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LA
PARMIGIANA
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Indispettita
dalle parole pronunciate da Valentina
interruppi la comunicazione e posai la cornetta del telefono.
Dopo una decina di minuti, smaltita
l'arrabbiatura, richiamai, ma
Valentina non diede risposta. Digitai
il numero poco più tardi, e stavolta a
rispondermi fu la segreteria telefonica.
Allora le lasciai un messaggio:
- Presumo che tu sia ancora
in casa. Non fare la stronza, rispondi
al telefono!
Rimasi in attesa di una
chiamata che invece tardò ad arrivare.
Mi intestardii nel rifare il numero di
telefono una decina di volte,
lasciandole il medesimo messaggio. Alla
fine, spazientita, uscii di casa.
Raggiunsi Piazza Garibaldi
e presi posto a un tavolo del Caffè
Orientale, distante pochi passi dal
monumento dedicato all'Eroe dei Due
Mondi, confidando d'incrociare lo
sguardo di Valentina se avesse
attraversato la piazza per recarsi a
lezione all'Università. In attesa di
scorgere la sua figura mi persi a
guardare il culo delle ragazze che
transitavano da lì, sculettando davanti
ai miei occhi come
anatre selvatiche.
Un cameriere mi servì un
bitter analcolico, congiuntamente a una
ciotola con patatine salate, che esaurii
in breve tempo. Un peccato di gola, lo
so, ma ero troppo nervosa per
preoccuparmi delle calorie che stavo
introducendo nell’organismo.
Alle cinque del pomeriggio,
dopo un'ora di appostamento, stanca di
osservare il passeggio di maschi e
femmine dinanzi alla mia postazione, mi
incamminai verso il Palazzo della
Pilotta, poco distante da lì.
Camminare per le strade del
centro, stordita dal rumore del traffico
urbano e dagli schiamazzi della gente,
mi fece sentire di nuovo viva. Gli
apprezzamenti di cui ero fatta segno dagli
uomini che incrociai lungo la strada,
affascinati dalla flessuosità delle mie
gambe e dal resto del corpo,
rintoccavano nella mia mente come il
pungiglione di un martello pneumatico.
Mi affrettai a percorrere gli stretti
vicoli che da Piazza Garibaldi conducono
al Palazzo della Pilotta dove ero certa
che avrei incontrato Valentina.
Da quando Piazza della Pace
è infestata da puscher e
tossicodipendenti vivo con il timore
d'essere aggredita da qualche imbecille,
pronto a puntarmi alla gola una siringa
imbrattata di sangue infetto minacciando
d'infilzarmi, come è già successo in
passato a donne che transitavano per quelle
strade.
Quando feci capolino nei
prati erbosi di Piazza della Pace andai
a sedermi su uno dei muretti di pietra
che circondano il laghetto artificiale,
attorno il porticato di Palazzo Farnese,
certa che Valentina, di ritorno dalle
lezioni all'Università, sarebbe passata
da lì per fare ritorno a casa.
Sul muricciolo trovai posto
a sedere accanto ad alcuni gruppi di
extracomunitari. Uno di loro, dalla
pelle scura come la torba, ammiccò un
gesto di amicizia facendomi
l'occhiolino. Non ci misi molto a
replicare al saluto con un gesto della
lingua, ma lui sembrò non farci troppo
caso e si mise a ridere, lo stronzo.
Valentina era vestita in
maniera sommaria, come al solito. La sua
bellezza manteneva una componente di
distacco da ciò che le stava intorno.
Quando colsi la sua presenza camminava
sul lastricato di pietra che attraversa,
in duplice fila, Piazzale della Pace in
direzione del palazzo della Pilotta. La
sua bellezza, tutt'altro che trash,
risaltava più del solito in quel
panorama degradato. Mi alzai e le andai
incontro. Anche lei si avvide della mia
presenza. Arrestai la corsa nel momento
in cui ci trovammo una di fronte
all'altra. Ci guardammo negli occhi,
sospettose, come due felini in attesa di
sbranarsi, forse. Cosa dirle? Era una
questione di silenzi, non di parole.
Mentre mi guardava sentivo crescere in
me dei sentimenti contrastanti. Rabbia e
soddisfazione, amore e disprezzo, ma
possedevo un'unica certezza: Valentina
era la ragazza più bella che avevo
conosciuto, ma anche la mia dannazione.
- Beh, cosa ci fai qui? -
disse Valentina.
- Sorpresa?
- No, tutt'altro.
- E' questo il modo
d'accogliermi?
- Perché?
- Ti stai comportando da
stronza, lo sai?
- Ah, sì?
- Certo, e lo sai bene.
- No, non lo so, dimmelo un
po' tu.
Ogni volta mi sorprendevo
nello scoprire degli aspetti del suo
carattere che giudicavo in contrasto con
la bellezza del suo giovane corpo.
Alcuni atteggiamenti e frequentazioni
non le sopportavo, era questo uno dei
motivi per cui c'eravamo accapigliate al
telefono. Trovarmela davanti mi suscitò
una serie di piacevoli emozioni. Mi
ritrovai con il respiro in affanno, il
petto in subbuglio, e un gran caldo fra
le cosce. Sì, fra le cosce, accidenti!
Perché la passione che mi attanagliava
non aveva mai smesso di bruciare durante
la nostra, seppure breve, lontananza.
- Non pensi di dovermi una
spiegazione? - dissi.
- Per cosa? Soltanto perché
ieri sera sono andata a cena con un
amico.
- Dovresti saperlo che noi
terrone siamo gelose. Lo dici sempre.
- Dai, smettila con questa
storia.
- Te lo sei fatto, eh?
- Non essere assurda. Non
ho fatto un bel niente.
- Gli hai succhiato il
cazzo a quello là o ti sei fatta solo
scopare?
- Uffa! Non rompere. Ti
stai rendendo ridicola con la tua
gelosia.
- Ah! Sarei io quella che
si rende ridicola, eh! E tu allora?
- Io cosa?
- Mi fai stare male e lo
sai.
- Dovresti smetterla con
questi capricci da donna isterica.
- Ah! Li chiami capricci e
quel livido che hai sul collo cos'è?
Non è forse un succhiotto, quello?
- Dai non fare la cretina.
- disse tastandosi il collo dalla parte
opposta a quello dove mi era parso di
vedere l'ombra di un livido.
- Dillo, ammettilo, che ti
sei fatta scopare.
Alcune donne obese,
probabilmente meridionali come me,
coricate sui prati della piazza a
prendere il sole, ci guardarono con
curiosità mentre discutevamo in modo
accalorato dinanzi a loro. Non mi ero
accorta di parlare a voce alta,
probabilmente dovevo essere apparsa
ridicola agli occhi di chi ci stava
intorno. Attraversammo la prima di una
serie di volte dell'antico Palazzo della
Pilotta. In prossimità del cortile del
Guazzatoio, intravidi la salita che
conduceva al Ponte Verdi.
- Ma che cazzo vuoi da me,
posso saperlo? - disse Valentina quando
ci ritrovammo nella parte in ombra della
Pilotta, sotto il Teatro Farnese,
nascosti alla vista della gente.
- Ti voglio tutta per me,
lo sai.
- E non è sempre stato così?
- Ne sei sicura?
- E tu ne dubiti?
Non risposi, ormai non
avevo più parole da spendere. Lasciai
che Valentina mi attirasse a sé
approfittando dell'oscurità del luogo.
Senza sparare parole d'amore m'infilò
la lingua in bocca e mi baciò. Sarei
impazzita se non l'avessi assaggiata
subito. Lei mi anticipò dandomi un
morso sulle labbra. Io la
contraccambiai. La sua bocca aveva il
sapore di mandorle e di zucchero filato.
Restammo per qualche
istante a deliziarci della mescolanza
dei nostri sapori dopodiché ci
allontanammo da lì.
Mano nella mano,
abbracciate una all'altra, attraversammo
Ponte Verdi, infischiandocene delle
persone che ci guardavano con sospetto
mentre ci passavano accanto. Di là,
oltre il ponte, c'era l'Oltretorrente:
casa mia.
Ci ritrovammo a scopare
ancora una volta nel mio letto. Non
potevo fare a meno di lei, sebbene
Valentina fosse una gran puttana. E poi
lo scriveva anche Stendhal nei suoi
libri a proposito delle donne
parmigiane.
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