L'ABITO
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

       Dinanzi allo specchio della camera da letto osservavo la silhouette del mio corpo compiaciuta per l'abito che qualche giorno addietro avevo acquistato, ma soprattutto appagata per il sex appeal che sprigionava l'ampio décolleté.
   L'abito da sera, impreziosito con lustrini argentati, era confezionato con un tessuto semitrasparente fra il vedo e il non vedo. Smaniavo dalla voglia di mostrarmi in pubblico con indosso quell'abito. L'occasione l'avrei avuta da lì a poco quando, insieme a Ombretta, mi sarei recata al Picchio Verde, una balera ubicata alla periferia della città, per partecipare al veglione di fine anno.
   Diedi una sistemata al reggiseno, privo di spalline, persuasa d'avere nelle tette una appetitosa arma di seduzione. Mi ritrovai con i capezzoli turgidi per l'eccitazione. Le punte, fin troppe estese, sembravano volere trapassare il sottile tessuto dell'abito per mostrarsi nell'ingombrante volume.
   Ero consapevole che per apparire sexy non era necessario che mi mostrassi senza veli, oppure ammiccando in modo provocatorio agli uomini che a tarda notte avrebbero fatto di tutto per scoparmi, magari circuendomi con apprezzamenti d'ogni genere. Sennonché ero certa che un sorriso, uno sguardo malizioso, e delle movenze flessuose sarebbero state molto più provocanti che mostrarmi nuda, persuasa che sapere provocare è un'arte che si lascia anche vestire e non solo spogliare, come mi era capitato di leggere qualche giorno addietro sulle pagine patinate di Novella 2000.
   Guardando l’immagine del mio corpo riflessa nello specchio ero certa che le mie amiche, vedendomi così agghindata, avrebbero fatto chissà quali supposizioni sulla provenienza dell'abito, ma ero fermamente decisa a non rivelare d'averlo acquistato ai magazzini dell'Oviesse.
   Oramai non mettevo piede in una boutique da un paio d'anni o forse anche di più. Appagavo le mie curiosità trattenendomi dinanzi alle vetrine, mentre soddisfacevo le necessità di vestiario districandomi fra i bancali degli ambulanti nei mercati rionali, oppure approfittando dei saldi proposti a ogni cambio di stagione nei grandi magazzini.
   Vestivo con abiti di poco prezzo, confezionati con tessuti di scarsa qualità, senza darmi pensiero degli abiti esposti nelle vetrine delle boutique. Una sola volta, prima di sposarmi, mi ero concessa il lusso di acquistare alcuni capi di biancheria intima firmati dalla Perla. 

    L'azienda, una s.p.a. con sede in Svizzera, di cui ero stata alle dipendenze per vent'anni mi aveva licenziata insieme a decine di altre operaie. Nel frattempo l'azienda si era premurata di inaugurare uno stabilimento nella Cina meridionale realizzando in quel paese gli stessi manufatti che produceva in Italia, ma con costi della manodopera di gran lunga inferiori. La ditta mi aveva messo alla porta, inserendomi in un programma di mobilità, con un assegno mensile di seicentocinquanta euro, ma con scarse prospettive di essere assunta da una qualsiasi altra azienda stante la recessione economica. 

   L'abito da sera mi era costato duecento euro, poco meno di un terzo del valore dell'assegno di mobilità che percepivo mensilmente. Una cifra senza dubbio eccessiva per le mie povere tasche, tant'è che per acquistarlo avevo fatto ricorso a parte dei risparmi messi da parte in caso di necessità. 
   Da disoccupata sopravvivevo facendo economie su tutto, lesinando i centesimi persino nella spesa del pane che avevo cessato d'acquistare dal fornaio per produrlo con le mie mani dentro casa. Rare volte facevo la spesa all'ipermercato, mentre acquistavo tutto ciò di cui avevo necessità nei discount anche se la qualità dei prodotti era scadente.
   La separazione da mio marito era coincisa con il mio licenziamento dalla fabbrica. Una sera tornando a casa mi confessò di avere una relazione con un'altra donna. Se ne andò da casa lasciandomi un unico bene come ricordo: una Panda vecchia di quindici anni di cui ero l'intestataria. Forse voleva farmi capire che anch'io ero da rottamare.

   Alla guida della piccola utilitaria attraversai la città. Ero d'accordo con Ombretta che sarei passata a prenderla alle 22.00 in punto, dopodiché ci saremmo recate al Picchio Verde per il veglione di fine anno. Lì avremmo incontrato Flora e Adriana e i quattro uomini di cui né Ombretta né io conoscevamo l'identità, anche se eravamo impazienti di fare la loro conoscenza.
   Dopo i lunghi mesi trascorsi a compiangermi avvertivo impellente la necessità di stare in compagnia di qualcuno che si prendesse cura di me e soprattutto del mio corpo. Da quando mio marito si era allontanato da casa avevo ripreso a masturbarmi di frequente come facevo da adolescente. Ci avevo fatto il callo alle dita a forza di sfregarle sul clitoride. Avevo una dannata voglia di ricominciare a scopare perché volevo sentirmi di nuovo una vera donna. 
   Poco prima di uscire di casa avevo speso qualche centesimo di euro parlando al telefono con Ombretta comunicandole che stavo per raggiungerla.
   - Tutto bene? - chiese dopo essersi seduta sul sedile della Panda.
   - Sì, tutto Okay! - dissi.
   - Emozionata?
   - Non riesco a capacitarmi che sto per recarmi a una festa.
   - Mica siamo galline vecchie, siamo solo un po' stagionate. - disse accompagnando la frase con una risata.
   Alla guida della Panda ero un po' a disagio. Infatti, ai piedi calzavo un paio di scarpe con tacchi da 12 e avevo difficoltà a pigiare il pedale della frizione e quello dell'acceleratore. Per fortuna la strada era sgombra di autovetture e non fui costretta ad azionare di continuo il cambio delle marce.
   - Mi sento a disagio all'idea di trascorrere la serata con uomini di cui non conosco l'identità. Sai chi sono?
   - No, ma che t'importa?
   - E non sei curiosa di sapere qualcosa di loro?
   - Tutta brava gente, eh! Sono amici di Flora e Adriana.
   - Beh, allora siamo a posto!
   - Perché dici così?
   - Niente, niente...
   - Ma cosa ti aspettavi di essere corteggiata da Raul Bova o da Costantino?
   Incominciai a ridere e lei fece lo stesso contagiata dalle mie risa.
   - Ma lo sai che Costantino prima di diventare famoso si esibiva nei locali gay eseguendo degli spogliarelli? - dissi.
   - Ma, dai, non ci credo.
   - L'ho letto sulle pagine di una rivista. Non ricordo se era Novella 2000 oppure Visto. Boh!
   - Ne raccontano tante di stronzate quei giornali scandalistici. Se vuoi sapere cosa ne penso, allora ti dirò che non credo a nessuna delle storie che raccontano quelle riviste. 
   I giornali di gossip erano il mio passatempo preferito. Mi soffermavo a guardare le foto di star del cinema e quelle dei divi della televisione sorpresi seminudi in compagnia di donne sconosciute o altrettanto famose. I rotocalchi mi consentivano di ficcare il naso dentro un mondo dorato che avrei desiderato fosse anche il mio.
   - Sistema la macchina là, vicino al lampione, così quando usciamo dal Picchio Verde la troviamo subito senza dovere tribolare. - disse Ombretta nel momento in cui raggiungemmo il parcheggio della balera.
   Quando scesi dalla vettura conservai apposta la pelliccia ampiamente aperta. Speravo che Ombretta si accorgesse dell'abito che avevo indosso, cosa che non tardò a notare.
   - Accidenti come sei elegante! In macchina non m'ero accorta dell'abito che hai indosso, ma lo sai che sei fica da morire?
   - Dici? Avevo bisogno che qualcuno me lo dicesse, grazie!
   - Non scherzo, affatto, sei una bomba!
   - Anche tu. - mentii.
   Sono consapevole che nessun oggetto di abbellimento esprima meglio dei tacchi a spillo la femminilità di una donna, ma è altrettanto vero che camminare con un paio di scarpe provviste di un tacco di 12 centimetri non è facile per chiunque e io non ci sono abituata. Mi muovevo con difficoltà sul manto stradale mantenendo un equilibrio instabile, ma le avevo scelte perché non volevo rinunciare all'accostamento del tacco alto con l'abito nero. E poi le scarpe, come avevo avuto modo di guardarmi allo specchio prima di uscire di casa, slanciavano le gambe dalla caviglia in su affusolando i polpacci.
   Lasciai il cappotto al guardaroba ed entrai nella sala da ballo in compagnia di Ombretta. Un cameriere in abito scuro e papillon ci condusse al tavolo occupato da Silvia e Beatrice. Le presentazioni con gli altri ospiti furono brevi. Mi accomodai accanto a Ombretta mentre alla mia destra si sistemò Alberto, un marcantonio alto più di un metro e ottanta, perfettamente abbronzato, fornito di capelli fluenti, scuri, spalmati di gel. L'aspetto esteriore di Alberto metteva una certa soggezione, soprattutto per l'esagerata prestanza fisica dei pettorali. Solo più tardi venni a sapere che lavorava come macellaio presso un ipermercato della città e questo particolare la diceva lunga sulle sue doti fisiche.
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   La prima parte della serata trascorse in maniera divertente come non mi succedeva da tempo memorabile. Avevo voglia di compagnia, compiere quattro salti sulla pista da ballo, e divertirmi. Prima che scoccasse la mezzanotte avevo danzato con ognuno degli uomini seduti al nostro tavolo arginando le avance di ciascuno di loro. Verso l'alba le danze latinoamericane lasciarono il posto ai balli lenti, allora rimasi appiccicata per tutto il tempo ad Alberto.
   Mi sentivo ridicola mentre danzavo con lui. Il mio metro e sessantasei, associato a 60 chili di peso, era poca cosa rispetto alla sua prestanza fisica. Mentre ballavamo percepivo il cazzo che premeva contro il mio addome, ed era una deliziosa sensazione. Nel momento in cui lasciò cadere entrambe le mani sul mio fondoschiena, artigliandomi le natiche, non l'ostacolai e lasciai che si prendesse cura del mio culo nella maniera che desiderava. Restammo appiccicati una all'altro per lungo tempo, strusciandoci a vicenda, ballando su una sola mattonella.
   Ero eccitata e non desideravo altro che mi trascinasse lontano dalla pista da ballo o magari nel cesso per scopare, ma pareva non decidersi a farlo. Io invece non vedevo l'ora di stringergli il cazzo nella mano, masturbalo, e succhiarglielo come non mi accadeva da troppo tempo. Rimasi aggrappata come una ventosa al suo petto fino al momento in cui scelse di staccarsi da me. Trattenendomi per la mano mi fece attraversare la sala da ballo e mi trascinò fuori dal locale senza premurarsi di farmi indossare il cappotto.
   La volta celeste era affollata di stelle e la cosa mi sorprese non poco. Lo spazio confinante con il Picchio Verde era occupato da carcasse di autovetture e da rottami. Durante la corsa incespicai più volte nel terreno ghiaioso a causa dei tacchi da 12 che mi erano d'ostacolo nel camminare, malgrado ciò rimasi affrancata ad Alberto.
   Al cospetto dello scheletro di un'autovettura Alberto si collocò con la schiena contro la portiera dell'auto e mi attirò a sé. Non pronunciò una sola parola, ma non ce n'era bisogno. Lasciò cadere le labbra sulla mia bocca e mi baciò. Il contatto fu delicato, molto delicato, collocò le labbra sulle mie accrescendo il desiderio che avevo di essere posseduta. Il mio corpo fu attraversato da intensi brividi quando decise di penetrarmi infilando la punta della lingua nella mia bocca. Ricambiai il gesto facendo passare la mia lingua fra le sue labbra.
   Restammo a crogiolarci, annodati una all'altro, accrescendo la passione che ci divorava. Le sue mani presero a solleticarmi i capezzoli. A quei tocchi trasalii per il piacere che sapeva trasmettermi. Desideravo che mi scopasse al più presto, ma volevo che fosse lui a prendere l'iniziativa. Io gli avrei messo a disposizione tutto il mio corpo.
   Conquistata dal calore delle carezze non feci troppo caso alla gelida temperatura dell'aria, occupata com'ero a godere del piacere che sapevano trasmettermi i baci e le carezze. Tutt'a un tratto m'infilò la mano sotto la veste e l'accostò sopra una coscia. La fece salire sino all'inguine e si affrettò a deporla sotto l'esile tessuto del perizoma che occultava le parti intime del mio corpo. Avvertii le dita carezzarmi le labbra umide della passera fradicia d'umore e trasalii mugolando di piacere.
   Passò con un dito attraverso la fessura della vagina insinuandosi nei lembi più delicati e morbidi del mio corpo. Sobbalzai e cercai di serrare le pareti della vagina impaziente d'essere scopata da qualcosa di più consistente. Alberto mi prese la mano e l'accompagnò sulla patta dei pantaloni. Abbassai la lampo e una volta liberato il cazzo m'impossessai della cappella trattenendo il tutto nella mano.
   Alberto era equipaggiato di un cazzo adeguato alla sua statura. Iniziammo a masturbarci a vicenda gemendo di piacere per gli stimoli provocati dai nostri toccamenti. Seguitammo a scambiarci baci e carezze senza interrompere la nostra azione. Tutt'a un tratto posò le mani sul mio capo e mi spinse verso il basso. Mi ritrovai inginocchiata con gli occhi rivolti verso l'alto, accovacciata sui talloni, con il cazzo davanti alla bocca.
   Non esitai un solo istante a succhiarglielo. Incominciai a farlo dall'estremità della cappella, leccandogliela tutt'attorno prima di ingoiarla per intero, facendo seguire il resto del cazzo nella bocca, senza però raggiungere la radice. Reiterai il movimento più volte, in breve successione, godendo del piacere che sapeva darmi la penetrazione del cazzo fra le labbra.
   Desideravo che non eiaculasse troppo alla svelta, per godere a lungo del prezioso tesoro che muovevo fra le labbra, mentre tenevo gli occhi fissi verso l'alto cercando di intuire nel buio della notte l'espressione del volto di Alberto.
   Succhiavo il cazzo trattenendolo con la mano alla radice, allarmata per i ricorrenti movimenti che Alberto eseguiva con le natiche che spingeva in avanti insieme al cazzo.
   Seguitai a lungo a spompinarlo fintanto che si levò via e mi obbligò a distendermi con l'addome sopra il cofano della vettura. Da dietro mi sollevò la gonna e la stirò sopra la schiena, poi si adoperò intorno al perizoma facendomelo scendere sotto le ginocchia, fino alle caviglie, costringendomi a levarmelo completamente di dosso.
   Animato dalla smania di scoparmi mi costrinse a divaricare le gambe. Dalla posizione in cui mi ero venuta a trovare, chinata con l'addome sul cofano dell'autovettura, non mi riuscì di vedere cosa stesse combinando alle mie spalle. Percepii la morbidezza della cappella a contatto con l'intimo della figa e subito dopo mi penetrò. Era quello che desideravo dopo avere avuto sentore della consistenza del cazzo mentre ballavamo. Smaniavo per la voglia che avevo di raggiungere al più presto uno e più orgasmi, consapevole che ero nella situazione ideale per riuscirci.
   Alberto mi sbatté il cazzo nella vagina con movimenti lenti, tenendomi ancorata al cofano con la forza delle braccia appoggiate ai miei fianchi. Avevo l'impressione che non fosse partecipe come lo era stato fino a qualche istante prima e non mi sbagliai, infatti, poco dopo emise due bestemmie e sembrò andare su tutte le furie.
   - Puttana! Ce l'hai così larga che non so nemmeno se ce l'ho nella figa o no, dannazione!
   Sconcertata per il tono offensivo delle sue umilianti parole provai a sollevarmi dalla scomoda posizione in cui mi ero venuta a trovare. Ma non riuscii a svincolarmi dalla stretta delle braccia che mi circondavano. Dopo essersi staccato dalla mia persona rimase qualche istante fermo alle mie spalle, poi avvertii la sua mano tastarmi l'orifizio dell'ano e tentare d'incunearsi dentro con un dito. Cercai di divincolarmi, ma non ci riuscii. Fui costretta a subire l'irruzione di quel corpo estraneo nel culo che si premurò di fare scorrere nello sfintere.
   Ero conscia di ciò che gli stava passando per la mente, ma non volevo essere inculata. Mario, il mio ex marito, ci aveva provato a convincermi a essere sodomizzata nel didietro, ma dopo alcuni maldestri tentativi ci avevamo rinunciato.
   Gridai per il dolore, infastidita per la violenza che Alberto stava mettendo in atto e glielo dissi urlando, scongiurandolo di non proseguire nel suo intento. Dopo avermi inumidito l'ano di saliva calcò la cappella contro lo sfintere e, forte del peso delle minacce con cui aveva incominciato a inveire, sospinse il cazzo nell'ano facendomi urlare per il dolore.
   - Ecco, è proprio come sospettavo, ce l'hai stretto il tuo buchetto, eh.
   Proseguì nel sodomizzarmi entrando e uscendo più volte con la cappella dal culo fintanto che eiaculò riversandomi lo sperma nella cavità, solo allora si ritirò lasciandomi sola col mio dolore sul cofano della carcassa dell'autovettura a piangere.

   L'abito da sera con cui ho partecipato al veglione di fine anno sta appeso a una gruccia nell'armadio della stanza da letto, non l'ho più indossato dopo la sventurata nottata al Picchio Verde. La settimana scorsa, qualche mese prima che scadesse il periodo di mobilità, ho ricevuto una convocazione dall'Ufficio Provinciale del Lavoro. Mi è stata proposta un'occupazione come cassiera presso un ipermercato della città e ho accettato il nuovo lavoro.

 

 

 
 

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