IL DORMITORIO
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

          Ogni notte il dormitorio comunale di Borgo San Giuseppe dava ospitalità a venti senzatetto. Una luce notturna, di colore azzurrino, illuminava l'ampio salone dove trovavano posto tre file di letti disposti a castello.
   Coricato sul materasso dove Mario aveva trovato posto faceva fatica a prendere sonno, ma non era la puzza di marcio di cui era saturo il locale e nemmeno il rumore del russare a tenerlo sveglio. Dell'altro gli frullava per la testa impedendogli di dormire.
   Gino, uno dei clochard con cui era solito trascorrere le notti nel dormitorio, occupava il posto letto, rasente il pavimento, della branda a castello dove Mario dormiva. Durante la notte lo aveva sentito più volte girarsi nel materasso e lamentarsi con insistenza, segno evidente che faticava a prendere sonno pure lui oppure smaniava soltanto.
   Entrambi conducevano vite parallele, nel senso che ognuno svolgeva una propria vita durante il giorno, ma ogni notte finivano per appisolarsi in una delle brande a castello del dormitorio comunale.
   Mario si nutriva con il cibo che si procurava rovistando nei cassonetti dei rifiuti, soprattutto quelli collocati in prossimità dei supermercati. Gino invece aveva sempre in tasca denaro sufficiente con cui procurarsi da mangiare e bere.
   Mario era a conoscenza del modo in cui l'amico, per pochi euro, si faceva adescare dai pederasti che battevano il piazzale antistante la stazione ferroviaria in cerca di maschi disposti prendergli il cazzo in bocca da succhiare.
   A Mario quella cosa gli riusciva sgradita, ma non aveva mai rifiutato di bere nello stesso collo di bottiglia dove il compagno aveva posato le labbra.
   Mario si era messo per strada per vivere una vita da accattone, lasciando alle proprie spalle l'ufficio delle Ferrovie dello Stato dove aveva consumato i migliori anni della propria vita.
   Per oltre vent'anni aveva occupato una sedia dietro uno sportello per la vendita di biglietti ferroviari. Durante tutto questo tempo si era angosciato nel distribuire tagliandi ferroviari verso mete a lui note oppure ignote.
   Dal primo giorno che aveva messo piede negli uffici della stazione ferroviaria era rimasto in attesa di un evento, una rivelazione, di qualcosa d'indefinibile che potesse cambiargli la vita. Invece i giorni si erano consumati tutti uguali, anno dopo anno, senza cambiamenti, ciononostante aveva seguitato a vivere con fiducia, certo che non poteva essere soltanto quella la vita che il destino gli aveva riservato.
   Il giorno in cui i medici gli avevano diagnosticato una malattia, di quelle che non lasciano scampo, era entrato in crisi esistenziale. Solo allora aveva preso consapevolezza dell'inutilità di una vita vissuta in quel modo.
   Senza dare nessuna spiegazione aveva abbandonato l'ufficio, gli amici, e la propria abitazione per vivere il resto dei suoi giorni per la strada.
   Quando il medico gli aveva rivelato la gravità della malattia si era sentito trascinare verso un abisso profondo, un baratro mai immaginato, se non per gli altri. D'improvviso si era reso conto che nell'intimo soffriva di un male terribile, ma non si trattava della malattia che il medico gli aveva diagnosticato. Non gli restava più niente a cui attaccarsi per vivere. Non aveva famiglia e amici, era in disarmo e solo.

   Roteò il bacino cambiando di posizione sul letto a castello facendo vibrare l'impalcatura di ferro. Nella mente si rincorrevano dei flashback che riguardavano cose e persone del passato. Da quando aveva preso coscienza del proprio stato di malattia gli succedeva sempre più spesso di faticare a prendere sonno. Affondò il mento nel guanciale e pensò che in fondo la vita è solo una questione di culo. "O ce l'hai o te lo fanno". E questo Gino, il compagno di sbronze che stava nel letto a castello sotto di lui, lo sapeva bene.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 

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