LA CABINA
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

  
    
Una ragazza bionda e l'altra mora roteavano le anche sulla passerella, al ritmo di una musica sudamericana, inseguite da un turbinio di fasci di luce che rendevano lucente la pelle imperlata di sudore. Per niente intimorite dalla presenza di una moltitudine di persone, assiepate intorno alla pedana, strofinavano la fica contro il legno delle pertiche che s'innalzavano verso il soffitto.
   Il movimento di braccia e gambe erano in perfetta sincronia con il moto delle anche e del fondo schiena. Entrambe davano a intendere di volere mimare un coito. Lo facevano con assoluta credibilità, mantenendo le labbra della fica appiccicate al legno della pertica, fingendo di procurarsi un orgasmo che a ogni esibizione non raggiungevano mai.
   Le tette, ritoccate dal bisturi di un chirurgo plastico, ondeggiavano al pari delle natiche senza sosta, accendendo la fantasia dei clienti assiepati ai piedi della pedana.
   Tutt'a un tratto una delle cubiste, quella mora dal viso sfatto e con due cerchi neri sotto gli occhi, scostò il pube dalla pertica. Lasciò cadere una mano fra le cosce e cominciò a strofinare le dita sui peli del pube, davvero radi in verità, dopodiché ficcò un dito nella vagina. Abbandonata la presa sul legno della pertica, che per tutto il tempo dell'esibizione aveva mantenuto stretta nell'altra mano, si avvicinò al limite della pedana dove erano accalcati i clienti, come animali in calore, e si sporse col pube in avanti.
   Gli uomini l'accolsero stendendo una mano nella sua direzione con la speranza di toccarla. L'altra la conservavano attorno il cazzo occupati a masturbarsi.
   La cubista piegò le ginocchia e allargò le cosce mettendo in mostra l'intima parete rosea della vagina, luccicante e bagnata d'umore, dando facoltà agli spettatori di guardare in profondità fra le labbra aperte. Trascorse qualche secondo dopodiché schiuse gli occhi e lasciò cadere il capo all'indietro, ramazzando il pavimento alle proprie spalle con la lunga chioma di capelli neri. Da quella posizione serrò la bocca e con il labbro inferiore stretto fra i denti proseguì nella propria esibizione.
   Iniziò a toccarsi l'estremità dei capezzoli, piccoli e scuri, fino a renderli turgidi, applaudita dagli habitué del locale che non si lasciavano sfuggire ogni movimento del giovane corpo durante l'esibizione.
   Il pavimento tutt'attorno alla pedana era colmo di fazzoletti di carta dilapidati dai clienti che se n'erano serviti per pulire la cappella dallo sperma. La maggioranza degli spettatori, sottratti alla vista delle cubiste dal buio della sala, avevano provveduto a masturbarsi schizzando il liquido lattiginoso contro il muretto della passerella che portava evidenti tracce del loro autocompiacimento. Tutt'a un tratto la cubista si mise carponi sulla pedana e incominciò a roteare il capo da un lato all'altro della pedana.
   Da quella posizione avrebbe potuto pisciare addosso a ciascuno degli uomini assiepati davanti a lei. In altre occasioni lo aveva fatto, ma stavolta lasciò a bocca asciutta chi avrebbe desiderato dissetarsi accogliendo fra le labbra il getto di piscio.

   Il Boogy Bar era ubicato nell'angiporto, poco distante dalla banchina in cui ormeggiavano i traghetti in partenza per le isole. La strada brulicava notte e giorno di prostitute e transessuali pronti a contrattare prezzo e prestazioni con i clienti. Il locale era frequentato da pervertiti buoni solo a scopare o farselo mettere nel culo. Non ero capitata lì per caso e nemmeno era la prima volta che ci mettevo piede perché mi sentivo a mio agio in mezzo a quella ciurma di pervertiti.
  Tutte le volte che mi capita di trovarmi dalle parti del Boogy mi piace fare visita a uno dei peep-show che si affacciano nella strada. Dentro una delle cabine mi soffermo a masturbarmi mantenendo lo sguardo fisso sui corpi nudi di una donna o di qualche uomo che fingono di toccarsi davanti ai mie occhi.
   Non mi sono mai fatta scrupolo delle pareti imbrattate di sperma all'interno delle cabine, anzi, ho sempre trovato eccitante la vista di fazzoletti sparsi sul pavimento abbandonati dagli uomini che mi hanno preceduta in quel posto. Talvolta ho persino accostato i fazzoletti umidi di sperma alle narici e mi sono eccitata nell'annusare quella sorta di lerciume.

* * *

   Sedute attorno a un tavolo del Boogy io e mamma ci sentivamo parte integrante di quella messinscena, ma ancora non sapevamo qual era il ruolo che la serata ci avrebbe riservato. Al pari di entraineuse, magnaccia, cubiste, camerieri, buttafuori e clienti eravamo consapevoli protagoniste dello show che si stava consumando nella sala.
    Mamma ha trentadue anni, sedici più dei miei, ma il suo corpo non ha niente da fare invidia al mio. Gli habitué del Boogy, soprattutto gli uomini, ci considerano sorelle e noi non facciamo niente per farli ricredere. 
  Mi sentivo a mio agio fra la gente che mi stava d'intorno e non era soltanto per merito delle pasticche che avevo ingerito prima di uscire da casa. Eravamo occupate a sorseggiare uno scotch con ghiaccio, stordite dai fumi di sudore, sperma e sangue, di cui era impregnato il locale. Tutt'e due indossavamo gonna corta, camicetta ampiamente scollata, e scarpe con tacchi da 12 calzate apposta per fare sembrare slanciate gambe e cosce.
   Da quando avevamo preso posto al tavolo ci guardavamo d'intorno con finta noncuranza decise a stanare dal gruppo di uomini che ci ronzavano d'intorno uno con cui scopare.
   Un esemplare lampadato, di bassa statura, con i capelli impomatati, tirati all'indietro, era seduto su uno sgabello accanto al bancone della mescita. Manteneva lo sguardo fisso nella nostra direzione e ci guardava con occhi da gatto. Indossava un giaccone nero, trequarti da marinaio, e un maglione girocollo color latte.
   Incrociando il suo sguardo girai il capo di lato senza tradire alcuna emozione. L'uomo rimase a fissarmi a lungo senza staccare lo sguardo dal mio viso. Parlai sottovoce con mamma e la resi partecipe delle attenzioni che lo sconosciuto mi riservava. Lei ammiccò un sorriso verso l'uomo, dopodiché diedi il via alla nostra esibizione.

   Il vestibolo della latrina puzzava di disinfettanti: acido muriatico o candeggina, probabilmente. L'odore che spandeva nell'aria la fila di orinatoi incastonati a una delle pareti era pestilenziale. Ero eccitata, terribilmente eccitata, e non stavo più nella pelle per la voglia di scopare.
   Prima di raggiungere la latrina ero transitata davanti al mio ammiratore dandogli a intendere, con un cenno dell'occhio, di venirmi appresso. 
   Le porte di tre gabinetti si aprivano sulla parete opposta a quella degli orinatoi. Il legno di ciascuna porta giungeva fino a venti centimetri dal pavimento lasciando uno spazio libero. Questo permetteva a chiunque di scorgere scarpe e caviglie di chi occupava il cesso. Andai dritta verso la porta di mezzo e aprii l'unica delle tre porte che sapevo essere fornita di chiavistello. 
   Un tanfo nauseabondo s'infilò fra le mie narici quando oltrepassai l'uscio. Rimasi dubbiosa se avanzare o meno. Nel vaso di maiolica, a un passo da me, erano evidenti le tracce di escrementi, piuttosto recenti, che spandevano una puzza insopportabile. Tirai la corda dello sciacquone e con lo spazzolone che avevo scorto in un angolo del cesso, vicino al water, pulii la superficie interna del vaso di maiolica facendo scivolare le feci nella fognatura.
   Quando l'acqua cessò di scendere dalla vaschetta abbassai la tazza del water e andai a sedermi sopra. 
   Le pareti del cesso erano imbrattate di scritte tracciate con materia fecale, ma anche da sperma rinsecchito che qualche cliente aveva spruzzato sulle mattonelle lasciando che colasse fino sul pavimento. Sull'uscio, a mezza altezza, intravidi un paio di fori di diverse dimensioni. Chiunque, dall'esterno, mettendo l'occhio in quei fori, avrebbe potuto guardare la persona rintanata nel cesso.
   La porta dell'antibagno sbatté. Dal rumore di passi sul pavimento intuii che doveva trattarsi di un uomo. Una dopo l'altra le porte dei gabinetti attigui a quello che occupavo furono aperte e sbattute contro la parete interna. La stessa mano cercò d'aprire la porta dietro a cui stavo rintanata bloccata con il chiavistello.
   - Sono io, apri!
   Da sotto la porta intravidi l'estremità delle scarpe dell'uomo. Erano calzature con suola doppia e tomaia alta a punta rotonda di colore nero. Il timbro della voce era greve e risoluto, allora non esitai a ubbidire. Sollevai il chiavistello e lasciai che l'ospite spalancasse la porta. 
   Mi trovai di fronte a un pezzo d'uomo, magro, col volto scavato, venuto lì per scoparmi. Mi guardò fisso negli occhi e slacciò i bottoni della patta. Tirò fuori l'uccello e lasciò cadere brache e mutande sul pavimento. Afferrai il cazzo nella mano e lo scappellai rivoltando la corona del prepuzio.
   La cappella prese vigore e cominciò a gonfiarsi nella mia mano insieme a tutto il resto. Puzzava da fare schifo, increspata com'era di smegma residuo del sedimento di urina. Annusai a fondo il tanfo, deliziata dall'odore di piscio, poi affondai le labbra attorno alla cappella. Spinsi il resto del cazzo nella bocca e cominciai a succhiare con quanta forza avevo in gola.

   Seduta sulla tavolozza del water assaporai il rotolo di carne che stringevo nella mano gustando l'odore che buttava fuori mentre lo spompinavo. Una grande quantità di saliva mi si era accumulata nella bocca rendendo fluido il movimento del cazzo che mantenevo serrato fra le labbra per compiacere l'uomo a me sconosciuto. 
   Le lunghe gambe dell'uomo furono percorse da intensi brividi di piacere. Incominciò a tremare con tutto il corpo. Rallentai l'azione per timore che mi sborrasse in bocca prima del tempo. Mi dedicai a succhiare lo scroto estendendo con la mano la cappella verso l'alto, mentre con l'altra mano presi a masturbarmi. Avevo la fica fradicia d'umore. Il cuore mi martellava nel petto e il fiato mi usciva a fatica dalla bocca. Non stavo più nella pelle per l'eccitazione e desideravo venire al più presto.
   Ogni volta che mi capita d'appartarmi con uno conosciuto sono cosciente del rischio che corro, ma praticare il sesso in questo modo rende la circostanza ancora più eccitante.
   Avevo rinunciato a fargli indossare il preservativo, affascinata dall'aspetto del cazzo, sennonché me n'ero pentita subito dopo. A questo pensavo quando d'improvviso la porta si spalancò alle spalle dell'uomo.
   Mamma si era affacciata allo stipite della porta. Se ne stava immobile, celata alla mia vista dietro le spalle dell'uomo. Indietreggiai col sedere sulla tavolozza del water lasciando spazio sufficiente affinché l'uomo si sedesse col culo sul bordo della tazza del water, volgendomi le spalle. Mamma abbassò le mutande e si mise cavalcioni sulle ginocchia dell'uomo, infilò il cazzo nella fica e cominciò a dondolarsi aiutandosi nel movimento del bacino con le braccia che serrò attorno al collo dell'uomo.
   Davanti alla bocca avevo la nuca dell'uomo e poco più in là il volto di mamma, e tutti e tre formavamo un magnifico sandwich di carne.
   Scorgere il viso di mia madre appagata nei sensi mentre scopava mi procurò una immensa gioia. Da tempo non la vedevo eccitata in quel modo. Insieme avevamo condiviso l'amore di mio padre per molti anni; lei come moglie e io come figlia. Nel possedere il corpo del nostro ospite, scopandolo e succhiandogli il cazzo, avevamo l'impressione di possedere ancora una volta un uomo d'amare in comune.
   Avvolsi le braccia attorno al petto dell'uomo e lo strinsi forte a me. Rimasi ad ascoltare il rumore del suo respiro, affannoso, rivelatore di una forte emozione.
   Le spinte del bacino di mia madre erano in simbiosi col ritmo dei suoni che le uscivano dalla bocca. Un mugolio costante lasciò posto a un urlo quando raggiunse l'apice del piacere. Assistetti all'orgasmo che li colse entrambi in breve successione.
   Quando uscii dal cesso, subito dopo il coito, mamma era impegnata a succhiare il cazzo al nostro ospite, intenzionata a farlo rinvenire al più presto, non paga di quanto aveva già ottenuto. Mi ripresentai nella sala e lasciai mamma e il suo amico ai loro giochi, ma non andai a sedermi al tavolo che avevo occupato in precedenza, stavolta andai a rinchiudermi nel buio di una cabina.
   Al bancone della mescita mi ero fatta consegnare una manciata di monete che consumai ad ammirare una showgirl impegnata a toccarsi la fica mentre mi masturbavo. 

 

 
 

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