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LA
FABBRICA DELLA PASTA
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
I
bulldozer si spostavano da un'area all'altra del cantiere ribaltando la
massa di detriti, sparsi sul terreno,
finendo per scaricarli nei cassoni degli
autocarri. Le pale meccaniche degli
escavatori si abbattevano con forza
sulle mura dell'opificio rovesciando al
suolo intere pareti di mattoni. Dense
nubi di polvere si alzavano dalle
macerie mentre le tenaglie meccaniche,
simili ai tentacoli di giganteschi
scarafaggi, provvedevano a mutilare le
armature di ferro, indispensabili a
tenere insieme i blocchi di cemento,
riducendole in magri frammenti.
Operai, tecnici, e mezzi
meccanici si muovevano nell’area del
cantiere in perfetta sincronia,
controllati dagli occhi vigili di un
gruppo di pensionati, assiepati oltre la
recinzione della ex fabbrica della
pasta, attenti a scambiarsi opinioni
sull'andamento dei lavori.
Una società
multinazionale, dopo essersi appropriata
del marchio dell'azienda, aveva
provveduto alla chiusura della fabbrica
per produrre la medesima pasta, a costi
minori, in uno stabilimento insediato in
Romania.
La fabbrica stava
dissolvendosi nel nulla insieme al
glorioso passato. Lo stesso era
accaduto, mesi addietro, a un antico
stabilimento per la lavorazione del
vetro i cui altiforni erano stati spenti
e poi abbattuti insieme alle ciminiere
simbolo della fabbrica. Anche una delle
più antiche manifatture per la
lavorazione del pomodoro, vanto
dell'industria agro alimentare del
territorio, aveva chiuso i battenti
licenziando le maestranze.
Il nuovo che avanza dava
l'impressione di non avere rispetto per
le tradizioni della città. Il progresso
stava portandosi via tutto, anche
l'anima delle persone che in quelle
fabbriche avevano consumato la vita
ingegnandosi giorno e notte. Al posto
dei vecchi stabilimenti industriali
erano sorti o stavano sorgendo moderni
condomini e nuovi centri commerciali.
Dalla finestra della sua
abitazione, dirimpetto all'ex fabbrica
della pasta, Claudia trascorreva gran
parte della giornata a osservare i
lavori nel cantiere, con lo sguardo
fisso sui visi delle persone assiepate
dietro le staccionate. Molti di quegli
uomini li conosceva, alcuni erano stati
alle dipendenze del pastificio e con
alcuni di loro c'era pure andata a letto. Le
ruspe oltre ad abbattere le mura stavano
portandosi via molti ricordi della sua
giovinezza, ed era il suo maggiore
dispiacere.
Claudia era stata collocata
a riposo soltanto qualche mese prima che
la fabbrica bloccasse per sempre le
macchine per la produzione della pasta.
Dentro quelle mura aveva lavorato
trentacinque anni alla catena di
montaggio, inscatolando confezioni di
maccheroni tutte uguali. Raggiunta l'età
della pensione aveva lasciato la
fabbrica incentivata da una buonuscita
in denaro.
Dopo che i due figli si
erano sposati si sentiva persa,
abbandonata a se stessa, anche se alla
solitudine ci aveva fatto il callo dopo
che era rimasta vedova.
Stare a guardare i lavori
di demolizione la distraeva più di
qualsiasi reality show trasmesso alla
televisione. Ogni mattina, quando usciva
di casa per recarsi a fare spesa al
vicino supermercato, si fermava a
conversare con gli ex compagni di lavoro
che stazionavano dinanzi il cantiere. Il
resto della giornata lo trascorreva
affacciata alla finestra a seguire
l'andamento dei lavori. La sera, quando
il cantiere era privo di vita, si
perdeva a guardare quanto era rimasto in
piedi delle mura dopo la giornata di
lavoro degli operai.
Tutt'a un tratto una
intrigante presenza notturna giunse a
turbare la vita di Claudia. A una certa
ora della sera un uomo raggiungeva lo
scavo e s'intratteneva, dinanzi alla
recinzione, a osservare il cantiere
spoglio di operai. Un cagnolino bianco,
chiazzato di nero, gli faceva compagnia.
L'animale, tenuto al guinzaglio, restava
per tutto il tempo accucciato al fianco
del padrone dimenando la coda.
Claudia era rimasta sedotta
dalla figura solitaria dell'uomo.
Avrebbe desiderato conoscerlo,
conversare con lui, scambiare quelle
emozioni che suscitavano a entrambi le
macerie della ex fabbrica della pasta,
ma non poteva scendere per strada e
accostarsi a lui per domandarglielo. E
poi cosa gli avrebbe detto? Che si
sentiva sola e aveva bisogno di
compagnia?
Erano trascorsi tre anni
dall'ultima volta che aveva fatto
l'amore. Nemmeno ricordava come era
fatto il sesso di un uomo. In quella
occasione aveva scopato con un tizio,
non male, incontrato per caso al Marisol,
una balera alla periferia della città
frequentata da gente sola e anziana come
lei. Con quello sconosciuto aveva
ballato per tutta la sera,
intrattenendosi sulla pedana al ritmo di
musiche sudamericane, poi aveva
accettato che l'accompagnasse a casa
ignorando le amiche con cui si era
recata alla balera.
Lungo il tragitto verso
casa si erano appartati nel parcheggio
prospiciente il diamante del baseball,
vicino al ponte della stazione
ferroviaria. Lì, con l'acqua del
torrente a due passi, gli aveva
succhiato il cazzo e concesso la fica.
Un temporale estivo colse
impreparato l'uomo e il cane dinanzi
alla recinzione della ex fabbrica della
pasta. La pensilina alla fermata del
bus, collocata sul ciglio della strada,
a poca distanza dal cantiere, si rivelò
un ottimo rifugio per l'uomo e l'animale
mettendoli al riparo dalla pioggia
insistente.
Trascorse parecchio tempo
durante il quale la pioggia pareva non
dovesse mai cessare. Claudia rimase a
osservarli dalla finestra, poi decise di
uscire allo scoperto e andò in loro
soccorso. Afferrò due ombrelli dal
mucchio che conservava nel ripostiglio e
si precipitò fuori dall'appartamento.
Quando raggiunse la strada
la pioggia scendeva con forte intensità.
Le ciabatte a infradito che aveva messo
ai piedi le permisero di muoversi con
disinvoltura fra le pozzanghere. Si
spinse fino alla pensilina della fermata
dei bus che a quell'ora avevano cessato
le corse notturne. Quando giunse dinanzi
all'uomo gli tese il parapioggia.
- Tenga, quest'ombrello è
per lei, la prego.
- Ma... veramente... -
disse l'uomo sorpreso dall'inusuale
gesto della donna.
- Non si preoccupi, me lo
renderà.
- Non la conosco, e neppure
so dove abita.
- Abito là. - disse
indicando con la mano il condominio
dalle tinte biancocelesti alle proprie
spalle.
- Grazie, glielo renderò.
- Non si preoccupi.
Claudia fece ritorno al
condominio e stavolta non salì a piedi
le scale di casa, ma si servì
dell'ascensore. Quando si affacciò alla
finestra l'uomo era scomparso da sotto
la pensilina.
Per qualche giorno l'uomo e
il suo cane non si fecero vedere al
cantiere, poi una sera, poco prima
dell'ora di cena, si presentò davanti
all'uscio dell'appartamento di Claudia.
- Buonasera, le ho
riportato l'ombrello che mi ha prestato
qualche giorno fa.
- disse stupendola non poco.
Claudia era andata ad
aprire la porta con indosso il solo
accappatoio di spugna. Attorno al capo
teneva avvolta una salvietta messa lì
per asciugare i capelli bagnati. Era
uscita dal box della doccia immaginando
di trovarsi al cospetto di Rosa, una
inquilina del condominio che era solita
farle visita a quell'ora, e si trovò
impacciata quando fu in presenza
dell'uomo.
- E' stata molto gentile a
prestarmi l'ombrello. - disse il
visitatore colmando l'imbarazzante vuoto
che si era venuto a creare fra loro.
- Accidenti! Mi scusi se mi
presento in questo stato. - disse
Claudia indicando l'accappatoio. - Ma
aprendo la porta non immaginavo di
trovare lei.
- Aspettava qualcun altro?
- No, nessuno. - ribatté
con un certo imbarazzo
Claudia non si era accorta
d'avere l'accappatoio di spugna
abbondantemente scollato e con le tette
esposte. Quando se ne avvide socchiuse
il bavero dell'indumento nascondendo le
forme del corpo.
- Non vorrà rimanere a
lungo sulla porta, eh? Si accomodi. -
disse invitandolo a entrare.
- Ma... veramente non
vorrei disturbare. E' tardi e debbo
andare.
- Qualcuno l'aspetta?
- No, ma...
- Venga dentro e non si
faccia pregare. - disse scostandosi
dall'uscio, indicandogli il corridoio
che conduceva al salotto.
- Beh, se insiste.
Finalmente poté vedere da
vicino i lineamenti del viso dell'uomo.
A dire il vero non le sembrarono per
niente eccezionali. Si meravigliò di
non trovarlo in compagnia del cane e
questo le sembrò un indizio da non
sottovalutare. Evidentemente era venuto
lì con la speranza d'intrattenersi con
lei, pensò, altrimenti se lo sarebbe
tirato appresso com'era solito fare
tutte le sere. Notò subito che non
aveva l'anello matrimoniale al dito e
questo le fece piacere.
L'uomo mostrava un'età
attorno ai cinquant'anni, come lei.
Portava baffi spessi, i capelli erano
leggermente brizzolati, e la pelle
abbrunita.
- Venga da questa parte, si
accomodi. - disse introducendolo nel
salotto.
- Complimenti! Ha una bella
abitazione.
L'ambiente sembrava
raccontare poco di chi l'abitava, ma non
era così. Le suppellettili, di bassa
qualità, erano state acquistate al
Mercato del Legno, un centro commerciale
ubicato sulla tangenziale a nord della
città. Anche gli altri elementi
dell'arredo erano di poco prezzo.
Claudia e il suo ospite presero posto
una di fronte all'altro, sulle poltrone
in similpelle, accanto a un tavolino ad
angolo dove era sistemata una abat-jour.
Restarono a chiacchierare a
lungo, per nulla imbarazzati dalla loro
estraneità. Quasi subito cominciarono a
darsi del tu, rivelando ciascuno il
proprio nome. Claudia era eccitata. Da
tempo non si trovava in compagnia con un
uomo dentro casa. Non sapeva bene come
comportarsi. Gli offrì da bere una
bevanda, ma l'uomo non accettò alcolici
e nemmeno birra, bensì del tè alla
menta che lei si affrettò a ritirare
dal frigorifero.
La serata era calda,
continuarono a bere tè freddo
conversando amabilmente. Claudia non si
cambiò d'abito e rimase per tutto il
tempo con indosso l'accappatoio di
spugna. Quando l'uomo decise di alzarsi
dal divano e si avvicinò alla balaustra
della finestra che si affacciava sulla
strada non ne rimase stupita. Da lì
poteva vedere il cantiere dell'ex
fabbrica della pasta avvolto dal buio
delle tenebre. Claudia lo seguì
dappresso e si mise accanto all'ospite.
Entrambi appoggiarono i gomiti sul
parapetto e rimasero con le mani
inchiodate sotto la mandibola a fissare
l'area del cantiere.
- Ho passato trentacinque
anni della mia vita dentro quelle mura.
- disse lei.
- Che lavoro facevi?
- Operaia addetta
all'inscatolamento della pasta.
- Lavoro duro?
- Sì, certo.
- Hai nostalgia?
- Di che?
- Del luogo di lavoro e
delle compagne?
- No, affatto.
- E di cosa allora?
- Dell'odore di sfoglia.
- Anche tu?
- Come sarebbe a dire?
- Niente pensavo a una cosa
mia.
- E' strano, lo so, ma
l'odore della pasta all'uovo, specie se
ancora umida, mi provocava degli effetti
piacevoli.
- Ti eccitava?
- Sì, ma come fai a
saperlo?
- Lo so, succedeva anche
me. - disse lasciando cadere il palmo
della mano sul fondoschiena della donna.
Claudia non si sottrasse
alla stretta e nemmeno biasimò l'uomo
per l'audacia con cui le stava
carezzando il culo. Aveva troppa voglia
di qualcuno che si accorgesse di lei e
la toccasse in quel modo, per questo non
si ribellò, e lasciò che la
palpeggiasse.
Entrambi seguitarono a
guardare ciò che restava dello
stabilimento prossimo alla demolizione.
- Cos'è che ti affascina
in quell'edificio? - chiese lei.
L'uomo non rispose, si
staccò dal davanzale e si portò dietro
Claudia. Le sollevò la stoffa
dell'accappatoio e glielo rovesciò
sulla schiena. Nella penombra della
stanza, illuminata dalla luce
dell'abat-jour, il culo della donna
doveva apparirgli attraente, perlomeno
questo pensò Claudia dal momento che
non indossava le mutandine. Aveva la
fica bagnata, cosa che non le succedeva
da parecchio tempo. Lasciò che l'uomo
le cingesse le braccia intorno ai
fianchi e accolse con piacere il cazzo
nella fica gemendo di piacere.
Quando l'uomo glielo
seppellì dentro serrò i muscoli della
vagina per trattenerlo dentro di sé.
Nemmeno si preoccupò d'imporgli il
preservativo come aveva fatto anni
addietro scopando con qualcuno degli
operai della fabbrica. L'uomo levò le
mani con cui le cingeva i fianchi e le
afferrò le tette, voluminose, ma
mollicce, carezzandole delicatamente i
capezzoli, seguitando a scoparla senza
mai fermarsi.
La gru col lungo braccio
girevole, che tanto ricordavano il collo
dell'omonimo uccello, era davanti a loro
con una carrucola unita a dei cavi cui
era agganciato un contrappeso. Claudia
osservava l'ondeggiare della zavorra,
sospinta da una parte all'altra dal
vento, agitando il culo in sincronia con
i movimenti dell'uomo che la scopava.
Era tornata ad appagare i
propri sensi dopo molto tempo e ne era
felice. Il cazzo scivolava nella vagina
provocandole fremiti di piacere. Si trovò
con il respiro in affanno e il cuore che
le palpitava in maniera disordinata. Il
pulsare del sangue nelle vene delle
tempie sembrava dovesse farle scoppiare
il cervello da un momento all'altro.
Sudava in maniera esagerata e non vedeva
l'ora di raggiungere l'orgasmo.
Le anche dell'uomo le
sbattevano sulle natiche spingendola in
avanti contro il davanzale della
finestra aperta. Claudia avrebbe voluto
urlargli che stava godendo, ma non lo
fece e serbò per sé quella emozione.
L'uomo si mostrò a suo
agio nel prenderla da dietro. Continuò
a lungo a penetrarla, poi si scostò e
si mise in ginocchio col muso affondato
nella fica affrettandosi a divaricarle
le gambe. Immerse la bocca fra le pareti
umide della vagina e cominciò a
leccarla gustandosi il prelibato liquido
secreto dalla fessura. Lei ebbe dei
sussulti e prese ad ansimare. Posò le
dita sul clitoride e cominciò a
carezzarselo mentre la lingua
dell'occasionale partner seguitava a
leccarle la fica solleticandola per la
presenza dei baffi contro la pelle.
L'orgasmo sopraggiunse
prepotente squassandola in tutto il
corpo. Subito dopo la lingua dell'uomo
risalì verso l'apertura del culo dando
inizio a un'opera di ammorbidimento
attorno alla pelle raggrinzita dell'ano.
Raramente aveva concesso a qualcuno di
ispezionarle in quel modo il culo.
Stavolta non si sentì per niente
imbarazzata e recepì con piacere il
prurito che le provocava la lingua
dell'uomo che si agitava attorno il
pertugio. L'uomo depose una grande
quantità di saliva sull'ano poi la
penetrò delicatamente con un dito
dilatandole i tessuti.
Claudia intuì quali
fossero le intenzioni dell'uomo, ma non
si scostò. Sporse il culo all'indietro
preparandosi a ricevere il cazzo dentro
le viscere. Sentì la cappella posarsi
sull'ano e incunearsi con forza addosso
allo sfintere faticando non poco a
entrare. Il buco si dilatò al passaggio
del cazzo provocandole un intenso dolore
attutito dal piacere d'essere fonte di
godimento per l'uomo. Rimase immobile,
ancorata al davanzale della finestra,
lasciando che l'ospite muovesse il cazzo
dentro il culo come desiderava lui.
L'uomo teneva le mani
posate sui fianchi di Claudia
mantenendola ancorata al parapetto,
evitando che potesse fuggire via. I
movimenti del cazzo le provocarono un
intenso bruciore all'ano per la
probabile lacerazione dei tessuti dello
sfintere, ma non si lamentò, digrignò
i denti e tenne duro desiderando che il
compagno eiaculasse al più presto.
L'uomo tardò a venire. Proseguì a
sodomizzarla mentre Claudia, grondante
di sudore, andava perdendo in
brillantezza, disabituata a fare del
sesso.
Quando le sborrò nel culo
Claudia avvertì il peso del corpo
dell'uomo rovesciarsi sulla schiena. Lui
la strinse forte, fintanto che cessarono
i tremori che attraversavano il suo
scheletro. Dopo essersi staccato
definitivamente si mise in ginocchio e
le baciò il foro dell'ano.
La fabbrica della pasta non
esiste più, sulle ceneri è sorto un
moderno complesso residenziale. Claudia
vive sempre da sola nell'appartamento.
Nel tempo libero si diletta a fare la
sfoglia e cuocere il pane. L'uomo col
cane continua tuttora a farle visita.
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