IL DIRITTO 
DI ESSERE ASCOLTATI

di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

       Nonno Alfredo appartiene alla generazione di coloro che hanno fatto il ’68. E’ una persona ricca di valori morali e ha consacrato la propria esistenza al servizio dei più deboli, dei più poveri e degli ultimi, esercitando una professione, quella del medico di famiglia, che gli ha permesso di rimanere fedele ai principi di solidarietà di cui è sempre andato fiero.
    Non è mai sceso a compromessi e non perde occasione per rammentarmi che da giovane ha preso parte alle lotte studentesche che nel ’68 e negli anni a seguire, a suo dire, hanno prodotto radicali cambiamenti nella società e nella coscienza delle persone. Un movimento di contestazione generale, quello di quegli anni, che ha contribuito ad avviare una vera e propria rivoluzione culturale, a cominciare con la trasformazione dei costumi, proseguita con le istanze, la rivendicazione dei diritti e la presa di coscienza di quei valori di libertà e solidarietà che noi, giovani d’oggi, sembriamo non apprezzare perché li diamo per scontati. Nemmeno ci rendiamo conto che altri prima di noi hanno lottato per conquistarli, contestando e scontrandosi con una cultura oppressiva e prepotente che imperava a quei tempi.
    Nonno Alfredo seguita a ripetermi che se oggigiorno diamo per scontato il recarci a scuola indossando jeans stracciati, T-shirt con scritte e disegni assurdi, capelli lunghi e tatuaggi stravaganti, prima del ‘68 tutto questo non lo era per niente. Anzi, per quanto concerne la condotta delle ragazze, era impensabile, prima di allora, che avessero il permesso dei genitori per uscire di casa con indosso la minigonna e prive del reggiseno. Sino allora persino prendere il sole in topless nelle spiagge era considerato un reato e punito con l’arresto, così come non era ammesso parlare liberamente di sesso fuori e dentro la scuola.
    Se oggi tutto questo è possibile dovremmo ringraziare chi come mio nonno ha fatto il ’68. A dirlo è Giulia, mia nonna, che spesso ci tiene a raccontarmi che da ragazza era una “figlia dei fiori”, che poi non ho mai capito cosa significasse. Mi ha confidato che prima del '68 parlare di sessualità era inimmaginabile, confidandomi che da liceale, quando faceva sesso con mio nonno, doveva porsi dei limiti per non correre il rischio di rimanere incinta, mentre se avesse potuto fare ricorso agli anticoncezionali, come succede alle ragazze d’oggi, non avrebbe avuto problema di limiti nel fare l’amore, e nemmeno sarebbe rimasta incinta come invece le è accaduto all’età di diciassette anni. 
    I miei nonni si sono sposati mentre frequentavano l’ultimo anno di liceo dopodiché, un paio di mesi dopo l’esame di maturità, a seguito di un parto tribolato è nata mia madre.

    Mio nonno aveva diciotto anni quando, sull’onda del maggio francese, là dove gli studenti della Sorbona avevano messo a ferro e fuoco le strade di Parigi alzando barricate, immaginò con altri compagni di scuola di fare la rivoluzione.
   Erano parecchi gli studenti disposti a tutto pur di realizzare quello che a distanza di cinquant’anni ha tutta l’apparenza di essere stato un delirio. Contagiato dal clima di ribellione che aleggiava dentro e fuori le mura della scuola, mio nonno e i suoi compagni di liceo aspiravano a dare un maggiore significato alla propria esistenza, riempiendola di nuovi valori, determinati nel realizzare una società giusta, basata sull’uguaglianza. 
    Quelle idee, seppure giuste, erano soltanto un'utopia, una bellissima utopia. Lui lo sa bene, ma non rimpiange di avere vissuto quegli anni inseguendo un grande sogno.
    La storia d’amore dei miei nonni è sbocciata nel corso di quei travolgenti giorni di contestazione generale, culminati con occupazione del liceo Tasso e della maggior parte delle scuole superiori della città. 

    A distanza di cinquant’anni dalle vicende del ’68, che al liceo Tasso hanno avuto come protagonista mio nonno, noi studenti abbiamo di nuovo occupato lo storico liceo parmigiano. Questo perché con la nostra rabbia vogliamo comunicare al governo, ma anche alle autorità scolastiche cittadine, che siamo nauseati da questa scuola. Infatti, non la reggiamo più e occuparla è l’unico modo che c’è rimasto per farci ascoltare dalla città tutta.
    La preside dell’istituto scolastico, intervistata da un giornalista di una emittente televisiva locale, ha dichiarato che si è spesa per evitare che occupassimo l’edificio scolastico, affermando che la nostra occupazione è un atto illegale poiché, di fatto, nega ai docenti il diritto di svolgere il proprio lavoro, infine la stronza ha concluso l’intervista dichiarando che noi studenti dovremmo manifestare le nostre idee in maniera democratica senza occupare la scuola.
     Un sermone, il suo, in aperto contrasto con le parole di un rappresentante del governo che proprio in questi giorni, sulla prima pagina del quotidiano La Stampa, ha definito le occupazioni “una lotta all’apatia”, bollando di fatto come apatici i professori e gli alunni contrari alle occupazioni che in questo momento sono in atto in molte scuole italiane.
     Cosa ha di diverso l’occupazione che porto avanti con i miei compagni rispetto a quella di cinquant’anni fa condotta da mio nonno e dai suoi compagni? 
    Nel corso delle assemblee che abbiamo svolto prima dell'occupazione, ma soprattutto in questi ultimi giorni, abbiamo dibattuto a lungo, scontrandoci e confrontandoci, e quello che ne è uscito fuori è un documento.
    Quello che chiediamo alle autorità scolastiche è un maggiore coinvolgimento di noi studenti nel consiglio d’istituto, libri scolatici meno costosi, gratuità nei trasporti, laboratori attrezzati, maggiore integrazione con il mondo del lavoro, e soprattutto metodi d’insegnamento all’avanguardia, che tengano conto del costante progredire dell’innovazione tecnologica e dei contenuti digitali. La società è in continuo movimento, mentre la nostra scuola è rimasta arretrata, anzi in certi istituti la didattica è rimasta tale e quale da decenni. La stessa cosa sono certo devono averla vissuta gli studenti all’epoca mio nonno, eppure da allora sono trascorsi cinquant'anni.

    I gruppi di fascisti che nel '68 avevano attaccato gli studenti asserragliati nei locali dell’Università di Via Cavestro sono gli stessi di Casa Pound che alcune sere fa, armati di mazze e bastoni, ostentando il saluto romano, hanno assalito il liceo Tasso. Allora mio nonno e i suoi compagni, per niente impauriti dalle barre di ferro che i fascisti brandivano come arma da offendere, li avevano fronteggiati e respinti e lo stesso abbiamo fatto noi. 
    L'episodio in questione si è verificato nel primo giorno di occupazione del Tasso. Erano da poco passate le otto di sera quando, uscendo dal bar posto di fronte all’ingresso principale del liceo, io e tre compagni di scuola siamo stati fatti segno di un agguato da parte di fascisti di Casa Pound.
    Ci hanno colpito alle spalle, con spranghe e pugni di ferro, fintato che io e un altro ragazzo siamo caduti a terra. Con la loro faccia da bulldog ci hanno preso a calci e pugni, sghignazzando e urlando slogan fascisti. Siamo stati salvati dal fulmineo sopraggiungere di un gruppo di nostri compagni che, usciti dalla scuola, hanno messo in fuga i nostri aggressori rincorrendoli fintanto che si sono visti minacciare con dei coltelli. Solo allora hanno desistito dall'inseguirli. 

    Antonella è stata la prima degli occupanti la scuola a prendersi cura della mia persona. Si è chinata su di me e mi ha carezzato la fronte, poi si è messa a piangere mentre con un fazzoletto si è premurata di tamponare il sangue che fluiva dalle ferite che mi deturpavano il viso. 
    Se è vero che ognuno ha un angelo custode che lo protegge allora, osservando il suo sguardo, ho capito che era lei il mio angelo.
    Fra tutte le ragazze che prendono parte all’occupazione della scuola non mi sarei mai aspettato che proprio lei accorresse in mio soccorso, anche perché più volte le avevo spedito degli SMS in cui la invitavo a seguirmi, durante l’intervallo di metà mattina, in uno dei gabinetti della scuola per fare sesso, ma non aveva mai accettato l’invito, anzi non si era nemmeno presa la briga di rispondermi.

   Al liceo Tasso, come sta avvenendo in molte altre scuole, da circa un anno a questa parte va di moda la “baby doccia”. Si chiama in questo modo perché sono molte le ragazze disposte a fare sesso nei bagni della scuola. Fra loro c’è chi si rende disponibile a farlo anche più di una volta al giorno, con ragazzi diversi, allo stesso modo di come ci si lava di frequente le mani. 
     La maggioranza delle ragazze pratica la “baby doccia” perché va di moda, altre invece lo fanno per sentirsi disinibite e combattere la noia. Quindi è inevitabile che siano molti i maschi che approfittano della disponibilità delle ragazze per fare sesso nei bagni della scuola, e io sono fra questi. 
    Per darsi appuntamento nei bagni basta scambiarsi un particolare sguardo nei corridoi della scuola oppure spedire un messaggio con scritto semplicemente “sss”. E’ questo il codice con cui ciascuno invita l’altro/a a fare sesso. Io sono abbastanza richiesto dalle ragazze, forse perché si è sparsa la voce delle misure del mio cazzo. Non ho mai rifiutato questo tipo d’inviti e ho sempre risposto dando l’OK indicando a quale cambio dell’ora di lezione sono disponibile a incontrare la ragazza che mi ha contattato. 
     Per questo genere d'incontri scelgo quasi sempre uno dei bagni al terzo piano dell’istituto. Sono i più isolati e puoi farti fare del sesso orale o scopare senza essere disturbati.
    Le ragazze che si rendono disponibili a praticare la fellatio non lo fanno né per soldi né per ottenere una ricarica del telefono, nemmeno per raggiungere il godimento, ma giusto per il piacere di farlo e scoprire cosa si prova a trasgredire. Nella scuola, fra noi liceali, girano numerosi video che documentano questo genere di azioni, e di queste immagini ne sono assoluto protagonista con il mio cazzo preso ad esempio come trofeo da fare vedere a ragazze e ragazzi.

    Sono all'incirca una ventina le ragazze della scuola che praticano la “baby doccia”, e ancora di più sono quelle disponibili a partecipare a festini che organizziamo nelle abitazioni di noi studenti approfittando dell’assenza dei genitori. In quelle occasioni mettiamo su un po’ di musica, balliamo, beviamo qualche lattina di birra, e poi chi lo desidera sceglie una ragazza o un maschio con cui fare del sesso in una delle stanze. E a mezzanotte si torna tutti a casa a dormire.

    Questa è la terza notte che trascorro fra le mura della scuola occupata ed è la prima in compagnia di Antonella. Abbiamo trascorso la prima parte della serata insieme al gruppo di studenti che partecipano all’occupazione. D'accordo con loro abbiamo cenato rifocillandoci con delle pizze, caratterizzate da diversi gusti e formati, che abbiamo fatto arrivare dalla Pizzeria Ducale che svolge il servizio d’asporto. Mentre io e Antonella ci cibavamo della pizza abbiamo seguitato ad adescarci fintanto che a mezzanotte le ho proposto di allontanarci dal corridoio, invaso dai sacchi a pelo degli altri ragazzi, per cercare un po’ di intimità in una delle aule del primo piano della scuola. E lei ha accettato l'invito.

    Adesso siamo qui, lei e io, soli, mentre fuori dell’edificio scolastico ha iniziato a piovere. Ce ne stiamo infilati nei rispettivi sacchi a pelo, sistemati sul pavimento, in una delle aule del primo piano. Nella memoria ho bene impresse le lacrime che Antonella ha versato su di me quando mi ha soccorso mentre ero steso sulla strada, scosso e ferito, dopo essere stato preso a botte dai fascisti di Casa Pound, e quel pianto mi ha fatto capire quanto sono importante per lei.
    Nessuno dei due, infilandosi nel sacco a pelo, ha scelto di spogliarsi. Entrambi abbiamo mantenuto addosso gli indumenti che avevamo stamani quando siamo usciti di casa. Seguitiamo a parlare nel buio dell’aula mentre lo stillicidio delle gocce di pioggia, che s’infrangono contro i vetri delle finestre, provocano un particolare rumore amplificato dal silenzio dell’aula scolastica. 
    Non ho avuto bisogno di insistere per indurla ad accettare d’appartarci in quest'aula abbandonando la compagnia degli altri ragazzi. Abbiamo brandito il sacco a pelo che in precedenza avevamo collocato nel corridoio insieme a quello degli altri, l'abbiamo arrotolato su se stesso e lei mi ha seguito sino qua. Non so bene cosa si aspetta da me io invece ho ben chiaro cosa voglio da lei.
     Ci adeschiamo con carezze e baci senza biascicare una sola parola fintanto che il bisogno costante di un maggiore contatto fisico si impadronisce di noi. Mi scopro fuori dal sacco a pelo e abbasso la cerniera del suo. Ci troviamo di nuovo abbracciati, lontani dal mondo, ubriachi di felicità, e insistiamo a coccolarci e cercarci con le mani, assaggiandoci a vicenda, scambiandoci momenti di piacere con le labbra appassionatamente incollate le une alle altre. Vorrei dirle che adesso lei mi appartiene come io appartengo a lei, ma non riesco a trovare le parole giuste per dirglielo. 
    I vestiti che abbiamo addosso sono innegabilmente di troppo, così ce ne liberiamo. Inizio a farlo per primo; lei imita il mio gesto. Nella semioscurità della stanza, rischiarati dalla luce dei lampioni della strada, effettuiamo gli stessi gesti, le medesime azioni, con un sincronismo incredibile. Infine finiamo per ritrovarci completamente nudi.
    Siamo andati oltre la soglia del pudore oltre il quale possiamo solo perderci. 
    - Ho voglia di fare l’amore con te. E non di scoparti soltanto. - le sussurro all’orecchio.
    - Anch’io. - mi risponde timida.
    Il desiderio di fare l’amore è troppo forte perché ci possiamo bloccare, e nessuno dei due vuole fermarsi. Faccio scendere una mano fra le sue cosce e mi ritrovo a lambire il cespuglio di peli che le protegge la vagina.
    E’ bagna fradicia dei suoi umori e la cosa mi fa un grande piacere.
    Accompagno la sua mano sull’uccello. Antonella non si tira indietro e prende a masturbarmi. Mi comporto allo stesso modo. Le carezzo il clito gonfio di voluttà e avverto che ciò le piace perché ha subito un sussulto. Fa ondeggiare il pube e ansima in un vortice di piacere sedotta dalle mie attenzioni. E' dal primo pomeriggio che non vedevo l’ora di assaggiarla fra le cosce.
    Sono impaziente di condurla all’orgasmo e fare in modo che non possa mai dimenticare questa notte trascorsa in mia compagnia. I gemiti di Antonella si fanno più brevi e acuti, stringe le cosce come se volesse liberarsi delle mie guance mentre le lecco la figa. Mi infila le dita fra i capelli e un brivido mi percorre tutta la spina dorsale. Sollevo le mani con cui sino a ora le ho cinto le natiche, tenendo ancorata la figa alla bocca, e stendo le dita abbrancandole le tette. Le graffio e pizzico i capezzoli mentre lei urla di piacere e mi dà l’impressione di desiderare che io possa seguitare a farlo all’infinito. Proseguo a leccarle e succhiarle il clitoride fintanto che, al massimo dell’eccitazione, mi avvicina la bocca all’orecchio.
     - Scopami! - mi dice.
     Non me lo faccio ripetere un secondo di più. Sono sopra di lei, incurvo la schiena, e lei si premura di allargare le cosce per ricevere l’invasione del cazzo. La penetro e le pieghe dell’utero si modellano tutt’intorno alla cappella. Serra i muscoli soddisfatta, lega le gambe intorno ai miei fianchi incrociando le caviglie, e lascia che la monti come piace a me.

    Abbiamo fatto l’amore, quello forte, che soltanto due persone pazzamente innamorate come noi potevano mettere in atto. Ma lo abbiamo fatto anche in maniera dolce e appassionata, infatti, ho ancora bene impresso il ricordo delle sue mani che mi accarezzavano il capo e mi stiravano i capelli come una furia mentre stavo per venire sborrando dentro di lei. Il ricordo del rumore del suo fiato mentre godeva, intanto che le leccavo la figa, mi rimbomba con insistenza nella mente. Dopo che è venuta più di una volta e mi ha ghermito il viso, affamata di baci, e lo ha attirato a sé divorandomi.
    Fare all’amore pressoché al buio, dentro una aula scolastica, mantenendo gli occhi chiusi, aperti o semichiusi, ci ha uniti ancora di più. Sono le quattro del mattino e ci ritroviamo abbracciati, ansimanti e sudati come non mi era accaduto mai prima di stanotte, ma non smettiamo di baciarci e sorriderci, aggrappati uno all’altra. Tutt’a un tratto mi tornano in mente le parole di nonna Giulia quando, a suo tempo, mi ha rivelato che è in una notte molto simile a quella che sto trascorrendo in compagnia di Antonella, è rimasta incinta di mia madre... e mi sta subentrando il panico! 

 

 
 

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