D etesto
servirmi della metropolitana per
spostarmi in giro per la città. Lo
considero un posto sudicio e malsano,
dove potrei infettarmi entrando a
contatto con pidocchi e zecche. Sennonché
sono costretta a salire sulle carrozze
ogni giorno, al pari di migliaia di persone, per recarmi
sul posto di
lavoro.
Il sottosuolo della
metropolitana è un luogo talmente
infimo e degradato che mi mette paura.
Muovendomi negli intricati camminamenti,
scale mobili, e gallerie vengo
quotidianamente a contatto con un gran
numero di extracomunitari e clochard che
vi trovano rifugio; una ciurmaglia di
sbandati che sopravvivono in condizioni
di estremo degrado e scarsa igiene
personale. E' questa la ragione che mi
ha indotta a custodire nella borsetta
una boccetta di amuchina. All'occasione
me ne servo per lavarmi le mani quando
entro a contatto con gli arredi della
metro. So bene che non è granché come
metodo di prevenzione perché non mi mette
al riparo da germi e infezioni, ma
qualcosa devo pur farla se non voglio
contrarre malattie.
L'aria che si respira nella
metro abbonda di polveri ed è altamente
tossica. Sono costretto a respirare 'sta
merda due volte al giorno, per cinque
giorni alla settimana, anche se ne farei
volentieri a meno. A volte penso che
potrei morire soffocata respirando per
lungo tempo quest'aria putrida, invece
anche stasera viaggio su uno dei
convogli che mi porterà a casa.
Ho talmente schifo della
metro che a volte sarei tentata di
raggiungere il posto di lavoro in
automobile, anziché prendere posto su
uno di questi vagoni puzzolenti. L'unico
problema, se mai decidessi di mettere in
pratica questa soluzione, è che
impiegherei molto più tempo per
raggiungere il posto di lavoro a causa
del traffico caotico che impera sulle
strade di questa città.
La metro mi incute paura.
In ogni momento ho la sensazione che
potrei rimanere intrappolata nel
sottosuolo e non uscirne più. Stasera,
nello scompartimento, i sedili sono
occupati in prevalenza da
extracomunitari. Preferisco starmene in
piedi piuttosto che viaggiare seduta
accanto a gente di colore.
Questa mattina sono stata circondata da tre
zingare. Erano tutte giovani e
appestavano l'aria da fare schifo tanto
era forte la puzza dei loro abiti. Hanno
seguitato ad alitarmi in faccia la loro
puzza, mentre con la mano tesa mi
chiedevano l'elemosina. Impaurita ho
stretto al petto la borsetta che portavo
tracolla con tutta la forza che avevo in
corpo fintanto che, alla prima fermata,
sono scesa dalla carrozza, dopodiché ho
aspettato che giungesse il convoglio
successivo per riprendere la corsa verso
il posto di lavoro.
I tunnel mi danno il
batticuore. Preferisco di gran lunga
muovermi alla luce del sole evitando di
utilizzare la metropolitana, anzi, lo
farei anche adesso, nonostante la
giornata piovigginosa. Una sgradevole
sensazione di angoscia mi ha catturato
dal primo pomeriggio e sembra non abbia
nessuna alcuna intenzione di mollarmi
tanto presto. Spero soltanto che questo
stato di scoramento non duri troppo a
lungo perché vorrei tornare al più
presto a guardarmi l'ombelico.
*
* *
Stasera sono sola dentro casa. Sulla
città seguita a piovere. Distesa sul sofà, il
capo appoggiato su un cumulo di cuscini,
impilati uno sull'altro, sono in attesa di
una telefonata che tarda ad arrivare. Non
so darmi ragione di questo contrattempo e
la cosa mi fa arrabbiare. Con Francesco
siamo rimasti d'accordo che mi avrebbe
telefonato prima delle sette per recarci a
cena. Sono le nove e ancora
non si è fatto vivo.
Osservo le gocce di pioggia
che picchiettano contro la finestra e non
posso fare a meno di pensare che la mia
vita sentimentale è un fallimento. Lo è
da sempre, credo, al contrario della mia
vita professionale piena di soddisfazioni.
Francesco rappresenta l'ennesimo tentativo
di impegnarmi in una relazione stabile. Ci
frequentiamo soltanto da poche settimane e
non posso fare a meno di chiedermi se è
normale che sia innamorata di una persona
che conosco da così poco tempo. Non so
come definire questo sentimento, però mi
sento fortemente attratta da lui, ma non
vorrei che questa storia finisse come
tutte le altre che l'hanno preceduta.
Troppo spesso, quando faccio
conoscenza con un uomo per cui provo
interesse, mi trovo a fantasticare. Poi va
sempre a finire che rimango delusa dalla
realtà. Sono cosciente che dovrei
accettare tutti gli uomini per quello che
sono, soprattutto per le cose belle che li
caratterizzano e da cui mi sento attratta.
In questo modo non ne rimarrei mai delusa.
Con Francesco devo
assolutamente mettere da parte le mie
fantasie, perché se va a finire che mi
coglie la malinconia, allora la mia
fantasia preferita diventa quella di
scomparire.
Sto per piangere, pensando a
quanto sono cretina, ma vengo destata
dallo squillo del telefono. Resisto alla
tentazione di sollevare la cornetta e
decido di lasciarlo squillare per alcuni
secondi prima di rispondere. Non voglio
dare l'impressione di essere in attesa
della sua telefonata, se come spero
Francesco è in linea.
- Pronto? - dico sforzandomi
di mantenere il tono della voce
sufficientemente pacato.
- Ciao, scusami del ritardo,
ma non sono riuscito a liberarmi per tempo
da un impegno. In ufficio avevo un cliente
importante e non potevo interrompere il
colloquio per telefonarti. Mi capisci,
vero?
- Non fa niente, non devi
giustificarti.
- Beh, mi spiace di averti
lasciata in attesa. Sei pronta per uscire?
Non dirmi che hai già cenato eh?
- No, affatto, ero certa che
prima o poi mi avresti telefonato. - dico
fingendo di non essere arrabbiata. -
Quando è squillato il telefono ero
coricata sul divano e stavo riflettendo.
- Su cosa?
- Ho rimuginato,
fantasticato, per tutto il tempo che sono
rimasta in attesa della tua telefonata.
- Ah, sì?
- Che c'è di strano? A te
non capita mai di stare con la mente fra
le nuvole e fantasticare?
- Io ehm... ho solo fantasie
erotiche.
- Allora sei uno
sporcaccione.
- No, affatto.
- Raccontami qualcuna delle
tue fantasie, dai. - dico incuriosita
dalla strana rivelazione.
- Davvero sei interessata ad
ascoltarle?
- Sì, certo.
- Beh, una delle mie fantasie
più ricorrenti è quella in cui mi
ritrovo a legare una donna alla ringhiera
del letto. Lo farei utilizzando una corda
abbastanza spessa, senza praticare dei
nodi troppo stretti in modo da lasciarle
la possibilità di liberarsi. Mentre è
legata abuso di lei in vari modi, sino a
quando si libera e mi lega a mia volta
alla spalliera del letto per approfittarsi
del mio corpo nei modi che ritiene più
opportuni.
- Ti piacerebbe metterlo in
pratica con me questo diversivo?
- Se ti va di fare dei giochi
sadomaso li potremmo concretizzare
insieme, magari anche stasera. Tu invece
che fantasie erotiche c'hai? Sono curioso
di sapere cosa ti gira per la testa.
- Le fantasie erotiche sono
fra le cose più intime di una donna, mica
a tutte piace renderle pubbliche.
- E tu non me ne vuoi
raccontare almeno una?
- Le fantasie hanno origine
dal proprio vissuto, penso che ogni donna
ne abbia diverse. Quello che voglio dire
è che una fantasia erotica che mi eccita
non è detto che sia valida anche per
un'altra donna. Mi hai capito?
- Sì, certo, ma raccontamene
una, dai.
- La fantasia erotica che
preferisco, quella che più mi eccita, è
abbastanza strana.
- Scusa se t'interrompo, ma
ti masturbi tutte le volte che ci
fantastichi su?
- A volte sì, ma non troppo
spesso come sei portato a credere
tu in questo momento.
- Vai avanti allora, dai,
racconta.
- L'uomo con cui fantastico
spesso di scopare non ha un volto preciso,
ma so per certo che da qualche parte del
mondo deve pure esistere, non credi? Me lo
immagino alto più di un metro e ottanta,
con la testa rapata a zero come va di moda
oggigiorno. Ha spalle larghe, grandi
pettorali, e fianchi stretti. Quest'uomo,
che poi è un ragazzo, lavora in una
pizzeria al taglio, di quelle che fanno le
consegne a domicilio.
- Uhm... ti sei scelta un
tipo macho, eh.
- Nella mia fantasia succede
che gli ordino una pizza per telefono.
Poco dopo si presenta davanti ala porta
della mia abitazione stringendo nelle mani
il cartone della pizza. Vado ad aprirgli
vestita con abiti succinti, il più delle
volte con indosso delle shorts e una
canotta bianca. Lo faccio accomodare
dentro casa, dopodiché quando sto per
pagarlo mi accorgo di non avere moneta
sufficiente per la mancia.
- Possibile che tu non abbia
quei soldi?
- Uffa! Lascia che vada
avanti nel racconto.
- Va bene, dai, continua
pure.
- A quel punto il pizzaiolo
dice. "Non fa nulla, non si
preoccupi". Sta per andarsene deluso,
dal momento che ho disatteso le sue
aspettative, quando lo chiamo indietro.
Sollevo la canotta, e scopro le tette
prive di reggiseno, e gli dico: "Ti
soddisfano come mancia queste che ti
mostro?". Lui mi guarda compiaciuto e
sorride. Non gli lascio il tempo di dire
una sola parola perché lo trascino dentro
l'appartamento. Mi inginocchio davanti a
lui, gli sbottono la patta dei pantaloni, e
gli faccio un pompino come dio comanda.
- Ah!
- Lui però non si accontenta
solamente che glielo succhi. Prima di
venire vuole anche scoparmi. Mi fa
sdraiare sul pavimento, mi invita a
liberarmi di shorts e mutande, dopodiché
mi allarga le cosce e me lo ficca dentro
tutto, il cazzo.
- E ti masturbi quando hai
questa fantasia?
- Il più delle volte sì, te
l'ho già detto.
- E come va a finire la
storia? Mangi la pizza?
- Succede che a volte lo
facciamo alla pecorina, come predilige
lui, ma il più delle volte io sto sopra,
nella posizione a smorzacandela perché in
quella posa, dovresti saperlo, godo di più.
Adesso raccontami una delle tue fantasie,
dai.
- Preferisco ascoltare le
tue, sai eccitami moltissimo con le tue
avventure galanti. Mi hai fatto venire il
cazzo duro, ti fa piacere saperlo?
- Beh, sì, certo.
- Allora vai avanti, dai,
raccontami un'altra fantasia.
- Ma non andiamo a cena? E'
tardi.
- Sì, dopo che me l'hai
raccontata.
- Mica ti stai masturbando
eh?
- No, te lo assicuro, ma vai
avanti. Raccontami un'altra delle tue
ricorrenti fantasie.
- Prima però raccontamene
una delle tue, sono curiosa di sapere qual
è la tua fantasia più ricorrente, quella
che ti eccita di più.
- Lo farò, te lo assicuro,
magari nel dopo cena, adesso però
raccontamene un'altra delle tue, dai.
- Dunque... un'altra delle
mie fantasie più ricorrenti è quella
dell'inviata speciale. Immagino d'essere
una giornalista che lavora per le pagine
rosa del più grande quotidiano sportivo
italiano. Hai capito di cosa parlo?
- Sì, certo, vai avanti.
- Immagino di essere ospite
nello spogliatoio di una squadra di rugby.
Gli atleti hanno appena terminato la gara
e io sono andata lì a intervistare uno
dei giocatori. Il tipo che mi sta davanti
è un mulatto molto sexy, un vero stallone
da sballo. Tutt'a un tratto, mentre lo
intervisto, abbassa i pantaloncini e mi
mostra il cazzo bello in tiro. Mi toglie
la gonna, scosta il tanga strappandomelo
con la forza, dopodiché s'inginocchia ai
miei piedi e incomincia a leccarmi la
passera. Dopo un po' che la lecca,
facendomi gemere di piacere, mi sbatte la
schiena sopra una delle panche dello
spogliatoio e mi scopa di brutto.
- Ma i suoi compagni di
squadra che fine hanno fatto?
- Uffa! Lascia che finisca di
raccontarti. D'improvviso, mentre mi monta
come un maiale assatanato, intorno a noi
compaiono gli altri giocatori. Si piazzano
tutt'intorno con il cazzo stretto nella
mano e si masturbano, poi ciascuno di loro
mi scopa a turno. Mi eccita da matti
questa situazione, anche ora sono tutta
bagnata, ci credi?
- Non lo metto in dubbio.
Piuttosto, sei pronta per andare a cena?
Ti passo a prendere fra poco e ti porto in
un posticino davvero speciale.
- Pronta la sono da un pezzo.
- dico sfinita e con la vagina bagnata.
- Adesso non esagerare.
- Va bene, dai, però non mi
hai raccontato la più ricorrente delle
tue fantasie.
- Lo saprai a cena, te l'ho
detto.
- Ci conto.
- Allora fra dieci minuti
sono sotto casa tua.
*
* *
Il locale dove Francesco mi ha condotto a
cena è una trattoria situata alla
periferia della città, poco distante
dalla tangenziale, nella direzione che
conduce all'aeroporto. Non ci avevo mai
messo piede prima di stasera, ma lui ha
insistito perché venissimo qua e io non
ho saputo rifiutarmi. Che altro avrei
potuto fare?
La trattoria è un posto
strano. Infatti, occupa una stalla e un
fienile appositamente ristrutturati. I
tavoli in legno e le sedie impagliate
conferiscono all'ambiente un'atmosfera
campagnola. Il pavimento in cotto è
chiazzato qua e là, probabilmente è unto
di cibo. I tavoli attorno a quello dove un
cameriere ci ha fatto accomodare sono
occupati da donne che hanno
l'apparenza di essere delle puttane, e dai
loro clienti.
La luce è affidata ai lumi
di candela che trovano posto sui tavoli e
creano una atmosfera strana, magicamente
elettrica, come se dovesse succedere
qualcosa da un momento all'altro. Mi
chiedo cosa ci siamo venuti a fare in un
posto lercio come questo. Vorrei andarmene
ma non trovo il coraggio per dirlo a
Francesco, e nello stesso tempo sono
affascinata dalla gamma di personaggi che
abbiamo tutt'attorno. Uomini e donne
sembrano avvertire il medesimo turbamento
di cui sono soggetta anch'io, complici
consapevoli dei momenti speciali che
probabilmente ci attendono.
Il tremolio del lume di
candela sistemato sul nostro tavolo
precede l'arrivo di un cameriere. Merda!
La serata è appena iniziata e ho già
voglia di scappare da questo posto.
- Cosa posso servirvi? Avete
già consultato la carta del menù? - dice
il cameriere
- Non abbiamo ancora deciso.
- dà risposta Francesco.
- Beh, allora ritorno quando
avrete deciso.
- Grazie.
Aspetto che l'uomo si sia
allontanato, dopodiché fulmino Francesco
con una domanda.
- Posso sapere perché mi hai
portato in un cesso come questo?
- Che ha di strano?
- Mi stai prendendo in giro?
Credi che non mi sia accorta che le donne
sono tutte puttane e gli uomini dei
magnaccia o probabili clienti. - dico
girando il capo e guardandomi d'intorno. -
Non dirmi che non te ne sei accorto.
- E allora?
- Come sarebbe a dire
"allora"?
- Non trovi che la cosa sia
eccitante?
- Beh, più che eccitarmi mi
sento un po' a disagio, se permetti.
- Io invece c'ho il cazzo
duro. A me piace questo ambiente, tutte
queste troie, magnaccia e genere di
clienti
mi mettono il fuoco addosso. Non sei
contenta?
*
* *
Non sono riuscita a gustare appieno la costata
ai ferri che, unitamente a
un contorno patate arrosto, ho chiesto di
servirmi al cameriere. Ne ho assaggiato
meno della metà: un quarto forse.
Francesco invece l'ha fatta fuori tutta la
sua, anzi, c'è mancato poco che mangiasse
anche l'osso.
Rimaniamo ospiti della
trattoria fino a mezzanotte. A quell'ora
il viavai di puttane è diventato
continuo, solo allora Francesco si decide
a rivelarmi qual è la sua fantasia
erotica ricorrente. La confessa a fatica,
ma infine me la rivela.
Stanotte con Francesco
abbiamo fatto l'amore come non c'era mai
accaduto prima. Quando mi ha condotta a
casa dopo avermi confessato che la sua
fantasia erotica ricorrente è quella di
praticare il Bunga Bunga, un rituale di
sesso violento, un'orgia anale, uno stupro
di gruppo selvaggiamente brutale che si
ispira a una pratica introdotta nel suo
harem dal colonnello Gheddafi, ha voluto
che assomigliassi in tutto e per tutto
alle puttane che stasera ci hanno tenuto
compagnia nella trattoria.
L'ho accontentato e adesso me
ne sto qui, coricata nel suo letto,
accanto a lui. Francesco dorme
saporitamente, io invece non riesco a
prendere sonno. Ho lasciato che mi
sodomizzasse nel culo come
avrebbe fatto con una qualsiasi di quelle
puttane che praticano il Bunga Bunga.
Adesso ho un grande dolore all'ano, credo
che mi stia sanguinando, ma non ne sono
certa. L'inconfessabile fantasia erotica
consisteva nel mettermelo nel culo,
stuprandomi in maniera brutale come se
tutt'e due facessimo parte del trenino del
Bunga Bunga. E l'ha realizzata.
Dopo quanto è accaduto
stasera preferisco di gran lunga prendere
posto su uno dei convogli della metro,
attorniata da zingare ed extracomunitari,
anziché fare parte del trenino del Bunga
Bunga. A nessuno avevo mai concesso il mio
culo. Quello che provo adesso è solo
vergogna. E vorrei realizzare anch'io una
mia fantasia: scomparire.
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