L'APPARTAMENTO
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

          Quando mise piede nell'appartamento, un monolocale di trenta metri quadri al terzo piano di un vecchio stabile a ringhiera, ubicato nel quartiere dell'Oltretorrente, le imposte dell'unica finestra che si affacciava sulla strada erano chiuse. Un fascio di luce filtrava dalle fessure di legno delle persiane e disegnava sul pavimento di terracotta sottili strisce di diverso colore.
   Uno sgradevole odore di stantio incombeva nell'appartamento. Lorenzo si avvicinò alla finestra e la spalancò, dopodiché diede una spinta alla leva del catenaccio che teneva congiunti i legni dell'imposta. La luce del sole fece capolino nella stanza e la illuminò a giorno.
   L'orologio che indossava al polso segnava le 16.45. Ancora quindici minuti e Irene l'avrebbe raggiunto in quella stanza, poi avrebbero fatto l'amore.
   Il cazzo gli pulsava sotto il tessuto dei pantaloni. Era eccitato e con addosso una grande voglia di seppellire la cappella nella bocca d'Irene. Si sarebbero incontrati in quella stanza per la prima volta e non sarebbe stata l'ultima, pensò.
   Da quando erano amanti scopavano dove capitava, il più delle volte nei cessi dell'azienda in cui tutt'e due lavoravano. Lo facevano in piedi, oppure con lui seduto sulla tavolozza del water e Irene che gli stava sopra, cavalcandolo, con le ginocchia allargate nella posizione a smorzacandela.
   Il contratto d'affitto del monolocale, stipulato da Lorenzo con l'impiegata dell'agenzia immobiliare con cui aveva preso contatto, prevedeva un canone di locazione pari a 300 euro mensili. Dalla cifra erano escluse le spese condominiali e quelle di acqua, luce, e gas. Servizi, quest'ultimi, che non avrebbe mai attivato poiché con Irene si sarebbero incontrati soltanto durante il giorno, sottraendo il tempo ai rispettivi coniugi. Se fosse stato necessario illuminare la stanza, avrebbero utilizzato i lumi da cimitero che aveva provveduto ad acquistare e riposto nella dispensa sopra il lavandino della cucina.
   Due cuscini e un paio di lenzuola, ancora nei loro imballi originali, erano appoggiati sopra il letto. Era sua intenzione lasciare a Irene il compito di disfare le confezioni e preparare il letto dove avrebbero steso i loro corpi.
   Tutt'a un tratto gli prese una gran voglia di pisciare. L'appartamento era privo di servizi igienici. L'unico cesso alla turca del fabbricato, in uso comune con gli altri inquilini, si trovava al termine del camminamento a ringhiera fuori dalla porta.
   Si avvicinò al lavandino, sistemato nell'angolo di cottura, abbassò la lampo dei pantaloni, e lasciò che l'urina colorasse di giallo la vasca di maiolica. Per ultimo diede una scollata alla cappella in modo che le ultime gocce di urina cadessero nel lavandino, dopodiché aprì il rubinetto per togliere le tracce di urina, dimenticandosi che acqua non ce n'era poiché non aveva attivato il servizio. Ripose l'uccello nella patta dei pantaloni, e si allontanò dal lavandino.
   Erano le 17.00 quando si mise seduto sul bordo del letto in attesa che sopraggiungesse Irene. L'eccitazione col trascorrere dei minuti aveva fatto posto a una crescente inquietudine. Guardò a più riprese il quadrante dell'orologio inseguendo il movimento delle lancette che avevano tutta l'apparenza di muoversi veloci.

   Alle 17.05 Irene non si era ancora fatta viva. Strano, pensò, perché di solito ai loro appuntamenti era puntuale. Tolse dalla tasca della giacca il cellulare e verificò se c'erano degli SMS in arrivo. Lo schermo del display era privo di messaggi. Si avvicinò alla finestra, sistemò i gomiti sul davanzale, e guardò le acque limacciose che scorrevano nell'alveo del torrente ingrossato dai temporali dei giorni precedenti.
   Tutt'a un tratto gli tornò alla mente una frase che Irene aveva pronunciato qualche giorno addietro. 

"Penso che fare sesso con un unico 
uomo sia una cosa contro natura". 

   L'aveva ascoltata senza contraddirla, con la solita aria da pesce lesso che lo contraddistingueva ogni volta che l'assecondava nelle sue dissertazioni.
   Irene era il bene più prezioso che la vita gli aveva riservato e non voleva perderla. L'amava, anche se non era stato facile accettarla per com'era. E poi non le avrebbe mai fatto capire che era a conoscenza dei ricorrenti tradimenti che perpetuava a danno suo e del marito. Di provare un forte sentimento d'amore per lei lo aveva compreso quando il sorriso di Irene aveva cominciato a ispirargli più desiderio del possedere il suo corpo. Senza accorgersene era diventata una ossessione.
   Le ripeteva - ti amo - in ogni occasione, pur essendo consapevole di non essere il solo uomo a godere delle sue grazie. Lei invece lo coccolava come fosse un bambino, rassicurandolo di continuo, perché lui era pieno di angosce di cui non andava fiero.

   Abbandonò il davanzale e si mise seduto sul bordo del letto. Posò lo sguardo sugli interstizi delle mattonelle di terracotta, del tutto simili al disegno di un labirinto, e ne seguì i percorsi. D'improvviso lo colse il dubbio che Irene non si sarebbe presentata all'appuntamento. 
   Se lo sentiva addosso che non sarebbe arrivata.
   Guardò ancora una volta l'orologio: le lancette segnavano le 17.15.
   Irene non era solita mostrarsi in ritardo. Ma allora qual era il motivo della sua assenza? Quale? Ripeté più volte a se stesso. Angosciato incominciò a camminare nervosamente per la stanza, riflettendo sulla loro storia, e pensò che avrebbe dovuto metterci la parola fine. 
   Sempre più spesso gli succedeva di fare questo tipo di riflessioni, specie quando era lontano da lei, poi gli bastava vederla, incrociare il suo sguardo, fare l'amore, stringerla a sé e tutte le paure scomparivano. Sarebbe successo anche stavolta? Non ne era certo.
   Ancora una volta esaminò lo schermo del display del cellulare. 
   Era privo di messaggi!
   All'improvviso avvertì un rumore di tacchi che proveniva dal ballatoio. Quando il calpestio si esaurì intese bussare alla porta. Smise di vagabondare per la stanza e si avvicinò alla porta.
   - Chi è? - chiese.
   - Sono io, Irene.
   La voce della donna lo liberò dalle preoccupazioni che lo avevano afflitto. Girò la maniglia della serratura e spalancò la porta.
   Irene era davanti a lui bella più che mai. Nelle mani stringeva un sacchetto di plastica e una ingombrante borsa-valigia.
   - Cazzo! Sei in ritardo, oramai stavo per andarmene.
   - Hai ragione, mi sono attardata ai magazzini dell'Oviesse e il tempo mi è volato via. Ho acquistato un poco di cose che serviranno ad arredare il locale. Contento?
   - Eh?
   - Ti ho chiesto se ho fatto bene.
   - Sì, certo. - disse Lorenzo, rapido nel chiudere la porta alle loro spalle.
   - Carino il monolocale, mi piace. - disse Irene dopo essersi guardata intorno. - Hai avuto del gusto nel sceglierlo, bravo!
   - Guarda qui. - le fece segno indicando la finestra. - Il panorama che si gode sull'alveo del torrente è magnifico.
   Irene diede l'impressione d'essere poco interessata al paesaggio. Appoggiò la borsa-valigia sul pavimento insieme al sacchetto di plastica che aveva mantenuto stretto nella mano.
   - Ho acquistato questo attaccapanni. Guarda! E' stato concepito a fisarmonica, e si rinchiude su se stesso. Ti piace? - disse estraendo dal sacchetto di plastica un appendiabiti di legno che si allungò nelle proprie mani. - Lo potremmo appendere a quella parete. - disse indicando il muro a lato della porta d'ingresso.
   - Sì, certo.
   - E poi ho acquistato una trapunta. - lo informò indicando la borsa-valigia ai suoi piedi. - E' imbottita, ma non è vero piumino. E poi...
   - Sì, va bene, ma vieni qua, dai.
   Irene non si sottrasse all'invito di Lorenzo, si avvicinò alla balaustra della finestra e si mise a fianco dell'uomo.
   - Beh, non dici niente?
   - Eh?
   - Dimmi se ti piace.
   - Sì, mi piace, te l'ho già detto, no?
   Lorenzo mise un braccio intorno a un fianco di Irene e la strinse forte a sé. Rimasero qualche istante a guardare le acque limacciose del torrente, poi si abbracciarono.
   - Ho temuto che non saresti arrivata.
   - Che sciocco sei. Ho solo perso del tempo ai magazzini dell'Oviesse, altrimenti ti avrei raggiunto prima.
   - Dici davvero?
   - Sì. - lo rassicurò.
   Irene lasciò cadere le labbra su quelle di Lorenzo e si baciarono. A entrambi piaceva scambiare la lingua nella bocca dell'altro. Erano abituati a rincorrersi titillando l'estremità una contro l'altra seducente preludio ai successivi piaceri.
   - Mi sei mancata. - disse stringendola a sé.
   - Ci siamo lasciati solo un paio di ore fa, in ufficio.
   - Quello che intendevo dire è che ho voglia di te, del tuo corpo, della tua figa.
   - Anch'io ho voglia di te, e del tuo cazzo.
   Lorenzo pose le mani sulle natiche di Irene e l'attirò a sé. Seguitarono a crogiolarsi scambiando i liquidi della loro saliva nelle bocche. Quando Irene si staccò per liberarsi degli abiti lui la imitò. Si tolse camicia e pantaloni che lasciò cadere sul pavimento.
   - Ho fatto bene a comperare l'attaccapanni. La prossima volta che c'incontreremo voglio trovarlo appiccicato alla parete. Promettimelo! - disse Irene liberandosi del minuscolo tanga che le copriva i radi peli del pube.
   - Promesso.
   Liberate le tette dal reggiseno Irene si sdraiò sul letto. Lorenzo si distese accanto a lei. Seguitarono a lungo a toccarsi, sfiorandosi la pelle con le estremità delle dita, accrescendo il desiderio che avevano di congiungersi. A lui piaceva scopare nella posizione del missionario a lei in quella a smorzacandela. 
   Tentato dalla voglia di seppellirle l'uccello nel culo, stavolta la prese da dietro, alla pecorina, intanto che lei si masturbava il clitoride.

   Quando le ombre della sera avvolsero di buio la stanza erano sfiniti, stretti uno accanto all'altra sulla branda, in attesa di separarsi.
   - E' ora che me ne vada, manca poco alle sette, fra poco mio marito torna a casa.
   - Mi ami?
   - Perché me lo chiedi?
   - Non me lo dici mai.
   - E tu mi ami?
   - Io sì.
   - Andiamo, dai, che è tardi. - disse Irene mettendo fine alla conversazione.
   Quando furono per strada ognuno prese una direzione diversa. Si scambiarono un ultimo bacio nell'andito dell'edificio prima di uscire dal portone. Si sarebbero rivisti il giorno dopo, in ufficio.

   Lorenzo non sapeva se il loro rapporto sarebbe continuato a lungo. Pensò che un bruco impiega otto mesi per diventare farfalla dopodiché gli restano solo tre giorni di vita. Allora pensò che valeva la pena vivere in modo totale i giorni e le ore che gli restavano da vivere consumandoli insieme a Irene. 

 

 
 

------------------------------------

 
 

Racconti
1 - 100

Racconti
101 - 200

Racconti
201 - 300

Racconti
301 - 400

Racconti
401 - 500

Racconti
501 - 600

Racconti 601-700


.E' vietato l'utilizzo dei testi ospitati in questo sito in altro contesto senza autorizzazione dell'autore.
I racconti sono di proprietà di Farfallina e protetti dal diritto d'autore.
L'usurpazione della paternità dei testi costituisce plagio ed è perseguibile a norma di legge.