iPhone 5
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

       Uscendo dalla scuola, distratta dalla luminosa voce di Jovannotti che ascoltavo dagli auricolari appiccicati alle orecchie, sono incappata nella figura macilenta della signora Pongolini, la prof di matematica, e per l'ennesima volta sono stata oggetto delle sue attenzioni. Per niente imbarazzata dalla presenza delle mie compagne di classe mi ha preso per un braccio e trascinata di forza lontana da loro.
   Muso a muso ha cercato per l’ennesima volta di convincermi a non interrompere gli studi una volta che avrò conseguito il diploma di maturità liceale, ma d’iscrivermi a una facoltà scientifica dell'università perché, a suo dire, sono dotata di una capacità intellettiva superiore alla media delle liceali che frequentano la nostra scuola.
   Terminato il colloquio con la prof, stavo male, soprattutto perché ho dovuto sostenere il peso delle sue lumacose carezze senza trovare la forza di reagire per non compromettere l’esame di maturità. Di natura sono insofferente verso chi, per qualsiasi ragione, vorrebbe sottomettermi costringendomi ad accettare cose che non condivido, e la professoressa Pongolini, dal collo simile a quello di una giraffa, non la reggo proprio. E' pur vero che mollare gli studi con la mostruosa prospettiva d'intraprendere un lavoro da commessa oppure impiegata sarebbe davvero stupido, tanto più che è mio desiderio iscrivermi alla facoltà di ingegneria, ma ancora non ho trovato sufficiente coraggio per comunicarlo ai miei genitori poiché li costringerei a mantenermi per altri cinque anni agli studi.
   Le condizioni economiche della mia famiglia, a differenza della maggioranza delle mie amiche, non mi consentono di soddisfare tutti i miei desideri. Non sono drogata di consumismo, infatti, già da bambina ho imparato a rinunciare a molte delle cose che appetirei avere tutte per me, sennonché da un po' di tempo ho un pensiero fisso per la testa: possedere un iPhone 5.
   Chi già lo possiede, amiche e compagne di scuola, sembra volermi convincere che ne ho un assoluto bisogno. L’apparecchio simboleggia uno status symbol, un po' come lo sono gli abiti firmati o le auto di lusso per gli adulti. Merda! Sbavo dietro chi possiede un oggetto tecnologico come l'iPhone 5 e covo la speranza di poterlo mostrare, prima o poi, anch'io agli altri.
   Mentre cammino, dopo essermi lasciata alle spalle la prof di matematica, mi passano per la mente le interminabili code di persone, accalcate davanti alle porte degli Apple Store, viste nei telegiornali, che hanno caratterizzato il debutto in tutto il mondo del melafonino della Apple.   
   Non è un caso se la commercializzazione dell'apparecchio abbia segnato un record delle vendite, ma l'iPhone 5, stante il costo così elevato, non è alla portata di tutti, di sicuro non lo è per le mie povere tasche. E poi il prezzo dell'apparecchio non è per niente appropriato al reale valore dell'oggetto, ma condizionato dal marchio Apple. Un po' come succede per chi acquista una borsa di Louis Vuitton, in vendita nei negozi al prezzo di 1000 euro quando il costo reale, calcolando la mano d'opera e le materie prime, è di soli 10 euro. Magari in commercio esiste già qualcosa di tecnologicamente migliore rispetto all'iPhone 5 e a minor prezzo, non lo so, di sicuro a livello estetico non c'è niente che sia paragonabile alla bellezza di questo apparecchio. Costa caro, è vero, ma sarei disposta a fare qualsiasi sacrificio per stringerlo nella mano sostituendolo al mio vecchio smartphone Nokia.
   Oramai ho imparato a fare fronte alle piccole spese arrangiandomi da sola, mendicando poco o nulla ai miei genitori. Quando ho ungente bisogno di denaro me lo procuro nel solo modo che conosco; masturbando i miei compagni di liceo nell'intimità dei gabinetti della scuola, mascherando l'ostilità che ho nei confronti dei maschi.
   Se decido di entrare in possesso dell'iPhone 5 avrò bisogno di parecchio tempo per procurarmi i cinquecento euro indispensabili per acquistare l'apparecchio. Se ogni sega che sparo ai ragazzi del liceo mi frutta dieci euro, dovrei fare all'incirca cinquanta seghe per entrare in possesso dell'apparecchio; ma ne varrebbe la pena.

   Le mie amiche sono così cretine da avere bisogno di amare un uomo a tutti i costi. Io non sono mai stata vicina a nessun ragazzo da potermi bruciare. Se c'è una cosa che schifo sono i maschi. Mi servo di loro e basta. Mi piacciono le femmine e ho un amore segreto. E' la ragazza che occupa il banco davanti al mio. Durante le ore di lezione mi capita spesso di distrarmi, rivolgerle lo sguardo, e perdermi a fantasticare su noi due, ma non ho mai trovato sufficiente coraggio per rivelarle quello che provo per lei. Ogni volta che ci troviamo una di fronte all'altra mi monta un irrefrenabile desiderio di accostare le labbra alle sue e baciarla. Prima o poi lo farò perché ormai il mio cuore batte celermente solo per lei.

   Merda! Sono rimasta in attesa dinanzi alla fermata dell'autobus per venti minuti, fintanto che una anziana donna che transitava sul marciapiede mi ha informata che i conducenti dei mezzi pubblici hanno proclamato uno sciopero improvviso. E adesso che faccio? Penso che mi toccherà percorrere a piedi i cinque chilometri che mi separano dalla mia abitazione. 
   Beh, sono fortunata a indossare scarpe da running, perché se calzassi stivali o scarpe dal tacco alto sarei in difficoltà a camminare così a lungo, ma nemmeno mi va di telefonare ai miei genitori perché mi vengano a raccattare dal momento che entrambi sono impegnati al lavoro. 
   Borsa tracolla, auricolari appiccicati alle orecchie, mi incammino lungo una assolata Via Cavour insieme a un gruppo di turisti giapponesi che si soffermano a guardare le vetrine dei negozi chiusi per la pausa pranzo. Frastornata dal rumore del traffico di automobili, intossicata dai fumi dei gas tossici emessi dai tubi di scappamento, raggiungo Piazza della Misericordia. Riscaldata dal sole di questa mite giornata primaverile, mi soffermo ad ammirare la facciata del Monastero di Santa Catilina. Una targa appiccicata alla porta del convento di clausura indica gli orari in cui è consentito fare visita alle monache. La clausura è una scelta di vita che non riesco a concepire, soltanto chi ha fede in Dio riesce condividerla. Una donna che si ritira in clausura, e si dedica a una vita contemplativa e alla preghiera, deve per forza essere una persona che ha paura di amare e preferisce mantenere piacere e dolore lontano da sé.
   Il convento con la sua impenetrabile cinta muraria permette alle monache di condurre una vita senza vedere né sentire. Tutto sommato penso che ritirarsi in clausura non sia una scelta coraggiosa, anzi tutt'altro, infatti, penso che sia una scelta da codardi. Mi piacerebbe chiedere a ciascuna delle monache, ospiti del convento delle carmelitane, se sono felici della vita che conducono. Magari mi risponderebbero che lo sono, ma i loro visi, gli occhi, sono certa che tradirebbero il loro vero stato. Chissà se nell'intimità delle loro celle le monache si sgrillettano la passera, oppure intrattengono rapporti lesbo fra loro come si sussurra da più parti. Penso sia abbastanza normale che accada perché è nella natura umana cercare il piacere. Ho cominciato a masturbarmi all'età di dodici anni, già prima che mi comparissero le mestruazioni, ma il vero piacere sessuale l'ho provato qualche anno più tardi quando un'amica mi ha insegnato a utilizzare il doccino, ed è stata la fine del mondo. Nell'intimità della vasca da bagno ho svitato il telefono del doccino, ho aperto le gambe, e ho puntato dritto il getto d'acqua sull'orifizio vaginale, e gli spasmi che ne sono seguiti in un breve lasso di tempo mi hanno fatto venire di un piacere che prima di allora, utilizzando soltanto il tocco delle dita, non avevo mai provato.

   Lascio alle mie spalle il Monastero di Santa Catilina e mi ritrovo in Piazza Castello. A capo chino cammino sulla pista ciclabile che fiancheggia Viale delle Rimembranze, zona della città frequentata al calare del sole da prostitute e transessuali. Mezzora di strada e sarò a casa, penso, mentre a ogni passo sento crescere una forte eccitazione a causa di chi, alla guida delle autovetture, rallenta la corsa e mi lancia sguardi allusivi e pronuncia frasi oscene indirizzate alla mia persona. 
   Un Suv compatto, megagalattico, di colore nero, con i vetri oscurati, mi affianca e procede lentamente pari pari al mio passo. Tutt'a un tratto l'autovettura arresta la corsa una decina di metri davanti a me. Dal finestrino oscurato, che si abbassa elettricamente, fa capolino un uomo. E' un tipo attempato, dal viso tondo, con baffi a manubrio, e si rivolge a me.
   - Quanto vuoi?
   - Eh? - dico sorpresa
   - Qual è il tuo prezzo?
   Se c'e' una cosa che schifo sono gli uomini pelosi. Dalla camicia bianca sbottonata sul davanti, da cui fa bella mostra una catena d'oro massiccio con pendaglio a croce, scorgo un mucchio di peli neri e grigi del tutto simili a quelli di un lupo mannaro. Arresto il passo e lo guardo attentamente. E' così brutto che persino le gocce di sudore devono scorrergli dietro la schiena per non guardarlo in faccia. 
   - Vaffanculo! - dico rivolgendomi a lui.
   Riprendo a camminare con il Suv che procede lento al mio fianco. L'uomo seguita a parlarmi addosso, ma non riesco a capire alcunché delle sue parole per il troppo rumore nella strada.
   - Vuole smetterla d'importunarmi o devo chiamare la polizia? - dico indicando il cellulare che mi premuro di togliere dalla tasca dei jeans, stanca di essere infastidita dalla sua presenza.
   - Ti pago cento euro se mi fai un pompino.
   - Ma per chi mi ha preso? - dico riprendendo a camminare verso casa.
   - Cento euro se mi fai una sega. - mi urla dietro l'uomo.
   Cento euro sono tanti mi viene da pensare mentre cammino, è pari a 1/6 del costo dell'ìPhone 5.
   - Allora, che fai? accetti?
   Arresto il passo, guardo il muso dell'uomo attraverso il finestrino, mantenuto abbassato, e gli spiaccico la mia proposta, certa che non l'accetterà.
   - Se mi dai duecento euro posso anche prendere in considerazione la tua richiesta. - gli rispondo sorprendendomi non poco. Abituata a fare seghe ai miei compagni di liceo per una decina di euro, non mi pare vero di riuscire a raggranellare venti volte tanto prendendogli il cazzo nella mano e condurlo a sborrare. 
   - Va bene, dai, sali sulla macchina.
   - Salgo su con te a una condizione. 
   - Quale?
   - Voglio che mi paghi in anticipo i duecento euro. E soprattutto che non ci allontaniamo da questo posto con la macchina.
   - Non ti fidi di me?
   - La vita è qualcosa di molto simile a un violento temporale. E prenderlo nel culo è questione di un lampo!
   - Sei spiritosa, però devi fidarti di me.
   - Prima consegnami i duecento euro dopodiché mi fido anche di te.
   L'uomo leva dalla tasca dei pantaloni il portafoglio, lo apre, e mi porge quattro banconote da cinquanta euro che mi premuro di riporre nella borsa che porto tracolla.

   La portiera del Suv, spinta nella mia direzione dall'uomo, si spalanca e io salgo dentro l'autovettura. Prendo posto sul sedile accanto a lui e resto in attesa. L'uomo fa scendere la cerniera dei pantaloni. Con una certa difficoltà estrae il cazzo e me lo mostra in piena erezione. Per niente disturbata da quella esibizione mi giro sul fianco del sedile, gli afferro il cazzo nella mano, e incomincio a masturbarlo.
   L'uomo reclina il capo sull'appoggiatesta e stende le gambe in avanti in modo da facilitarmi il movimento della mano. Eseguo meccanicamente quello per cui sono stata profumatamente pagata, alternando movimenti diversificati della mano, per niente eccitata dalla situazione in cui mi trovo, sperando che eiaculi al più presto.
   L'uomo sbuffa, ansima di piacere, eccitato dal modo che gli sto facendo la sega. Seguito a masturbarlo indecisa se sputargli un grumo di saliva sulla cappella, come spesso mi obbligano a fare i miei compagni scuola, ma desisto dal farlo. Più passa il tempo e più mi rendo conto che non sarà facile condurlo a eiaculare, contrariamente a quanto mi succede di solito. Tutt'a un tratto avverto una mano posarsi sul mio capo e vengo spinta verso il basso. Mi ritrovo con la bocca distante pochi centimetri dalla cappella, ma ho abbastanza forza per ritrarmi schifata dalla puzza di piscio che emana il cazzo. 
   - Adesso le tue labbra possono finire ciò che hai iniziato a fare con le dita. Ci conto, non deludermi.
   Riesco a liberarmi della mano che l'uomo mi tiene premuta sul capo e mi piego all'indietro indispettita dalla sua richiesta. Non ho mai succhiato il cazzo a nessun uomo e nemmeno ho intenzione di cominciare a farlo, tanto meno con una persona schifiltosa come lui.
   - Non erano questi patti, te ne sei scordato?
   - Non fare la difficile. Dai, succhiamelo.
   - No. - dico decisa.
   - Ti do altri duecento euro se lo fai.
   - Ho detto di no.
   - Quanti euro vuoi per succhiarmelo?
   Questo stronzo deve essere pieno di soldi. E guadagnare altro denaro mi alletta parecchio. Succhiare un cazzo non deve essere tanto schifoso se molte delle mie amiche lo fanno abitualmente con il loro ragazzo, e poi se è disposto a darmi duecento euro allora posso anche chiedergli di più. Magari è la volta buona che mi procuro tutto il denaro che mi serve per acquistare l'iPhone 5. 
   - Mi devi dare altri trecento euro se vuoi che te lo succhi. - gli snocciolo di brutto la cifra mentre ho ripreso a masturbarlo senza fretta.
   - Va bene. - dice seccato - Adesso però succhiamelo! 
   Chino il capo verso il basso e lascio cadere le labbra sulla cappella. Seppure stomacata dall'acre odore di piscio ingoio il cazzo per intero e incomincio a succhiarlo. Non l'ho mai fatto, nemmeno so come sia meglio fare, però mi adeguo e glielo succhio come ho visto fare alle pornostar protagoniste dei tanti film erotici cui ho assistito durante questi anni. 
   Mantengo una mano alla radice del cazzo mentre con la bocca vado avanti e indietro, su e giù, avendo a cuore di aspergere continuamente la cappella di saliva. L'uomo sembra gradire il pompino che gli sto facendo perché accompagna il movimento delle mie labbra con dei gemiti di piacere. Tutt'a un tratto avverto sul capo le sue mani che mi spingono ancora una volta verso il basso, obbligandomi a ingurgitare il cazzo per intero sino a sprofondare con la cappella nel fondo della gola. Merda! Faccio fatica a respirare e mi prende un conato di vomito. Riesco a liberarmi dalle mani che fanno presa sul mio capo, appena in tempo per tossire e riprendere fiato.
   - Non smettere...continua a succhiare! - mi urla addosso non pago del pompino che gli sto facendo.
   Spingo di nuovo la cappella in bocca e riprendo a succhiare. Stavolta mi aiuto con il movimento della mano in modo da farlo venire più celermente e mettere fine a questa disgustosa prestazione sessuale. Stringo con la mano le palle e accresco il suo piacere, lo percepisco da come sta tremando tutto. Deve essere prossimo a venire. Spero. 
   Lo sperma mi sommerge la gola. Non ho fatto in tempo a ritrarmi per evitare gli spruzzi di seme perché l'uomo si è premurato di tenermi il capo spiaccicato verso il basso. Mi ritrovo imbarazzata, con la gola colma di sperma, e non so come comportarmi. Mi verrebbe da sputare tutto fuori, ma non lo faccio, invece deglutisco tutto nello stomaco appena l'uomo mi lascia libera di tirare indietro il capo dalla posizione in cui mi ha obbligata.
   - Brava, sei stata davvero brava.
   Non gli rispondo, non ne ho la forza né la voglia di farlo. L'unica cosa che desidero è scappare al più presto da questo abitacolo e ritirare i quattrocento euro che mi ha garantito.
   - Adesso però pagami.
   Apparentemente calmo seguita a pulirsi il cazzo con un fazzoletto di carta, asportando le restanti tracce di sperma, senza darmi risposta.
   - Allora? Mi paghi?
   L'uomo ricaccia il cazzo oramai moscio dentro i pantaloni e serra la cerniera nascondendo la cappella alla mia vista, dopodiché mi guarda schifato e butta il fazzoletto di carta lordo sperma contro il mio viso.
   - Scendi dalla macchina, subito! Puttana!
   - Prima dammi i soldi.
   - Ti ho detto di scendere dalla macchina, se non vuoi che ti prenda a sberle troietta che non sei altro.
   - Ma...
   Non faccio in tempo a terminare la frase che mi ritrovo distesa sul selciato del marciapiede, dopo che sono stata spinta fuori dalla autovettura dall'uomo a cui ho fatto il pompino. Sto per alzami, pronta a insultalo, ma il Suv si allontana di fretta lasciandomi sconcertata.

   Con duecento euro in più nella borsa riprendo a camminare verso casa. Me ne mancano quattrocento per raggiungere la cifra necessaria per acquistare l'iPhone5. Domani a scuola mi darò da fare masturbando i miei compagni. Se prostituirsi significa affittare il proprio corpo, sposarsi significa venderlo, e io sono certa che non mi sposerò mai.

 

 
 

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