LA CASA DEL PIACERE
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

       La città di Parma, all'epoca dei fatti che sto per narrare, era considerata da viandanti e pellegrini come la capitale padana del piacere. Il pregio di questa singolare fama era attribuita alle grazie delle cortigiane parmigiane che, a detta di chi faceva tappa nella città ducale, spostandosi dalle Alpi verso Roma, percorrendo la Strada Francigena, erano considerate fra le donne più belle del creato.
   La popolazione dell'intero contado considerava in maniera assai indulgente sia le donne che esercitavano la prostituzione, sia la condotta libertina degli uomini che si congiungevano con le cortigiane per consumare sesso a pagamento. Soltanto la chiesa, perlomeno negli atti pubblici, condannava entrambi. 
   All'interno della cerchia muraria della città il turpe commercio messo in atto dalle cortigiane non era praticato soltanto nei postriboli, ma soprattutto nelle strade dei quartieri bassi, battezzati per l'appunto "letamai", dove le donne esibivano tranquillamente le mercanzie del loro corpo facendo sesso con quei poveracci che le avvicinavano per pochi soldi, ma congiungendosi anche con uomini d'armi e appartenenti alle classi sociali più abbienti della città ducale abituati a fare visita a quei posti, ritenuti malfamati, per trarre piacere da pratiche erotiche considerate dalla chiesa aberranti.
   Al bordello della signora Flora, il più prestigioso della città, si accedeva percorrendo l'antico ponte romano, dedicato a Tito Flavio, che, passando sopra le acque del torrente, congiungeva le due parti la città: quella povera e l'altra nobile, ma che la popolazione amava apostrofare molto più semplicemente come "Ponte delle tette".
   Il nomignolo traeva origine dalle donne di piacere che concedevano il loro corpo nei postriboli che si affacciavano sulla strada che conduceva alla cattedrale, donne che osavano mostrarsi ai passanti in vivaci e colorati grappoli, sporgendosi da logge e finestre, ostentando i seni e le bizzarre pettinature per meglio farsi notare e quindi adescare i clienti che, turbati al cospetto di simili spettacoli, non potevano fare a meno di mettere piede nei bordelli. 
   Nel soddisfare i bisogni fisiologici della popolazione le prostitute compiacevano anche il pensiero del Duca di Parma, assai preoccupato per il gran numero di monache e soprattutto prelati, fiacchi e indolenti, che dimoravano in città, poiché temeva il pericoloso diffondersi di certe pratiche omosessuali in grado di diffondersi fra la popolazione, e quindi considerava la prostituzione come un male necessario, da tollerare e incentivare. Era questa una delle principali ragioni che lo avevano spinto a promulgare leggi appropriate, atte a proteggere l'attività delle prostitute dai soprusi e dalle angherie cui andavano quotidianamente incontro nell'esercizio della loro professione.
   La diocesi, nella persona di sua eccellenza il vescovo e il clero tutto, pur non disconoscendo il diritto da parte della popolazione di anelare alla felicità, condannavano severamente la pratica della prostituzione, sia maschile sia femminile, poiché, a loro dire, entrambe corrompevano l'anima dei giovani; questo perché qualsiasi pratica sessuale avrebbe potuto ingenerare nei soggetti il piacere carnale e quindi da considerarsi un grave peccato. 
   Se questo valeva soprattutto per le prostitute, il cui compito era per l'appunto di offrire piacere carnale ai clienti, la stessa cosa, a detta della chiesa, era da considerarsi altresì valida per quanto concerneva i rapporti fra marito e moglie, se ne traevano un piacere carnale durante l'atto di congiungimento, atto che doveva essere esclusivamente deputato alla procreazione, anche se, nelle comunità religiose, specie nei monasteri, presenti in grande numero nel territorio ducale, era risaputo che monaci e monache fossero inclini all'omosessualità, la stessa che in pubblico condannavano, ma che praticavano di nascosto al pari dell'eterosessualità. 

   La discrezione delle prostitute che svolgevano il mestiere, ospiti nei postriboli più prestigiosi della città ducale, era l'ideale per tutti quegli uomini di alto lignaggio che come Francesco si recavano in quei luoghi per dare libero sfogo a pratiche erotiche considerate devianti e impraticabili con le proprie mogli. 
   Prima di fare l'amore con Adelina, una giovane prostituta da lui conosciuta al postribolo di Strada dell'Orto, poco lontano dal convento dei Carmelitani Scalzi, Francesco aveva sempre considerato il sesso consumato con le prostitute al pari di una merce di scambio, dove lui metteva a disposizione delle donne del denaro, mentre in cambio acquisiva il diritto a godere dei piaceri del loro corpo, soddisfacendo dei bisogni esclusivamente fisici cui non occorreva attribuire alcun sentimento. Questo aveva fatto sì che fra lui e le prostitute non ci fossero mai stato alcun pudore né privazioni, ma solo concretezza.

   Ogni volta che oltrepassava il “Ponte delle tette” non poteva fare a meno di mettere piede in un bordello. Dentro quelle mura soleva ubriacarsi e appartarsi con una prostituta con cui consumare del sesso senza troppe complicazioni, perché ciò gli conferiva una estrema tranquillità. E pagando un certo prezzo la otteneva sempre, nonostante nei postriboli si fosse diffusa una malattia mortale, la sifilide, in cui si dava per scontato il legame che la malattia aveva con i rapporti sessuali.
   Ma più di tutto, nel bordello della signora Flora, gli piaceva prendere parte alle orge masochistiche che la maitresse organizzava, orge in cui lui era solito sollecitare le prostitute a pressanti richieste di sodomia, seppure severamente punite dalla legge. Lui stesso soleva portarsi appresso una sacca di pelle con dentro un vasto assortimento di strumenti per la flagellazione. Più di tutto gli piaceva essere frustato con uno scudiscio, ma non disdegnava essere percosso da scope di saggina, stringhe di cuoio e verghe di legno. Nell'espletamento di queste pratiche sadiche la prostituta che stimava essere la migliore era Carlotta, una rossa incendiaria, perversa come poche altre prostitute, bravissima nel colpirlo sino a fargli grondare sangue dai glutei e dalla schiena.
   Nel bordello della signora Flora ogni camera era visibile, attraverso uno spioncino, da uno stanzino attiguo. E Francesco, al pari degli altri frequentatori del bordello, amava masturbarsi, appollaiato sopra uno degli sgabelli, mentre contemplava le prostitute affaccendate a fare sesso con i clienti. La pratica del voyeurismo era uno dei numeri dell'amore che lo eccitavano maggiormente, questo perché congiungendosi con le prostitute raramente riusciva a farle raggiungere l'orgasmo come invece, assai ingenuamente, desiderava che ciò accadesse.

   L'atteggiamento di Francesco verso le prostitute, nel corso dei tanti anni di frequentazione dei bordelli, era sempre il medesimo, perlomeno sino al giorno in cui la signora Flora, sorprendendolo non poco, gli aveva fatto conoscere Adelina, un prelibato fiore di ragazza che l'anziana maitresse gli aveva offerto, seppure a caro prezzo, invitandolo a trascorrere una nottata piccante in compagnia della ragazza, assicurandogli che le ore trascorse a fare sesso con la giovane sarebbero state fantastiche poiché contemplavano che fosse vergine.
   Francesco, vedendola, era rimasto turbato dalla superba bellezza. Secondo quanto dichiarato dalla signora Flora la madre indigente, con altri sette figli a carico, gliela aveva ceduta per trarne un modesto profitto in denaro.
   La giovane prostituta che la maitresse gli aveva messo a disposizione, esibendogliela d'acchito completamente nuda, mostrava d'avere un'aria apparentemente malinconica e misteriosa da lasciarlo a mozzafiato. 
   La ragazza esibiva una pelle bianca e liscia come il marmo per di più impreziosita da numerose vene blu, che in alcuni tratti del giovane corpo apparivano in trasparenza, considerate segno di raffinata bellezza e di gran vanto fra le cortigiane; insomma un vero bijou.
   Nonostante la giovane età Adelina mostrava di possedere dei seni niente affatto immaturi e con dei capezzoli all'insù. La vita stretta preludeva alla generosità delle natiche che esaltavano la perfezione delle gambe lunghissime e nude. Un nastro rosso le cingeva i capelli nerissimi, raccolti dietro il capo, mentre il viso si caratterizzava per gli occhi neri come le olive che evaporavano ingenuità e bontà nello stesso tempo.
   Dopo avergli presentato la giovane prostituta la maitresse si era premurata di accompagnare Francesco e la fanciulla nella stanza più preziosa del postribolo, dominata da un enorme letto di piume. Rimasti soli nella stanza Francesco e la fanciulla avevano scambiato soltanto poche parole, ed era rimasto rapito dalla spudorata sensualità e dal profumo di acqua di colonia che la signora Flora aveva asperso in abbondanza sulla pelle della ragazza, ma che riusciva a coprire solo in parte il fetore che il corpo emanava. 
   Un lampo malizioso dello sguardo della ragazza, cui aveva fatto seguito un susseguirsi di battiti di ciglia, lo avevano acceso di piacere. Padrone per una notte del corpo della fanciulla l'aveva obbligata a inginocchiarsi davanti ai suoi piedi. Immediatamente dopo aveva avvicinato il capo della ragazza verso di sé e l'aveva obbligata a prendergli in bocca il pene.
   Adelina, per niente imbarazzata, aveva preso a succhiarglielo mostrando una certa propensione all'atto, cosa di cui lui non aveva mai dubitato, infatti, pur se vergine, come avrebbe costatato nel momento in cui l'avrebbe deflorata, lacerandole l'imene che aveva sanguinato copiosamente, era pur vero che altri uomini prima di lui ne avevano goduto della bocca e anche dell'ano.
   Un bacio appassionato aveva messo fine a quel loro primo incontro. Un piacere rimasto sospeso e prolungatosi sino alla sera seguente allorché si era ripresentato al postribolo per fare di nuovo l'amore con la fanciulla.
   Nelle settimane seguenti gli incontri con Adelina si erano ripetuti ogni notte, tanto che nella mente di Francesco, pazzamente innamorato della fanciulla, si era fatta largo una visione del tutto romantica del loro seppure mercificato rapporto. 
   Adelina, malgrado l'innegabile grazia, sembrava compiacersi nel fare godere, oltre a lui, anche i clienti che nel bordello richiedevano i suoi favori, mostrandosi, con l'andare del tempo, sempre più impudica e minimamente sottomessa, ma altera e piccante. 
   Se per certi versi il carattere di Adelina lo indisponeva, d'altro canto non si era mai perso d'animo perché non voleva rinunciare a quello che agli occhi della gente era un amore impossibile, seppure conscio che lei stava prendendosi gioco di lui.

   Il ritrovamento della salma nuda e mutilata di Adelina non aveva stupito i clienti e le cortigiane che esercitavano il mestiere nel bordello gestito dalla signora Flora. Il delitto era stato messo a tacere, nonostante la ragazza fosse stata a lungo torturata dal suo carnefice e le urla si fossero sentite in tutto il postribolo senza che nessuno intervenisse in suo soccorso. 
   Il cadavere era stato scaricato notte tempo da alcuni servitori del bordello nelle acque del torrente che lo aveva trascinato via senza lasciare nessuna traccia di quanto era avvenuto.
   Dopo quell'accadimento per un po' di tempo Francesco non aveva messo piede nel postribolo della signora Flora, conscio che in molti erano a conoscenza del delitto che aveva commesso, ma che nessuno aveva voluto denunciare per paura delle conseguenze che avrebbero potuto cadere sulle loro teste, nel caso lo avessero fatto, stante il ruolo di capitano della gendarmeria che Francesco occupava nel Gran Ducato.

 

 

 
 

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