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LA
SIGNORA
DEL TERZO PIANO
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
S eduto
a un tavolo del Caffè Verdi, poco
distante dalle torri dei Paolotti, ero
in attesa di una donna. Sarebbe spuntata
da un momento all'altro sul marciapiede
opposto a quello su cui si affaccia la
caffetteria, come era sua abitudine a
quell'ora del mattino.
Conducevo l'appostamento da
poco più di un mese, ma lei pareva non
essersi accorta della mia presenza
nonostante mi intrattenessi a guardarla
con malcelata intensità ogni volta che
transitava davanti a me.
La giornata era uggiosa,
piovigginava a gocciole rade, come
spesso succede in novembre quando
l'atmosfera è ricca di condensa di
vapore acqueo. Riconobbi la sua figura
quando era ancora lontana un centinaio
di metri dal mio punto di osservazione.
Indossava un impermeabile fior di latte,
cintura stretta alla vita, con il bavero
lievemente rialzato. Un foulard di seta
azzurro, dello stesso colore
dell'ombrello, le fasciava il capo.
L'aspetto era quello di una donna non più
giovane, ma ancora piacente. I
lineamenti del viso, delicati e privi di
rughe, le conferivano l'aspetto di una
donna raffinata.
Mi alzai dalla sedia e mi
avviai verso l'uscita della caffetteria.
Al cameriere lasciai un biglietto da 10
euro: molto più denaro del costo della
consumazione, senza preoccuparmi di
ricevere il resto.
Mi ritrovai sul marciapiede
determinato a seguire la mia preda, come
avevo già fatto in altre occasioni,
anche se non avevo mai trovato
sufficiente coraggio per bloccarla come
avrei desiderato fare.
Il trench che aveva addosso
nascondeva la silhouette di un corpo
denso di curve appetitose. Procedeva a
zig-zag, districandosi fra le persone
che occupavano il marciapiede, come chi
è in ritardo a un appuntamento.
Sotto i portici
dell'Ospedale Vecchio chiuse l'ombrello
e proseguì più spedita, al riparo
dalla pioggia, fino all'imbocco di
Vicolo Grossardi. Girò nella strada
angusta, percorse un breve tratto
tenendosi rasente al muro delle case,
dopodiché entrò nel portone di un
caseggiato di recente ristrutturato, lo
stesso in cui l'avevo vista entrare nei
giorni precedenti, e da cui era uscita
ogni volta dopo essersi intrattenuta
nell'edificio per un paio di ore.
Arrestai il passo a poca
distanza dal caseggiato, sul marciapiede
opposto a quello del portone dove avevo
visto la donna entrarvi dentro. Al
riparo, sotto le falde dell'ombrello,
rimasi a osservare la facciata
dell'edificio chiedendomi, per
l'ennesima volta, qual era il motivo che
la conduceva ogni mattina in quel luogo.
Della sua persona tutto mi
era sconosciuto, perfino il nome, eppure
durante quegli appostamenti mi ero fatto
la convinzione di una donna
affidabile, riflessiva, e soprattutto
sincera, molto diversa dalle donne che
avevo conosciuto prima di incappare
nella sua persona, e forse non
mi ero sbagliato.
A differenza delle
precedenti circostanze stavolta decisi
di dare seguito alla mia curiosità.
Attraversai la strada e mi avvicinai al
portone che trovai socchiuso. Varcai la
soglia e m'incamminai per un angusto
corridoio che conduceva a un cortile
interno.
L'edificio, a tre piani,
aveva un aspetto sinistro. Mi ritrovai a
salire i gradini della scala, consumati
nella parte centrale, che conduceva ai
piani superiori, con la poca luce che
filtrava dalle feritoie adiacenti il
cavedio.
Della misteriosa donna non
c'era traccia.
Salii i gradini con cautela
facendo ricorso al corrimano di legno
per evitare di scivolare.
Quando raggiunsi il
pianerottolo al primo piano trovai tre
porte disposte sui tre lati. Accostai
l'orecchio a quella centrale prestando
attenzione ai rumori che provenivano
dall'interno.
Il fragore di spari ed
esplosioni, tipico dei film d'azione,
erano segnali inequivocabili che gli
inquilini stavano guardando un film alla
tivù. Mi avvicinai alla porta più
distante dalla tromba delle scale,
appoggiai l'orecchio allo stipite di
legno, e percepii il rumore di una
discussione fra due uomini. Dalla terza
porta arrivavano le note musicali di un
brano sinfonico.
Prima di proseguire nella
mia ricerca mi soffermai a dare una
occhiata ai nominativi incisi sulle
targhe in ottone appiccicate ai legni
delle porte. Nessuno dei nomi mi suggerì
qualcosa di particolare.
Passai oltre e mi
incamminai verso il piano superiore,
infine mi portai all'ultimo piano
dell'edificio senza smettere di
origliare alle porte, consapevole che
qualcuno degli inquilini avrebbe potuto,
da un momento all'altro, fare la sua
comparsa e scorgermi mentre origliavo
alle porte.
Stavo con l'orecchio
accostato al legno di una porta, intento
ad ascoltare i rumori che provenivano
dall'appartamento, quando il trillo di
un telefono, e la successiva risposta di
una voce femminile, mi fece intuire che
l'abitazione poteva essere quella dove
aveva trovato rifugio la misteriosa
donna che avevo pedinando.
Rimasi immobile, coi piedi
ancorati allo zerbino, ad ascoltare i
rumori che provenivano da oltre la
porta. Quando la voce si esaurì fui
raggiunto dal rumore provocato dal
calpestio di tacchi. Tutt'a un tratto la
porta si aprì e apparve lei, la mia
donna.
Sorpresi entrambi dalla
presenza dell'altro restammo a lungo a
fissarci, poi senza dirle una parola,
calamitati dalle labbra, ci scambiammo
un tenero bacio come in precedenza avevo
visto fare soltanto in qualche film
francese.
La sua bocca era bollente
come il resto del corpo. La strinsi fra
le braccia e l'attirai a me. Restammo in
piedi nel pianerottolo, avvinghiati
l'uno all'altra, torcendoci le labbra
come due innamorati. Penetrai la sua
bocca e lei emulò il gesto ficcandomi
la lingua nella mia bocca.
L'eccitazione ebbe il
sopravvento. Lasciai cadere le mani
nell'intimo dell'ingombrante maglione di
lana che indossava, sotto la vestaglia
da lavoro, e fui lesto a inglobare le
tette nelle mani.
Non indossava il reggiseno.
Le forme delle mammelle, tonde e sode,
non erano troppo grosse: giusto il
genere di sporgenze che prediligo in una
donna. Lei mi lasciò fare, senza
opporre resistenza, e io non trovai di
meglio che abbandonarmi a esplorare con
le mani i capezzoli che avvertii turgidi
fra le dita.
Il contatto le provocò un
leggero fremito, inarcò la schiena
all'indietro e ansimò più volte in
modo profondo. Assorbii fra labbra e
lingua la sporgenza carnosa di un
capezzolo e iniziai a succhiarlo come un
lattante. Lei prese a mugolare di
piacere e io proseguii nella mia azione
succhiando il capezzolo dell'altra
mammella.
Tutt'a un tratto la sua
mano scivolò sulla patta dei pantaloni
e mi abbassò la lampo. Cominciò a
masturbarmi senza pudore alternando
rapidi movimenti delle dita ad altri
lenti e ancora più eccitanti.
Trovarmi sul pianerottolo
nella condizione di essere scoperto da
qualche condomino rese la situazione
oltremodo eccitante. Feci scivolare una
mano sotto la gonna impaziente di
raggiungere al più presto la fica.
Non indossava i collant, ma
calze autoreggenti.
Intrufolai le dita sotto il
tessuto delle mutandine animato dalla
voglia di esplorare quanto di
prezioso aveva fra le cosce.
Lei fu più rapida delle
mie dita, mi trascinò dentro alla porta
senza chiuderla alle nostre spalle, sfilò
gli slip e li fece scendere lungo le
gambe fino a farli cadere sul pavimento.
Appoggiai la schiena contro
il legno della porta. Le abbrancai le
natiche e la sollevai di peso da terra.
Lei allargò le cosce e si affrettò a
serrarle attorno ai miei fianchi.
Aiutandomi con la mano
guidai il cazzo nella vagina, facilitato
dalla copiosa secrezione di cui erano
pregne le pareti. Iniziai a incalzarla
con colpi di bacino, spingendo il cazzo
più in profondità che potevo.
Avevo il fiato grosso e
respiravo con affanno, lei invece
mugolava di piacere premendo la bocca
all'attaccatura del mio collo.
Le sborrai nella vagina
senza nessuna precauzione urlando di
piacere nel momento in cui giunsi
all'orgasmo. Lei si arricciò con le
cosce strette su di me e pronunciò
un'unica parola:
- Sì... sì... sì...
Sazi dei baci e delle
carezze che c'eravamo scambiati,
incuranti degli inquilini che nel
frattempo si erano sporti nei
pianerottoli dei piani inferiori,
chiedendosi qual era l'origine dei
rumori, ci accomiatammo scambiandoci un
semplice:
-Ciao!
Prima di discendere le
scale diedi un'occhiata alla targhetta
impressa sulla vestaglia da lavoro
indossata dalla mia occasionale
compagna.
Allora mi fu chiaro cosa ci
andava a fare in quella casa.
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