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IL
QUARTO STATO
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Ero
salita sul treno interregionale, in
partenza dalla stazione di Parma alle
9.06, intenzionata a raggiungere Milano,
mettendo a frutto il giorno di riposo
settimanale dal posto di lavoro, riposo coinciso
con la ricorrenza di Sant'Ilario patrono
della mia città. Sennonché non avevo
alcuna intenzione di recarmi nella città
lombarda per fare dello shopping, contrariamente
alle mie abitudini, bensì per fare
visita al Palazzo dell'Arengario, luogo
deputato a ospitare il nuovo museo di Arte Moderna,
inaugurato da solo un paio di settimane,
preso d'assalto da un folto
pubblico già dal primo giorno dell'inaugurazione
e non vedevo l’ora di visitare le sale
espositive.
Salita su una delle
carrozze del convoglio in partenza alla
stazione di Parma andai a sedermi su una poltrona,
posizionata a ridosso di un finestrino
in modo da osservare, senza alcun
impedimento, il panorama circostante
durante il percorso d'avvicinamento a
Milano.
Dopo la notte trascorsa con
un paio di amiche a fare bagordi,
spostandoci da un pub all’altro, ero
stanca morta. Infilai nelle orecchie gli auricolari,
collegati al lettore Mp3, e chiusi gli
occhi rapita dalle musiche dei Negramaro.
Soltanto quando il treno si mise in
movimento aprii gli occhi e mi resi
conto che la carrozza dove avevo preso
posto si era riempita di persone. Stavo
rivolgendo lo sguardo su una ragazza,
probabilmente straniera, impegnata nella
ricerca di una poltrona libera dove
sedersi quando un uomo, proveniente dal
corridoio alle mie spalle, occupò la
poltrona dirimpetto alla mia.
Gambe accavallate,
distratta nei miei pensieri, mi persi a
osservare gli edifici che, al pari delle
ganasce di una morsa, premevano attorno
i binari della linea ferroviaria mentre
il convoglio si separava dalla città.
La giornata era uggiosa, di
un grigiore melanconico, con la campagna
offuscata dalla pioggia e da numerosi
banchi di nebbia. Eppure, nonostante il
cattivo tempo, non vedevo l'ora di
mettere piede a Milano per fare visita
al Palazzo dell'Arengario; un museo
concepito dagli artefici del progetto
per diffondere nel mondo la conoscenza
dell'arte italiana del Novecento.
Non stavo nella pelle
per l'ansia che mi portavo addosso.
Finalmente sarei riuscita ad ammirare di
persona e non più sui testi le opere di
Boccioni, Balla, De Chirico, Sironi e
Fontana esposte nelle diverse sale della
mostra, ma soprattutto non vedevo l'ora
di guardare da vicino "Il Quarto
Stato" di Pellizza da Volpedo di
cui in passato, alla pinacoteca di Brera,
dello stesso autore, avevo potuto
ammirare: "Fiumana", un
quadro, a parere dei critici d'arte,
propedeutico a "Il Quarto
Stato".
Dell'opera
"Fiumana" ricordavo
soprattutto i contorni non ben definiti
delle figure ritratte nella tela, cosa
che all’epoca mi aveva lasciato
alquanto perplessa, anzi scettica.
Da qualche parte avevo
letto che i volti delle persone ritratte
nel quadro erano stati dipinti
appositamente sbiaditi dall'artista.
Alcune figure risultavano perfino
trasparenti, questo perché era
intenzione di Pellizza da Volpedo
comunicare l'anonimato delle figure,
quasi fossero senza identità, perché
era in questo modo che operai,
contadini, e le loro famiglie, nel primo
novecento, erano considerati dai
padroni.
La massa delle persone
raffigurate nella tela assomigliava per
davvero a un fiume in piena, come
d'altronde era indicato dal titolo
"Fiumana" dell'opera. Una
forza della natura che, a chi guardava i
soggetti di uomini e donne raffigurati
nel dipinto, doveva dare l'impressione
che stavano avanzando serrati verso un
futuro migliore.
Presa com'ero nei miei
pensieri non feci troppo caso alla
presenza dell'uomo che aveva occupato la
poltrona di fronte alla mia. Soltanto
quando mi avvidi che in modo piuttosto
indelicato insisteva a rivolgere lo
sguardo verso la mia persona, tanto da
darmi l'impressione che volesse
sezionami con gli occhi, mi sentii a
disagio.
Tutt'a un tratto, facendolo
precedere da un ampio sorriso, si
rivolse a me. Distratta com'ero,
impegnata ad ascoltare la musica dei
Negramaro attraverso le cuffie degli
auricolari, sollevai il capo e lo
guardai perplessa.
- Ha detto qualcosa? -
dissi seppure poco interessata alle sue
parole.
- Stavo dicendo che io la
conosco.
Io invece non mi ricordavo,
affatto, della sua persona. E per quanto
mi sforzassi di richiamare alla mente
dove potevo averlo incontrato, non
sapevo chi fosse. Istintivamente pensai
che le sue parole nascondessero un modo,
tutt'altro che ben congeniato, per farmi
il filo.
Taglio di capelli
giovanile, brizzolato sulle tempie,
sfoggiava un look antimonotonia con
jeans e camicia fantasia volutamente
stropicciata sotto la giacca. Tutto
sommato il suo aspetto esteriore, ben
studiato per quanto il modo di vestire
apparisse modellato apposta per
ringiovanirlo, mi suggerì che il suo
look fosse soltanto un'arma di seduzione
a cui fanno ricorso certi uomini senza
per questo rinunciare all'eleganza.
Insomma il classico tipo d'uomo maturo
che rassicura e ispira fiducia ed è
considerato da molte donne sexy e
attraente.
Mostrava d'avere
all'incirca una quarantina di anni,
dieci più dei miei, ma immaginai
dovesse essere dotato di un bel cazzo,
pensai, stante il fisico massiccio.
Sennonché non personificava il mio tipo
d'uomo perché troppo fighetto per i
miei gusti.
- Non ricordo dove possiamo
esserci incontrati, ma potrei anche
sbagliarmi smemorata come sono. - dissi
con fare distratto.
- Ho accompagnato più
volte mia moglie al beauty farm
"Liberi e Belli" di Borgo del
Parmigianino. E' lì che lei lavora,
vero?
Presa alla sprovvista
esitai prima di rispondergli. Come
estetista, questo è il mio mestiere,
alle cure delle mie mani si sono
affidate una infinità di persone, senza
limitazioni d’età, sesso, e
provenienza sociale. Negli ultimi anni una
infinità di uomini e donne, vecchi e
giovani, intellettuali e casalinghe,
studenti e disoccupati, sono stati
sedotti dalle opportunità di cambiare
in meglio il proprio aspetto fisico per
apparire più belli e affascinanti, e io
ho fatto di tutto perché ci riuscissero
applicandomi nell’esercizio della mia professione.
- Mi riesce difficile
conservare nella memoria il volto di
tutti i clienti che hanno usufruito dei
miei trattamenti estetici. Qual è il
nome di sua moglie?
- Elena… Elena
Contrafforti!
- A essere sincera non mi
suggerisce niente di particolare questo
nome.
- Beh, in effetti, mia
moglie ha frequentato la beauty farm
"Liberi e Belli" qualche anno
fa e per un breve periodo, ma io mi
ricordo assai bene di lei. Spero che non
si offenda se le dico che lei è una
donna che non passa inosservata.
- Ah, sì? Bene, e allora?
- Non deve essere per
niente facile soddisfare le necessità
delle clienti che si rivolgono a lei,
vero?
- Per chi svolge la mia
professione è opportuno limitarsi
all'ambito estetico, evitando di
oltrepassarlo, per non cadere in quello
curativo che rimane di competenza
medica. Infatti, io mi limito al
trattamento estetico del viso, del
corpo, delle mani e dei piedi delle
persone.
- Cioè?
- Pulizia del viso, trucco,
massaggio estetico, pedicure, manicure,
depilazione...
- Piuttosto semplice, no? E
non fa nient'altro?
- Beh, per esercitare in
modo corretto tutte queste attività
occorre una buona conoscenza
dell'anatomia del corpo umano. E io l'ho
acquisita con lo studio e la pratica.
- Ne sono convinto.
- Ma occorre anche avere
delle conoscenze di dermatologia,
fisiologia, igiene e alimentazione.
- Eh, sì.
- A queste conoscenze di
cui le ho fatto cenno ho associato anche
nozioni di cosmetologia. Penso siano
indispensabili per chi vuole praticare
la professione di estetista.
- Deve essere eccitante
prendersi cura del corpo degli altri,
vero?
- Perché dovrebbe essere
eccitante?
- Non negherà che in certe
occasioni si sarà eccitata nel
massaggiare il corpo di qualche uomo,
specie quando si è trovata ad avere a
che fare con qualche personaggio famoso.
- E se così fosse?
- Non deve mostrarsi
risentita per la natura della mia
domanda, dopotutto penso sia normale
eccitarsi venendo a contatto con il
corpo di un uomo.
- Magari potrei provare
maggiore interesse nell'entrare a
contatto con il corpo di una bella
donna, soprattutto se dotata di grosse
tette e una fica stretta. Che ne sa lei?
Ognuno ha i suoi gusti, non crede?
- Eh, sì.
Probabilmente lo sorpresi
nell'atteggiarmi a lesbica perché si
ritirò su se stesso e mi lasciò in
pace. Alla fermata del treno alla
stazione successiva, quella di Fidenza,
mi salutò con freddezza e scese dal
carrozza.
Alla beauty farm
"Liberi e Belli" di Borgo del
Parmigianino non avevo più messo piede
dopo che ero stata licenziata. Ma
all'uomo con cui mi ero intrattenuta a
conversare sul treno, di proposito non
avevo rivelato qual era la mia nuova
occupazione, probabilmente ne sarebbe
rimasto inorridito e non volevo che
accadesse.
Senza lavoro, priva
di sostentamento, avevo bussato alla
porta di molti centri estetici alla
ricerca di un impiego, ma la mia tenacia
non aveva sortito alcun positivo
effetto, ciononostante non avevo voluto
arrendermi alla cattiva sorte. Ero nella
condizione ideale di chi è costretto a
reinventarsi una nuova occupazione e
l’ho fatto.
E' con l’immaginazione e
l’ingegno che sono riuscita a
sviluppare una nuova professione
sfruttando le mie conoscenze di
estetista. Ed è soprattutto grazie a
questa preparazione che sono diventata
una professionista della cosmesi
funeraria.
In poche parole mi occupo
di truccare al meglio il volto delle
salme, ritoccandolo e abbellendolo
specie quando è deturpato da profonde
ferite. Insomma faccio in modo da
rendere il caro estinto maggiormente
presentabile ai parenti per l'ultimo
commiato.
Grazie all'esperienza
accumulata in tanti anni di lavoro da
estetista riesco a dare al volto dei
cadaveri l'aspetto che i parenti
vorrebbero che avessero i loro cari, a
cominciare dalla pettinatura dei capelli
su cui applico della lacca in modo da
tenerli bene fissati. Ma più di tutto
mi concentro sull'espressione del volto
della salma affidatami dai congiunti. Lo
faccio premurandomi di fissare sulle
labbra del caro estinto un sottile velo
di colla, nella zona interna, per
modellare un certo tipo di sorriso. Agli
occhi invece applico della pomata di
vaselina oppure dei composti similari
per evitare che raggrinziscono durante
il tempo di esposizione ai visitatori
nella camera ardente, mentre per quanto
riguarda il make-up dell'intero viso
faccio uso di cere anche molto dense nel
caso sia necessario nascondere
cicatrici, ematomi o esiti di traumi.
Ma non mi occupo
soltanto di truccare il volto della
salma. A volte i parenti, specie le
mogli, mi chiedono di occuparmi anche
del resto del corpo e in particolare di
effettuare un make-up dei
genitali con tanto di fotografia ricordo
e io le accontento.
La cosmesi funeraria è una
attività estetica abbastanza diffusa
negli Stati Uniti d'America, ma pressoché
sconosciuta in Italia. Io ne sono una
antesignana e da circa un anno professo
quest’arte con molto profitto.
Tutto ha avuto inizio
quando, dopo molti tentennamenti, mi
sono decisa a scribacchiare un
particolare annuncio che mi sono
premurata di propagandare su parecchi
giornali del Nord Italia. Se l'ho fatto
è perché era mia intenzione tastare il
terreno e avere un riscontro oggettivo
sull'opportunità di intraprendere
questo tipo di lavoro, cosa che è
avvenuta prontamente poiché sono stata
subissata da richieste d'informazioni
con telefonate e missive al mio
indirizzo e-mail.
Oramai imbellettare il
volto di vivi o quello dei morti per me
non fa nessuna differenza, anche se
trovarmi ad avere a che fare con persone
non più in vita mi spinge ad averne
maggiormente rispetto per loro.
Dopotutto migliorare l'aspetto delle
persone è sempre stato il mio lavoro, e
poi avendo a che fare con dei cadaveri
non corro il rischio di ritrovarmi a
respingere le avance di qualche focoso
cliente che, dopo un po' che lo
massaggio, si ritrova con il cazzo duro
come il marmo, sollecitato dal movimento
delle mie mani sul suo corpo.
Il treno interregionale
delle 9.06 in partenza da Parma giunse a
Milano, meta del mio viaggio, alle
11.05, con una decina di minuti di
ritardo sull'orario previsto dalle
Ferrovie dello Stato. Servendomi della
Linea Gialla della metropolitana
raggiunsi Piazza del Duomo in breve tempo. Non
ebbi difficoltà a individuare il
Palazzo dell'Arengario, sede del Museo
del Novecento, luogo deputato a ospitare
nei diversi piani dell’edificio le
opere d'arte del XX° secolo. Il palazzo
dall'architettura di epoca fascista si
trovava dirimpetto l'uscita della
metropolitana alla destra della facciata
del Duomo
La giornata seguitava a
mostrarsi piovigginosa, ma non ebbi
bisogno di aprire l'ombrello tascabile
che custodivo nella borsetta per
ripararmi dalle gocce di pioggia.
All'ingresso del museo un
serpente di persone erano in coda in
attesa di entrare nel Palazzo
dell'Arengario. Mi misi in fila sotto il
porticato, al riparo dalla pioggia,
fintanto che, insieme a un piccolo
gruppo di visitatori, mi fu concesso di
entrare nell'edificio.
Una rampa a spirale,
sprovvista di gradini, mi guidò nel
percorso museale. Tutt'a un tratto, con
mia grande sorpresa, camminando lungo la
salita, incrociai lo sguardo con
l'enorme tela del
"Quarto stato" dipinta da
Pellizza da Volpedo.
Sbalordita da tanta
bellezza mi soffermai a osservare
l'immagine, seppure disturbata dal
chiacchiericcio di un gruppo di persone
ferme lungo la rampa, con lo sguardo
rivolto verso un’opera considerata uno
dei maggiori simboli della società del
XX° secolo. Dipinto che, secondo le
intenzioni dell'autore, dovrebbe
simboleggiare non solo la protesta
sociale, ma anche l'affermazione di una
nuova classe sociale: quella del
proletariato.
Una lacrima mi bagnò una
guancia prima che mi allontanassi da lì
per proseguire nella visita lungo il
percorso museale.
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