E TI STRAPPERO' IL CUORE
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

        L'impresa edile per cui lavoro, una cooperativa specializzata nella ristrutturazione di immobili di prestigio, fu contattata, circa un anno fa, dalla priora dell'abbazia francescana di Barbiano, distante una decina di chilometri da Parma, per svolgere dei lavori di risanamento alle mura del chiostro del convento.
   L'antica costruzione d'epoca medievale, fra le più prestigiose del territorio parmense, accoglieva una comunità di monache di clausura che avevano fatto proprie le regole francescane di S. Chiara. Oltre a dedicare la maggior parte del tempo alla preghiera, ai ripetuti digiuni e al lavoro nei campi, le monache si costringevano a una ferrea disciplina e a restrizioni inverosimili. 
   Dormivano sopra tavole di legno, senza l'ausilio di materassi, inoltre non le era permesso di vedere e parlare con estranei, se non con i parenti più stretti, ma solo in rare occasioni durante l'anno.
   Letizia era la più giovane delle monache ospiti del convento. Mostrava d'avere all'incirca vent'anni, perlomeno questa fu l'impressione che ne ricevetti quando la vidi per la prima volta. Le altre monache avevano tutte una età superiore ai settant'anni, a eccezione della madre superiora che di anni sembrava averne meno di cinquanta, ma potrei anche sbagliarmi perché è abbastanza difficile valutare l'età di una donna se ha il capo coperto da un velo.
   Mi avvidi della presenza di Letizia qualche giorno dopo l'inizio dei lavori di risanamento delle mura del chiostro. Fino a quel momento non avevo fatto caso a nessuna delle monache, impegnato com'ero nella posa in opera del cantiere affidato alla mia direzione, poi una mattina la notai mentre, insieme a un'altra monaca, camminava sotto il porticato del chiostro. Rivolse lo sguardo nella mia direzione e rimase a fissarmi a lungo, perlomeno questa fu la sensazione che ne ricevetti. Della sua figura mi colpì più di tutto la bellezza eterea del volto. Solo in seguito venni a sapere che stava svolgendo il periodo di noviziato.

   Un copricapo bianco a forma di ali nascondeva la luce setosa dei capelli di Letizia che presumevo fossero biondi come le sopracciglia. Era impossibile non accorgersi della sua bellezza. Il volto, dallo sguardo angelico, risplendeva di una nudità che rinfrescava l'anima ogni volta che mi perdevo a guardarla. Anche i muratori alle mie dipendenze finirono per notarla. 
   In più di una occasione mi azzardai a volere scambiare qualche parola con lei, prendendo a pretesto delle ignobili scuse, ma i miei tentativi si rivelarono infruttuosi. Ogni volta che incrociavo il suo sguardo sorrideva senza mai dare risposta alle mie domande, dopodiché si allontanava lasciandomi con un palmo di naso a sbavare, col cazzo in tiro, mentre mi perdevo a guardarle il culo che dimenava da un fianco all'altro come qualsiasi ragazza della sua età.

   Letizia pareva inavvicinabile, perlomeno fino al giorno in cui, costretto da un impellente bisogno fisiologico, mi eclissai dietro una delle siepi del chiostro per svuotare la vescica. 
   Letizia se ne stava seduta su un cubo di pietra, nascosta alla mia vista dal fusto di un grosso platano, sprofondata nella lettura di uno dei breviari che le monache erano solite leggere durante le ore del giorno e della notte.
   Quando mi avvidi della sua presenza non avevo ancora terminato di pisciare. Letizia non sembrò per niente scandalizzata alla vista del mio cazzo, anzi, l'imbarazzo fu soltanto mio, così per sottrarmi alla sua vista trascinai l'arnese dentro la patta imbrattando di piscio i pantaloni.
   Preso atto della mia goffaggine sorrise e abbassò il capo sulle pagine del breviario che per tutto il tempo aveva mantenuto stretto nelle mani. Mi allontanai di fretta, con le guance arrossate per la vergogna, e feci ritorno al cantiere dove i miei compagni di lavoro non si erano accorti di quello che era accaduto.
   Il giorno seguente, in modo del tutto casuale, incrociai di nuovo il suo sguardo. Accadde nel refettorio mentre era intenta ad apparecchiare i tavoli dove le monache consumavano i pasti. Senza pensarci troppo, spinto da una irresistibile voglia di rivalsa, dopo quanto era accaduto il giorno precedente, entrai nel refettorio con l'intenzione di parlarle, consapevole che le regole del convento le avrebbero impedito di rispondermi, ciononostante le rivolsi la parola.
   - Strano ordine religioso il vostro che vi proibisce di comunicare con le altre persone.
   Stavolta, contrariamente a quanto era accaduto in precedenza, non si sottrasse alla mia presenza, interruppe il lavoro in cui era impegnata e volse lo sguardo nella mia direzione fissandomi con una certa alterigia.
   - Le rispondo perché, come forse saprà, sono novizia e non ho pronunciato i voti che mi impegnerebbero all'assoluto silenzio. Mi ha domandato qual è l'origine del nostro ordine religioso, vero? Quello che posso dirle è che si perde lontano nel tempo, risale al millecinquecento e adotta le regole di Santa Chiara. Le interessa sapere in cosa differisce dagli altri ordini religiosi? Beh, come ha potuto costatare nel corso della sua permanenza nel monastero, il nostro è un ordine francescano e la somma povertà, il ritiro dal mondo, la semplicità nella vita fraterna, e soprattutto la preghiera a ogni ora del giorno e della notte sono alla base del nostro modo d'intendere la vita.
   Dal tono morbido della voce, dall'eleganza e delicatezza dei gesti e dal modo in cui si era espressa, percepii tutta la bontà che c'era in lei, anche se mi sorpresi nel costatare, dall'accento straniero della lingua, che non era italiana così mi venne spontaneo chiedermi qual era la sua terra d'origine. Lì per lì immaginai che fosse rumena o in subordine cecoslovacca, e non mi sbagliai perché Letizia è ungherese.
   - E' una scelta molto difficile quella di spendere la propria vita ritirandosi fra le mura di un monastero. - dissi mettendomi a sedere su una delle sedie disposte attorno alla tavolata, a forma di una grande U, dove da lì a poco avrebbero preso posto le altre religiose per consumare il pasto di mezzogiorno.
   - Non mi sono ritirata dal mondo esterno per soddisfare l'ansia che ho di assoluto, perché è impossibile arrivarci. E nemmeno l'ho fatto per scappare dalle difficoltà concrete della vita di tutti i giorni: la mia è una vocazione. Sono stata chiamata a svolgere questo tipo di esistenza per il bene degli altri, mi è stato chiesto di pregare ogni giorno per loro. Lo trova strano questo?
   - No, affatto.
   - Io e le mie consorelle abbiamo scelto di mettere al centro della nostra esistenza una vita contemplativa. La nostra missione è di essere segno e testimonianza della presenza di Dio sulla terra. Lui ci ha chiamate nella solitudine dell'abbazia ad adorarlo giorno e notte a nome dell'umanità.
   Il modo in cui aveva articolato quella frase mi avevano fatto sembrare poco autentiche le sue parole, come se le avesse recitate perché imparate a memoria dopo averle lette su qualche testo religioso, ma non me ne importava granché, infatti, mentre l'ascoltavo mi ero smarrito a guardare il colore della sua pelle con un po' di curiosità.
   Il viso era bianchissimo anche se leggermente dorato dai raggi del sole. Provai a immaginarla nuda e la cosa mi eccitò parecchio perché dava l'impressione di possedere un corpo di una bellezza straordinaria e non mi sbagliai.
   - Come trascorre la vostra giornata?
   In verità la cosa non m'interessava granché, ma rivolgerle quella domanda era un modo come un altro per farla parlare e stare ad ascoltare i suoni che uscivano dalle sue labbra, sporgenti oltre misura, in cui avrei sotterrato volentieri la cappella che sentivo pulsare con insistenza sotto il tessuto delle brache.
   - Pensavo di essere stata abbastanza chiara con le mie parole, ma se non è così allora torno a ripeterglielo. Io e le mie consorelle viviamo con gioia la spiritualità francescana, che è propria del nostro ordine religioso, alternando momenti di preghiera con altri di lavoro, fraternità e studio biblico.
   - Ho capito, ho capito! Non occorre che si dilunghi oltre.
   - A dire il vero è stato lei a sollecitarmi nel descriverle come trascorro le giornate, ma se non le interessa ascoltarmi allora smetto di parlare.
   Il modo sarcastico con cui mi aveva dato risposta, dilatando le labbra in un beffardo sorriso, mi fece intuire che stava prendendosi gioco di me fingendo di assecondarmi.
   - Non importa, ho capito tutto.
   - Beh, adesso devo finire di apparecchiare, dopodiché andrò in cucina per controllare il minestrone di verdure che sta bollendo sul fuoco, altrimenti le mie sorelle non troveranno niente di pronto quando verranno a tavola per consumare il pranzo. La saluto, arrivederci.
   Stava per andarsene quando mi alzai in piedi e le afferrai un braccio impedendole di proseguire verso la cucina.
   - Non mi ha detto il suo nome, posso sapere qual è?
   Prendendole il braccio in quel modo prepotente le intimai, di fatto, a dirmelo ma nel contempo cercai nei suoi occhi, colore azzurro cielo, la risposta alla mia domanda.
   - Suor Letizia.
   - Non intendevo il nome da religiosa, ma quello da laica.
   - Letizia. - Rispose divincolandosi dalla stretta della mano con cui l'avevo trattenuta, dopodiché, ignorando la mia presenza, riprese ad apparecchiare la tavola distribuendo sul tavolo le posate custodite in un contenitore di plastica che reggeva contro il petto.
   - Il mio nome è Lorenzo. Se le può interessare.
   L'impressione che ne ricevetti in quella occasione fu che venire a saperlo non la interessasse granché, infatti, proseguì ad apparecchiare la tavola, dopodiché andò a rifugiarsi nei locali della cucina.
   Nei giorni seguenti la incontrai più volte nel chiostro dove ero impegnato nei lavori di restauro. Pareva lo facesse apposta a girarmi d'intorno. In diverse circostanze accennò a un sorriso, fintanto che, di nascosto dalle altre monache, incominciammo a scambiare più di una parola infrangendo le regole del silenzio a cui si attenevano le altre religiose ospiti del convento, seppure troppo diverse da Letizia, e non solo per l'età, ma soprattutto per il vissuto che lei si portava appresso e ancora non conoscevo.
   Col passare delle settimane ci intrattenemmo a parlare sempre più spesso, dando maggiore spessore alle nostre confidenze, lontano dagli occhi indiscreti delle altre monache e dei muratori, fintanto che, una mattina, interpellato dalla madre superiora dell'abbazia, in merito a una infiltrazione d'acqua verificatasi dopo un violento temporale nella porzione del monastero dove erano collocate le celle delle religiose, mi ritrovai a fare visita alla cella occupata da Letizia. 
   La cella dove si era verificata l'infiltrazione d'acqua era l'ultima stanza nel corridoio meridionale, al primo piano dell'edificio adibito a dormitorio. Era lì, nella cella di Letizia, che si era verificato il danno provocato dal violento temporale.
   La stanza era piccola, povera e disadorna, come me l'ero immaginata. L'arredo era composto da un letto di tavole di legno, l'armadio, una sedia, e un crocifisso fissato su di una parete, a mezza altezza, con davanti un inginocchiatoio. Accertata la natura del guasto, provocato dalla rottura di una conduttura per lo scarico dell'acqua piovana, rassicurai la priora dicendole che avrei provveduto io stesso a riparare il guasto, infatti, poco più tardi mi recai nella cella che ospitava Letizia con l'attrezzatura necessaria per sistemare la rottura.
   A metà pomeriggio Letizia fece la sua comparsa nella cella una volta ultimato il lavoro che le competeva nell'orto del convento.
   - Buongiorno.
   Fu il saluto che mi dispensò quando mi vide accucciato sul pavimento, dinanzi all'unica finestra della stanza, intento a ricoprire con la calcina il buco che ero stato costretto a eseguire nel muro attraversato dalla tubazione per lo scolo dell'acqua piovana che si era guastato.
   - Le occorre molto tempo per finire il lavoro?
   - Non credo, ormai ho quasi finito, magari verrò di nuovo domani per controllare se lo strato di malta è rimasto liscio come lo è adesso. Lei, piuttosto, cosa ha combinato di bello oggi, eh?
   Dopo averle rivolto la domanda mi sollevai in piedi e mi ritrovai di fronte a lei che nel frattempo si era avvicinata alla parete dove avevo posto rimedio al guasto.
   - Gliel'ho detto stamani, non ricorda? Questa settimana tocca a me prendermi cura dell'orto e portare in tavola frutta e verdure.
   Tutt'a un tratto, come d'incanto, percepii che la sua compagnia mi faceva stare bene. Non era la prima volta che accadeva, già in altre occasioni avevo provato la medesima sensazione, ma lì, nella sua cella, senza nessuno intorno, mi ritrovai ancora una volta con il cazzo duro e una grande voglia di scoparla.
   - Magari le sembrerò un po' troppo curioso, lo so, ma perché ha fatto la scelta di nascondersi fra le mura di un convento? E' una domanda che mi sono posto più volte durante queste settimane. Mi sono detto: "Come è possibile che una ragazza di una bellezza unica come Letizia abbia potuto fare questa scelta". E' strano, molto strano.
   Letizia mi guardò con aria di compatimento, dopodiché mi buttò addosso per rappresaglia una serie di risposte che mi lasciarono senza parole.
   - Era mio desiderio realizzarmi nel lavoro e nella famiglia. Avrei voluto essere felice come succede alla maggioranza delle persone. Ho studiato parecchi anni per inseguire un progetto, e sa qual era? Quello di laurearmi architetto, e c'ero quasi riuscita, poi un ambizioso evento ha scombussolato la mia vita.
   Una volta pronunciate quelle parole si interruppe e sembrò non volere proseguire, ma la mia insistenza nel volere sapere tutto di lei la convinse a portare avanti il discorso che con tanta fatica aveva iniziato.
   - Le interessa davvero saperlo? Potrei deluderla, lo sa?
   - Non credo.
   - Avevo bisogno di soldi così ho accettato l'invito di una amica a trasferirmi temporaneamente in Italia. L'ho fatto attraverso una agenzia di modelle di Budapest, cercando di mettere a profitto l'avvenenza del mio corpo con cui avevo vinto più di un concorso di bellezza. A tutti i costi volevo mettere insieme il denaro necessario per proseguire negli studi universitari dopo che mio padre, morto improvvisamente, aveva lasciato la famiglia priva di ogni sostentamento.
   - E allora?
   - Mi sono ritrovata a Milano, ingannata da una falsa agenzia per modelle, violentata da più uomini e portata sulla strada a prostituirmi, minacciata da una organizzazione di malavitosi che si sarebbero rivalsi su mia madre, uccidendola, nel caso mi fossi rifiutata di assoggettarmi al loro volere.
   Sorpreso dalla rivelazione rimasi muto, incapace di spiaccicare una sola parola. Presi tempo, in attesa che concludesse il racconto, e così accadde perché riprese subito il discorso interrotto.
   - Dio si è riaffacciato nella mia vita grazie a un incontro del tutto casuale, ma forse dovrei definirlo provvidenziale. E' stato grazie a un cliente cui avevo confidato il mio stato di schiava, assoggettata ai voleri di una gang di farabutti, che ho ritrovato la fede nel Padre Eterno. Non sapevo che l'uomo con cui mi avevo avuto modo di appartarmi in un paio di altre occasioni fosse un poliziotto. L'ho scoperto soltanto quando mi ha chiesto se volevo collaborare con lui per sgominare la banda che mi teneva schiava.
   - Cazzo!
   - Eh?
   - Mi scusi, ma il suo racconto mi ha lasciato senza parole.
   - Incredibile, eh?
   - Sì, davvero incredibile.
   Senza rendermene conto mi ritrovai ad abbracciarla. Letizia non si scostò, lasciò che le mie braccia l'avvolgessero tutt'attorno, poi si strinse forte a me e pianse. Restammo stretti uno contro l'altra per molto tempo e istintivamente le accarezzai il capo per rassicurarla, fintanto che si scostò.
   - Incontrare il poliziotto è stato un segno del Signore. Dopo quell'incontro ho cominciato a chiedermi che senso aveva la mia vita, così ho deciso che dovevo dedicarla a lui. Ed ora eccomi qua, in questo convento, dove sto per diventare monaca, contenta di dire il mio "sì" a Dio.
   Ascoltando quelle parole non so cosa mi prese, ciò che ricordo è che la strinsi forte a me, ma non mi limitati ad abbracciarla, stavolta avvicinai le labbra alle sue e la baciai.
   Letizia non si sottrasse alla stretta, si abbandonò all'estasi di quel bacio corrispondendolo, soprattutto quando le infilai la lingua fra le labbra che si aprirono come il guscio di una conchiglia. Si strinse forte a me crogiolandosi nella saliva delle nostre bocche e contraccambiò il mio gesto facendomi dono della sua lingua che risucchiai quando la inabissò fra le mie di labbra.
   Non sapevo da che parte iniziare a spogliarla dell'abito talare che portava addosso, ci pensò lei a trarmi d'impaccio liberandosi, in meno che non si dica, della tunica nera con croce rossa cucita sul petto. Rimase con addosso solo il velo e i sandali francescani.
   Mi sorpresi, una volta liberata dell'abito, nel costatare che non indossava né mutande né reggiseno, infatti, come mi spiegò successivamente, conservare il corpo nudo, sotto l'abito monacale, era una delle regole dell'ordine religioso a cui apparteneva, ma ancora di più mi sorpresi quando, levato il velo che le scendeva dalle spalle, fino a sfiorare i capezzoli rosa ed eretti, si mostrò con il capo rasato quasi a zero.
   Letizia stava per venire a meno a uno dei tre voti del suo ordine religioso (povertà, obbedienza, castità) e io ne ero la causa, ma sembrava non importarle granché, perlomeno questa fu l'impressione che ne ricevetti in quel momento. Aveva una dannata voglia di essere amata, ma soprattutto di stringermi nella mano il cazzo, e io desideravo darglielo al più presto.
   - Dobbiamo barricare la porta con il letto. L'uscio non ha la serratura, è una regola del convento. Chiunque affacciandosi sullo stipite potrebbe vederci.
   Furono le parole che Letizia pronunciò prima di mettersi con la schiena nuda contro il legno della porta.
   - Sì, certo, in questo modo eviteremo lo sguardo degli intrusi.
   Spinsi il letto contro la porta della cella, dopodiché mi liberai degli abiti da lavoro che avevo addosso. 
   Nudo, col cazzo in tiro, mi avvicinai a Letizia il cui corpo, bianco come l'alabastro, era illuminato dai raggi di sole che attraversavano la stretta apertura della finestra. Tutt'a un tratto mi ritrovai ad avvolgere i seni con le mani e cominciai ad accarezzarli, seppure con le dita sudice di calcina, eccitato dallo spessore turgido dei capezzoli.
   Letizia mi strinse il cazzo nella mano e prese a menarmelo, lentamente, con molta grazia, facendo scorrere le dita sulla pelle del prepuzio, scoprendo di continuo la cappella, accrescendo il mio e il suo piacere. Ci sapeva fare nel masturbarmi, eccome, ma il merito non era soltanto dei mesi trascorsi a fare la puttana, ma soprattutto della mano che non le smetteva di tremare per la forte emozione, forse.
   Seguitammo a baciarci e toccarci in quel modo accrescendo lo stato di eccitazione in cui tutt'e due c'eravamo persi, fintanto che si lasciò cadere con la schiena sul pavimento di cotto. Allargò le cosce invitandomi con il gesto delle braccia stese nella mia direzione ad accucciarmi fra le sue gambe.
   - Baciami qui. - mi ingiunse di fare indicando con un gesto della mano le labbra della figa sottratte alla mia vista da una fitta patina di peli biondi.
   Mi inginocchiai fra le sue gambe, le passai le braccia sotto le ginocchia e le abbrancai le natiche spingendole verso l'alto, poi feci cadere le guance fra le sue cosce e cominciai a leccarle la vagina che colava umore in grande quantità.
   Letizia iniziò a tremare e mugolare di piacere, poi abbassò le mani sul mio capo, scompigliandomi i capelli, divertendosi a stirarli mentre mi ostinavo a leccarla. Seguitai a farlo fino allo sfinimento, ma Letizia sembrava non volerne sapere di raggiungere l'orgasmo, soltanto quando cominciai a succhiarle il clitoride, stirandolo fra i denti, raggiunse l'acme del piacere.
   Dopo una breve pausa in cui ebbe il tempo per riprendersi dallo stato catatonico in cui era precipitata si mise cavalcioni sulle mie cosce.
   L'assecondai seppellendole il cazzo nella vagina. 
   Subito dopo prese a fare dondolare il bacino facendosi forza con le braccia e con le mani mantenute opportunamente incollate sul mio petto su cui fece leva.
    Steso sul dorso sul pavimento di pietre conservai lo sguardo fisso sul volto di Letizia che seguitò a mantenere per lungo tempo gli occhi chiusi, mentre il culo e il petto le ballonzolavano agitandosi a salti. Ansimava e io godevo del suo piacere reso così manifesto.
   Le afferrai i capezzoli e iniziai a stringerli fra le dita, provocandole dolore, suppongo, ma anche un dannato piacere perché si mise a urlare senza alcun ritegno. In quel momento ebbi paura che qualcuno ci scoprisse, tale era il rumore che facevamo, così condussi una mano sulla sua bocca e cominciai ad assecondare il movimento del suo bacino con il cazzo.
   I nostri corpi entrarono in simbiosi e raggiungemmo l'orgasmo pressoché simultaneamente. Lei lo raggiunse per prima e io le andai dietro affogando l'urlo che usciva dalle mie labbra sulla sua spalla, mordendola fino a farle sanguinare la pelle. Non feci in tempo a tirare indietro il cazzo, infatti, le sborrai nella vagina senza alcuna precauzione, ma Letizia non sembrò preoccuparsene granché: probabilmente aveva appena finito il ciclo mestruale, pensai.
   Restammo abbracciati a lungo, attaccati l'uno all'altra, ad ascoltare l'ansimare dei nostri corpi, da prima tumultuosi e poi acquietati. 
   Letizia si staccò per prima. Senza mostrare nessuna incertezza indossò l'abito talare raccogliendolo dal pavimento dove era riverso, dopodiché provvide a rimuovere il letto dalla porta senza chiedere il mio aiuto e scappò via. Mi rivestii anch'io, abbandonai la cella, e tornai al lavoro nel chiostro dove i muratori erano occupati a rifare l'intonaco a una delle volte. A nessuno raccontai quanto mi era capitato, anche se avrei voluto farlo per vantarmene.
   Dopo il pomeriggio consumato fra le cosce di Letizia non mi capitò nessun'altra occasione per rimanere solo con lei. Per tutto il tempo in cui rimasi a lavorare nella abbazia non mi rivolse più la parola, anzi, evitò persino ogni mio sguardo, facendo in modo di non farsi mai trovare da sola quando c'incrociavamo, ma sempre in compagnia di un'altra monaca rendendo inutile ogni mio tentativo di appostamento.

   I lavori di restauro al chiostro si protrassero per molti mesi. Una mattina che eravamo intenti a sistemare il materiale edile sul camion, pronti per andarcene con le attrezzature dopo avere smontato il cantiere, presi la decisione di recarmi da Letizia che sapevo nell'orto in compagnia di un'altra monaca.
   Mi avvicinai a lei, le afferrai un braccio e la trascinai via da lì lasciando senza parole la monaca che stava lavorando con lei.
   - Il mio lavoro e dei miei compagni è terminato, domani non tornerò più qui. Ti rivolgo una domanda molto importante: vuoi venire via con me?
   Letizia mi guardò a lungo, senza spiaccicare una sola parola, infine rispose.
   - Dove?
   - Non lo so, ma tu hai bisogno di me, vero?
   La guardai a lungo negli occhi in attesa di una risposta che desideravo fosse affermativa, quando mi accorsi che tardava ad arrivare volsi le spalle a Letizia e andai verso i miei compagni che, stupiti, avevano assistito a tutta la scena in piedi accanto ai due camion carichi di materiale per l'edilizia pronti a partire. Stavo camminando verso di loro quando udii dei passi alle mie spalle, girai il capo e vidi Letizia che mi veniva appresso.
   Letizia aveva promesso di dedicare tutta la vita a Dio, infatti, da quel giorno sono diventato io il suo Dio. 

 

 
 

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