopo di me, vero?
A essere sincero il momento
più difficile della serata si è
rivelato quello iniziale, quando mi sono
trovato legato al letto, poi c’è
stato un crescendo di sensazioni, fino a
raggiungere il massimo della
sopportazione che ha fatto spazio a uno
stato di ebbrezza da non ritorno.
Hai iniziato a praticarmi
un tipo di masturbazione servendoti di
una piuma, poi hai proseguito con un
lavoro di mano abilissimo e lento. Le
sensazioni derivate da quei toccamenti
erano violentissime, quasi
insopportabili. Ho desiderato che
ponessi fine al più presto a quella
specie di tortura, invece hai proseguito
nella tua opera, imperturbabile,
eccitata più di quanto lo ero io.
Il dolore col passare del
tempo si è trasformato in piacere,
terrore e odio verso di te. Dopo quella
sera ho subito una metamorfosi e ora
subisco una infatuazione masochista.
Ognuno di noi ha un sogno
segreto nel cassetto, io avevo quello
sbagliato. Ho reso pubblica la nostra
storia perché sei stata tu a
ordinarmelo, quello che in cambio ti
chiedo è di farmi provare ancora un
volta le medesime sensazioni di piacere
che ho provato quella notte insieme a
te.
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