Uscendo
dal Garden Flower avevo subito notato la
presenza di una ausiliaria del traffico
ferma dinanzi alla mia Bmw. Manteneva il capo
chino sopra un blocchetto di carta su
cui faceva scorrere la biro di fretta.
Allungai il passo nella sua direzione
impedito nei movimenti dalla pianta
d'appartamento che tenevo stretta al
petto. Non sarei riuscito a farle
annullare il verbale di contravvenzione
che stava redigendo, ne ero certo, ma
perlomeno ero intenzionato a provarci comunque.
- Senta. - dissi cercando
d'impietosirla. - Sono rimasto dentro il
negozio del fiorista soltanto il tempo
necessario per ritirare questa pianta,
mica vorrà affibbiarmi una
contravvenzione, eh?
L'ausiliaria del traffico,
un tipo carino, dalla carnagione scura,
con i capelli raccolti a coda di
cavallo, nascosti sotto il berretto
della divisa, non diede seguito alle
mie lagnanze e seguitò a redigere il
verbale.
- Ho acquistato questa
pianta per farne dono a mia madre, oggi
è il suo compleanno e...
Nemmeno questa affermazione servì
a dissuaderla dal redigere il verbale.
Sistemai la pianta sul marciapiede e
rimasi in attesa che mi consegnasse il
foglio della contravvenzione.
- Quanto mi verrà a
costare?
- Trentacinque euro. -
disse evitando di sollevare il
capo dal blocco di carta.
- Il doppio del prezzo
della pianta. - obiettai con rammarico.
- Prima d'entrare nel
negozio doveva premurarsi di pagare il
ticket. La macchinetta che eroga i
biglietti per la sosta sta là, la vede?
- disse indicando l'apparecchio distante
una decina di metri. - Spendendo un solo
euro poteva sostare con l'automobile
negli spazi delimitati dalle strisce blu
per un'ora.
- Ha ragione, ma non avevo
spiccioli con me. Entrando nel negozio
ero convinto che ci sarei rimasto solo
pochi minuti.
- E invece?
- Ha pensato di farmi
questo regalo di trentacinque euro, eh?
- Così la prossima volta
impara a rispettare i regolamenti. -
disse alzando il capo dal blocco di
carta. - Trentacinque euro sono poca
cosa, il prezzo di una cena al
ristorante.
- Ecco, sì, brava, il
prezzo di una cena. Beh, allora potrebbe
stracciare la contravvenzione e
accettare un invito a cena, le pare?
Non diede risposta alla mia
proposta distratta dal concitato parlare
della sua collega che, poco più in là,
stava discutendo con un automobilista a
cui aveva contestato una infrazione per
divieto di sosta. L'uomo, un tipo
attempato, vestito con un abito gessato
scuro, stava reagendo alla notifica
della contravvenzione insultando la
poveretta, minacciandola con un pugno.
L'ausiliaria del traffico, per niente
intimorita dagli insulti che
l'automobilista le scaricava addosso,
era ferma davanti a lui e non faceva
opposizione alle continue provocazioni.
L'uomo sembrava avere perso
il lume della ragione. L'ausiliaria del
traffico con cui stavo intrattenendomi
corse in aiuto alla collega. Le andai
appresso, disinteressandomi della pianta
che lasciai incustodita sul marciapiede,
e presi le difese dell'altra vigilessa
mettendomi con il corpo fra lei e l'uomo
che seguitava a minacciarla.
Dopo una accesa discussione
il conducente scese a più miti consigli
e, seppure malvolentieri, ritirò il
foglio della contravvenzione, poi si
allontanò al volante della propria
automobile facendo stridere le gomme sul
selciato.
- La ringrazio per essere
intervenuto, ma la contravvenzione non
posso toglierla comunque, mi spiace. -
disse l'ausiliaria del traffico con cui
mi ero intrattenuto a parlare poco
prima.
- Non fa niente, pagherò.
Mi resta il rimpianto della cena, ma
l'invito è ancora valido.
- Ah, sì. - disse
scrivendo qualcos'altro sul retro del
verbale della multa prima di
consegnarmela.
- Beh, arrivederci, allora.
Spero di rivederla.
- In una situazione diversa
da questa. - disse dispensandomi un
sorriso.
Misi il foglio della
contravvenzione nella tasca della
giacca, raccolsi dal marciapiedi la
pianta e la sistemai sul sedile del Bmw,
poi mi allontanai.
Il foglio della
contravvenzione, tenuto ripiegato nella
tasca della giacca, mi capitò fra le
mani qualche giorno più tardi mentre
stavo uscendo da casa per recarmi al più
vicino ufficio postale per pagare la
multa. Soltanto allora, dispiegando il
foglio, mi accorsi che sul retro c'era
annotato un numero di telefono e un
nome: Chiara.
Senza perdere altro tempo
digitai il numero sul cellulare e rimasi
in attesa della risposta. Una voce
femminile mi avvisò che l'utente era
momentaneamente irraggiungibile. Quando
nel primo pomeriggio riprovai a comporre
il numero di telefono una voce femminile
rispose alla chiamata dopo un paio di
squilli
- Pronto!
Non diedi subito risposta
dando tempo alla donna di riprendere la
parola.
- Pronto!
- Buongiorno.
- Con chi parlo? - disse.
- Lorenzo.
- Lorenzo, chi?
- Sono quello a cui ha dato
la multa e l'ha invitata a cena,
ricorda?
- Ah! Sì.
- Ho trovato il suo numero
di telefono sul foglio della multa e mi
sono precipitato a chiamarla, ho fatto
male?
- No, mi fa piacere.
- Beh, allora che si fa?
Andiamo a cena?
- Gliel'ho detto, non posso
toglierla la contravvenzione. - disse
fingendo di non capire qual era il
motivo per cui l'avevo chiamata.
- Lo so, ma l'invito a cena
non ha niente a che fare con la multa.
- Ah, sì?
Parlavo e avevo il cazzo
duro per l'eccitazione. La voce
all'altro capo del telefono era
sensuale, molto sensuale.
- Beh, in quale ristorante
vuole che l'inviti a cena? - dissi.
- Va di fretta, lei.
- Che ne dice se ci diamo
del tu, eh?
- Va bene, sono d'accordo.
- Allora?
- Allora cosa?
- Quando andiamo?
- Dove?
- A cena. - dissi ponendo
fine al gioco.
- Non lo so.
- Stasera?
- Non perdi tempo, eh?
- No, mai.
Quella stessa sera andammo
a cena alla Vigna Rossa. Il locale
l'avevo scelto io, ed era un agriturismo
poco distante da Salsomaggiore.
L'azienda vinicola si
trovava sulla cima di una collina da cui
si scorgeva una magnifica vista
panoramica sulla Pianura Padana.
- Non ero mai stata a cena
qui, è bellissimo il posto.
- Sì, davvero, il panorama
che si gode di notte sulla pianura,
rischiarata dalle luci delle città e
dalle strade illuminate dai fari delle
automobili, è stupendo.
Prendemmo posto a un
tavolo, sedendoci uno di fronte
all'altra, sotto un porticato il cui
tetto era formato dai rami rampicanti,
di alcune piante vitacee, da cui
pendevano grappoli d'uva non ancora
matura.
- Non mi hai ancora detto
che mestiere fai. - chiese quando il
cameriere portò in tavola un piatto di
riso al basilico.
- Tecnico di laboratorio.
- E che è?
- Lavoro all'ospedale ed
eseguo analisi del sangue.
- Interessante, se ne avrò
bisogno saprò a chi rivolgermi.
- Sì, certo, e tu perché
hai scelto di fare la vigilessa?
- Ausiliaria del traffico,
prego! Non confondiamo le due cose.
- Scusa.
- Ma scherzo, dai.
- Stare per strada tutto il
giorno e ricevere offese dagli
automobilisti non deve essere molto
gratificante.
- Ormai ci ho fatto il
callo alle ingiurie.
- Intendi seguitare a fare
questo mestiere per molto tempo?
- Non lo so. Una volta
conseguita la maturità scientifica mi
ero iscritta all'università, ma ho
cessato di frequentarla dopo due anni.
Lo studio non fa per me.
- Beh, di positivo c'è che
il lavoro ti ha resa indipendente dalla
famiglia.
- E' vero. E' un tipo di
occupazione che mi lascia mezza giornata
libera.
- Hai un secondo lavoro?
- No, affatto! Detesto chi
è schiavo dei consumi e si sbatte da un
posto all'altro per fare soldi.
- E allora cosa desideri
dalla vita?
- Qualcuno che sappia
apprezzarmi per quella che sono.
- Bella la sei davvero.
- Non intendevo questo.
- Lo so, ma volevo dirti
che sei molto bella.
Chiara chinò il capo e non
diede seguito alla mia affermazione.
Avvicinò la forchetta alla bocca
ingerendo del riso in tutta fretta. Non
ci mise molto a ripulire il fondo del
piatto dopo avere asportato ogni traccia
dei chicchi di riso, dopodiché mi
chiese se avevo una donna.
- A essere sincero credo di
non avere molta predisposizione amorosa.
- Perché no?
- Penso che per essere
amati da qualcun altro occorre
soprattutto amare molto se stessi.
- E' vero, hai ragione.
- Beh, io non mi sono mai
piaciuto, già da bambino pensavo di non
essere desiderato.
- Sbagli, mi sembri una
persona molto bella dentro. Ho appezzato
il tuo gesto quando sei intervenuto in
difesa della mia collega.
- Lo avrei fatto per
chiunque.
- Non tutti gli uomini lo
avrebbero fatto, te lo assicuro.
- Dici?
- Sì.
A mezzanotte eravamo in
giro, mano nella mano, per le strade di
Salsomaggiore affollate di turisti.
Durante tutta la sera non smisi un solo istante
di adularla per ottenere i suoi favori,
riempiendola di attenzioni, perché
bella e simpatica la era per davvero.
- Ci sediamo a un tavolo. -
dissi.
- Vuoi rimanere tutta la
notte a Salsomaggiore? - rispose
stupendomi non poco.
-
Beh, non so.
Mezzora
più tardi eravamo distesi sul letto
della mia abitazione. I baci che prima
d'incontrare Chiara avevo scambiato con
altre donne furono il metro con cui
misurai l'intensità di quelli che
scambiai con lei, ed erano davvero
favolosi.
- Hai mai fatto l'amore con
una donna fino a farle perdere i sensi?
- disse lasciandomi stupito.
- Non penso, ma se è
accaduto non me ne sono accorto.
- Allora voglio che mi
mandi in coma perché mi piaci da
morire.
Il corpo di Chiara era di
una bellezza senza uguali. Si liberò
delle mutandine di pizzo e del reggiseno
e rimase nuda sul letto. La pelle
imperlata di sudore tradiva una forte
eccitazione. Attraversai le sue labbra
con la punta della lingua e proseguii a
penetrarla scuotendola di brividi in
tutto il corpo. Dalle nostre bocche
uscirono dei lunghi gemiti
di piacere. Avevamo il respiro in
affanno mentre stringevamo le braccia
intorno al corpo dell'altro. Percepivo
le tette calcate sul mio petto e la cosa
era molto eccitante. Non resistetti a
lungo prima di toccarle. Calai le mani
sui capezzoli e cominciai a carezzarli
godendo del calore che stavo suscitando
nella mia compagna.
Mi scostai da Chiara e mi
trovai a guardarle le tette. Erano di
forma compatta con l'areola, di colore
bruno, piuttosto piccola e l'estremità
pronunciata. Affondai le labbra su di un
capezzolo e cominciai a succhiarlo con
avidità.
Mi ritrovai a stropicciare
con la mano l'altro capezzolo mentre con
la bocca raschiavo l'altro che mantenevo
stretto fra le labbra. Chiara mugolava
di piacere e insisteva nel dirmi che le
provocavo dolore a tormentarle i
capezzoli. Lei fece lo stesso con i miei
stropicciandoli con energia facendomi
avvampare di calore. Andammo avanti a
toccarci e carezzarci fintanto che si
mise cavalcioni sulle mie ginocchia e me
la ritrovai, semiseduta, che mi
accarezzava il petto. Allungai le mani
verso le tette e le sfiorai di nuovo,
stavolta carezzandole delicatamente,
smanioso di essere scopato.
Chiara sollevò le natiche,
afferrò il cazzo nella mano e lo
avvicinò alla fica. Lo tirò dentro di
sé spostandosi con il bacino in avanti.
La fica era bagna fradicia e la cappella
non trovò difficoltà ad andare sul
fondo della fessura. Cominciò a
dondolare le anche, mantenendo le
braccia appoggiate sul mio petto,
facendo leva con le mani mentre
oscillava il culo sul cazzo in modo
osceno.
Prigioniero degli
ondeggiamenti delle sue natiche sollevai
entrambe le braccia sopra il capo e
rimasi immobile a subire il furore della
sua scopata.
Venni dentro di lei con
largo anticipo rispetto alle mie
abitudini senza che Chiara raggiungesse
l'orgasmo, dopodiché rovesciai la bocca
fra le sue cosce e cominciai a leccarle
la fica.
Il suo corpo fremeva di
piacere al passaggio della lingua sulla
mucosa umida della vagina. Quando
cominciai a spompinarle il clitoride,
succhiandolo sino allo sfinimento, si
lasciò andare a delle grida di piacere.
Durante quei funambolismi una vampata di
calore le attraversò tutto il corpo.
Tutt'a un tratto si arricciò su se
stessa e col fiato rappreso ansimò di
piacere raggiungendo l'orgasmo.
Ci ritrovammo sdraiati uno
di fianco all'altra con il corpo
imperlato di sudore. La serata era
calda, da stare male, tutt'e due
sapevamo che ci saremmo messi insieme,
ma avevamo anche cognizione di come
verosimilmente sarebbe andata a finire.
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