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E
TI STRAPPERO' IL CUORE
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
L'impresa
edile per cui lavoro, una cooperativa
specializzata nella ristrutturazione di
immobili di prestigio, fu contattata,
circa un anno fa, dalla priora
dell'abbazia francescana di Barbiano,
distante una decina di chilometri da
Parma, per svolgere dei lavori di
risanamento alle mura del chiostro del
convento.
L'antica costruzione
d'epoca medievale, fra le più
prestigiose del territorio parmense,
accoglieva una comunità di monache di
clausura che avevano fatto proprie le
regole francescane di S. Chiara. Oltre a
dedicare la maggior parte del tempo alla
preghiera, ai ripetuti digiuni e al
lavoro nei campi, le monache si
costringevano a una ferrea disciplina e
a restrizioni inverosimili.
Dormivano sopra tavole di
legno, senza l'ausilio di materassi,
inoltre non le era permesso di vedere e
parlare con estranei, se non con i
parenti più stretti, ma solo in rare
occasioni durante l'anno.
Letizia era la più giovane
delle monache ospiti del convento.
Mostrava d'avere all'incirca vent'anni,
perlomeno questa fu l'impressione che ne
ricevetti quando la vidi per la prima
volta. Le altre monache avevano tutte
una età superiore ai settant'anni, a
eccezione della madre superiora che di
anni sembrava averne meno di cinquanta,
ma potrei anche sbagliarmi perché è
abbastanza difficile valutare l'età di
una donna se ha il capo coperto da un
velo.
Mi avvidi della presenza di
Letizia qualche giorno dopo l'inizio dei
lavori di risanamento delle mura del
chiostro. Fino a quel momento non avevo
fatto caso a nessuna delle monache,
impegnato com'ero nella posa in opera
del cantiere affidato alla mia
direzione, poi una mattina la notai
mentre, insieme a un'altra monaca,
camminava sotto il porticato del
chiostro. Rivolse lo sguardo nella mia
direzione e rimase a fissarmi a lungo,
perlomeno questa fu la sensazione che ne
ricevetti. Della sua figura mi colpì più
di tutto la bellezza eterea del volto.
Solo in seguito venni a sapere che stava
svolgendo il periodo di noviziato.
Un copricapo bianco a forma
di ali nascondeva la luce setosa dei
capelli di Letizia che presumevo fossero
biondi come le sopracciglia. Era
impossibile non accorgersi della sua
bellezza. Il volto, dallo sguardo
angelico, risplendeva di una nudità che
rinfrescava l'anima ogni volta che mi
perdevo a guardarla. Anche i muratori
alle mie dipendenze finirono per
notarla.
In più di una occasione mi
azzardai a volere scambiare qualche parola con
lei, prendendo a pretesto delle ignobili
scuse, ma i miei tentativi si rivelarono
infruttuosi. Ogni volta che incrociavo
il suo sguardo sorrideva senza mai dare
risposta alle mie domande, dopodiché si
allontanava lasciandomi con un palmo di
naso a sbavare, col cazzo in tiro,
mentre mi perdevo a guardarle il culo
che dimenava da un fianco all'altro come
qualsiasi ragazza della sua età.
Letizia pareva
inavvicinabile, perlomeno fino al giorno
in cui, costretto da un impellente
bisogno fisiologico, mi eclissai dietro
una delle siepi del chiostro per
svuotare la vescica.
Letizia se ne stava seduta
su un cubo di pietra, nascosta alla mia
vista dal fusto di un grosso platano,
sprofondata nella lettura di uno dei
breviari che le monache erano solite
leggere durante le ore del giorno e
della notte.
Quando mi avvidi della sua
presenza non avevo ancora terminato di
pisciare. Letizia non sembrò per niente
scandalizzata alla vista del mio cazzo,
anzi, l'imbarazzo fu soltanto mio, così
per sottrarmi alla sua vista trascinai
l'arnese dentro la patta imbrattando di
piscio i pantaloni.
Preso atto della mia
goffaggine sorrise e abbassò il capo
sulle pagine del breviario che per tutto
il tempo aveva mantenuto stretto nelle
mani. Mi allontanai di fretta, con le
guance arrossate per la vergogna, e feci
ritorno al cantiere dove i miei compagni
di lavoro non si erano accorti di quello
che era accaduto.
Il giorno seguente, in modo
del tutto casuale, incrociai di nuovo il
suo sguardo. Accadde nel refettorio
mentre era intenta ad apparecchiare i
tavoli dove le monache consumavano i
pasti. Senza pensarci troppo, spinto da
una irresistibile voglia di rivalsa,
dopo quanto era accaduto il giorno
precedente, entrai nel refettorio con
l'intenzione di parlarle, consapevole
che le regole del convento le avrebbero
impedito di rispondermi, ciononostante
le rivolsi la parola.
- Strano ordine religioso
il vostro che vi proibisce di comunicare
con le altre persone.
Stavolta, contrariamente a
quanto era accaduto in precedenza, non
si sottrasse alla mia presenza,
interruppe il lavoro in cui era
impegnata e volse lo sguardo nella mia
direzione fissandomi con una certa
alterigia.
- Le rispondo perché, come
forse saprà, sono novizia e non ho
pronunciato i voti che mi impegnerebbero
all'assoluto silenzio. Mi ha domandato
qual è l'origine del nostro ordine
religioso, vero? Quello che posso dirle
è che si perde lontano nel tempo,
risale al millecinquecento e adotta le
regole di Santa Chiara. Le interessa
sapere in cosa differisce dagli altri
ordini religiosi? Beh, come ha potuto
costatare nel corso della sua permanenza
nel monastero, il nostro è un ordine
francescano e la somma povertà, il
ritiro dal mondo, la semplicità nella
vita fraterna, e soprattutto la
preghiera a ogni ora del giorno e della
notte sono alla base del nostro modo
d'intendere la vita.
Dal tono morbido della
voce, dall'eleganza e delicatezza dei
gesti e dal modo in cui si era espressa,
percepii tutta la bontà che c'era in
lei, anche se mi sorpresi nel costatare,
dall'accento straniero della lingua, che
non era italiana così mi venne
spontaneo chiedermi qual era la sua
terra d'origine. Lì per lì immaginai
che fosse rumena o in subordine
cecoslovacca, e non mi sbagliai perché
Letizia è ungherese.
- E' una scelta molto
difficile quella di spendere la propria
vita ritirandosi fra le mura di un
monastero. - dissi mettendomi a sedere
su una delle sedie disposte attorno alla
tavolata, a forma di una grande U, dove
da lì a poco avrebbero preso posto le
altre religiose per consumare il pasto
di mezzogiorno.
- Non mi sono ritirata dal
mondo esterno per soddisfare l'ansia che
ho di assoluto, perché è impossibile
arrivarci. E nemmeno l'ho fatto per
scappare dalle difficoltà concrete
della vita di tutti i giorni: la mia è
una vocazione. Sono stata chiamata a
svolgere questo tipo di esistenza per il
bene degli altri, mi è stato chiesto di
pregare ogni giorno per loro. Lo trova
strano questo?
- No, affatto.
- Io e le mie consorelle
abbiamo scelto di mettere al centro
della nostra esistenza una vita
contemplativa. La nostra missione è di
essere segno e testimonianza della
presenza di Dio sulla terra. Lui ci ha
chiamate nella solitudine dell'abbazia ad
adorarlo giorno e notte a nome
dell'umanità.
Il modo in cui aveva
articolato quella frase mi avevano fatto
sembrare poco autentiche le sue parole,
come se le avesse recitate perché
imparate a memoria dopo averle lette su
qualche testo religioso, ma non me ne
importava granché, infatti, mentre
l'ascoltavo mi ero smarrito a guardare
il colore della sua pelle con un po' di
curiosità.
Il viso era bianchissimo
anche se leggermente dorato dai raggi
del sole. Provai a immaginarla nuda e la
cosa mi eccitò parecchio perché dava
l'impressione di possedere un corpo di
una bellezza straordinaria e non mi
sbagliai.
- Come trascorre la vostra
giornata?
In verità la cosa non
m'interessava granché, ma rivolgerle
quella domanda era un modo come un altro
per farla parlare e stare ad ascoltare i
suoni che uscivano dalle sue labbra,
sporgenti oltre misura, in cui avrei
sotterrato volentieri la cappella che
sentivo pulsare con insistenza sotto il
tessuto delle brache.
- Pensavo di essere stata
abbastanza chiara con le mie parole, ma
se non è così allora torno a
ripeterglielo. Io e le mie consorelle
viviamo con gioia la spiritualità
francescana, che è propria del nostro
ordine religioso, alternando momenti di
preghiera con altri di lavoro, fraternità
e studio biblico.
- Ho capito, ho capito! Non
occorre che si dilunghi oltre.
- A dire il vero è stato
lei a sollecitarmi nel descriverle come
trascorro le giornate, ma se non le
interessa ascoltarmi allora smetto di
parlare.
Il modo sarcastico con cui
mi aveva dato risposta, dilatando le
labbra in un beffardo sorriso, mi fece
intuire che stava prendendosi gioco di
me fingendo di assecondarmi.
- Non importa, ho capito
tutto.
- Beh, adesso devo finire
di apparecchiare, dopodiché andrò in
cucina per controllare il minestrone di
verdure che sta bollendo sul fuoco,
altrimenti le mie sorelle non troveranno
niente di pronto quando verranno a
tavola per consumare il pranzo. La
saluto, arrivederci.
Stava per andarsene quando
mi alzai in piedi e le afferrai un
braccio impedendole di proseguire verso
la cucina.
- Non mi ha detto il suo
nome, posso sapere qual è?
Prendendole il braccio in
quel modo prepotente le intimai, di
fatto, a dirmelo ma nel contempo cercai
nei suoi occhi, colore azzurro cielo, la
risposta alla mia domanda.
- Suor Letizia.
- Non intendevo il nome da
religiosa, ma quello da laica.
- Letizia. - Rispose
divincolandosi dalla stretta della mano
con cui l'avevo trattenuta, dopodiché,
ignorando la mia presenza, riprese ad
apparecchiare la tavola distribuendo sul
tavolo le posate custodite in un
contenitore di plastica che reggeva
contro il petto.
- Il mio nome è Lorenzo.
Se le può interessare.
L'impressione che ne
ricevetti in quella occasione fu che
venire a saperlo non la interessasse
granché, infatti, proseguì ad
apparecchiare la tavola,
dopodiché andò a rifugiarsi nei locali
della cucina.
Nei giorni seguenti la
incontrai più volte nel chiostro dove
ero impegnato nei lavori di restauro.
Pareva lo facesse apposta a girarmi
d'intorno. In diverse circostanze accennò
a un sorriso, fintanto che, di nascosto
dalle altre monache, incominciammo a
scambiare più di una parola infrangendo
le regole del silenzio a cui si
attenevano le altre religiose ospiti del
convento, seppure troppo diverse da
Letizia, e non solo per l'età, ma
soprattutto per il vissuto che lei si
portava appresso e ancora non conoscevo.
Col passare delle settimane
ci intrattenemmo a parlare sempre più
spesso, dando maggiore spessore alle
nostre confidenze, lontano dagli occhi
indiscreti delle altre monache e dei
muratori, fintanto che, una mattina,
interpellato dalla madre superiora
dell'abbazia, in merito a una
infiltrazione d'acqua verificatasi dopo
un violento temporale nella porzione del
monastero dove erano collocate le celle
delle religiose, mi ritrovai a fare
visita alla cella occupata da Letizia.
La cella dove si era
verificata l'infiltrazione d'acqua era l'ultima
stanza nel corridoio meridionale, al
primo piano dell'edificio adibito a
dormitorio. Era lì, nella cella di
Letizia,
che si era verificato il danno provocato
dal violento temporale.
La stanza era piccola,
povera e disadorna, come me l'ero
immaginata. L'arredo era composto da un
letto di tavole di legno, l'armadio, una
sedia, e un crocifisso fissato su di una
parete, a mezza altezza, con davanti un
inginocchiatoio. Accertata la natura del
guasto, provocato dalla rottura di una
conduttura per lo scarico dell'acqua
piovana, rassicurai la priora dicendole
che avrei provveduto io stesso a
riparare il guasto, infatti, poco più
tardi mi recai nella cella che ospitava
Letizia con l'attrezzatura necessaria
per sistemare la rottura.
A metà pomeriggio Letizia
fece la sua comparsa nella cella una
volta ultimato il lavoro che le
competeva nell'orto del convento.
- Buongiorno.
Fu il saluto che mi dispensò
quando mi vide accucciato sul pavimento,
dinanzi all'unica finestra della stanza,
intento a ricoprire con la calcina il
buco che ero stato costretto a eseguire
nel muro attraversato dalla tubazione
per lo scolo dell'acqua piovana che si
era guastato.
- Le occorre molto tempo
per finire il lavoro?
- Non credo, ormai ho quasi
finito, magari verrò di nuovo domani
per controllare se lo strato di malta è
rimasto liscio come lo è adesso. Lei,
piuttosto, cosa ha combinato di bello
oggi, eh?
Dopo averle rivolto la
domanda mi sollevai in piedi e mi
ritrovai di fronte a lei che nel
frattempo si era avvicinata alla parete
dove avevo posto rimedio al guasto.
- Gliel'ho detto stamani,
non ricorda? Questa settimana tocca a me
prendermi cura dell'orto e portare in
tavola frutta e verdure.
Tutt'a un tratto, come
d'incanto, percepii che la sua compagnia
mi faceva stare bene. Non era la prima
volta che accadeva, già in altre
occasioni avevo provato la medesima
sensazione, ma lì, nella sua cella,
senza nessuno intorno, mi ritrovai
ancora una volta con il cazzo duro e una
grande voglia di scoparla.
- Magari le sembrerò un
po' troppo curioso, lo so, ma perché ha
fatto la scelta di nascondersi fra le
mura di un convento? E' una domanda che
mi sono posto più volte durante queste
settimane. Mi sono detto: "Come è
possibile che una ragazza di una
bellezza unica come Letizia abbia potuto
fare questa scelta". E' strano, molto
strano.
Letizia mi guardò con aria
di compatimento, dopodiché mi buttò
addosso per rappresaglia una serie di
risposte che mi lasciarono senza parole.
- Era mio desiderio
realizzarmi nel lavoro e nella famiglia.
Avrei voluto essere felice come succede
alla maggioranza delle persone. Ho
studiato parecchi anni per inseguire un
progetto, e sa qual era? Quello di
laurearmi architetto, e c'ero quasi
riuscita, poi un ambizioso evento ha
scombussolato la mia vita.
Una volta pronunciate
quelle parole si interruppe e sembrò
non volere proseguire, ma la mia
insistenza nel volere sapere tutto di
lei la convinse a portare avanti il
discorso che con tanta fatica aveva
iniziato.
- Le interessa davvero
saperlo? Potrei deluderla, lo sa?
- Non credo.
- Avevo bisogno di soldi
così ho accettato l'invito di una amica
a trasferirmi temporaneamente in Italia.
L'ho fatto attraverso una agenzia di
modelle di Budapest, cercando di mettere
a profitto l'avvenenza del mio corpo con
cui avevo vinto più di un concorso di
bellezza. A tutti i costi volevo mettere
insieme il denaro necessario per
proseguire negli studi universitari dopo
che mio padre, morto improvvisamente,
aveva lasciato la famiglia priva di ogni
sostentamento.
- E allora?
- Mi sono ritrovata a
Milano, ingannata da una falsa agenzia
per modelle, violentata da più uomini e
portata sulla strada a prostituirmi,
minacciata da una organizzazione di
malavitosi che si sarebbero rivalsi su
mia madre, uccidendola, nel caso mi
fossi rifiutata di assoggettarmi al loro
volere.
Sorpreso dalla rivelazione
rimasi muto, incapace di spiaccicare una
sola parola. Presi tempo, in attesa che
concludesse il racconto, e così accadde
perché riprese subito il discorso
interrotto.
- Dio si è riaffacciato
nella mia vita grazie a un incontro del
tutto casuale, ma forse dovrei definirlo
provvidenziale. E' stato grazie a un
cliente cui avevo confidato il mio stato
di schiava, assoggettata ai voleri di
una gang di farabutti, che ho ritrovato
la fede nel Padre Eterno. Non sapevo che
l'uomo con cui mi avevo avuto modo di
appartarmi in un paio di altre occasioni
fosse un poliziotto. L'ho scoperto
soltanto quando mi ha chiesto se volevo
collaborare con lui per sgominare la
banda che mi teneva schiava.
- Cazzo!
- Eh?
- Mi scusi, ma il suo
racconto mi ha lasciato senza parole.
- Incredibile, eh?
- Sì, davvero incredibile.
Senza rendermene conto mi
ritrovai ad abbracciarla. Letizia non si
scostò, lasciò che le mie braccia
l'avvolgessero tutt'attorno, poi si
strinse forte a me e pianse. Restammo
stretti uno contro l'altra per molto
tempo e istintivamente le accarezzai il
capo per rassicurarla, fintanto che si
scostò.
- Incontrare il poliziotto
è stato un segno del Signore. Dopo
quell'incontro ho cominciato a chiedermi
che senso aveva la mia vita, così ho
deciso che dovevo dedicarla a lui. Ed
ora eccomi qua, in questo convento, dove
sto per diventare monaca, contenta di
dire il mio "sì" a Dio.
Ascoltando quelle parole
non so cosa mi prese, ciò che ricordo
è che la strinsi forte a me, ma non mi
limitati ad abbracciarla, stavolta
avvicinai le labbra alle sue e la
baciai.
Letizia non si sottrasse
alla stretta, si abbandonò all'estasi
di quel bacio corrispondendolo,
soprattutto quando le infilai la lingua
fra le labbra che si aprirono come il
guscio di una conchiglia. Si strinse
forte a me crogiolandosi nella saliva
delle nostre bocche e contraccambiò il
mio gesto facendomi dono della sua
lingua che risucchiai quando la inabissò
fra le mie di labbra.
Non sapevo da che parte
iniziare a spogliarla dell'abito talare
che portava addosso, ci pensò lei a
trarmi d'impaccio liberandosi, in meno
che non si dica, della tunica nera con
croce rossa cucita sul petto. Rimase con
addosso solo il velo e i sandali
francescani.
Mi sorpresi, una volta
liberata dell'abito, nel costatare che
non indossava né mutande né reggiseno,
infatti, come mi spiegò
successivamente, conservare il corpo
nudo, sotto l'abito monacale, era una
delle regole dell'ordine religioso a cui
apparteneva, ma ancora di più mi
sorpresi quando, levato il velo che le
scendeva dalle spalle, fino a sfiorare i
capezzoli rosa ed eretti, si mostrò con
il capo rasato quasi a zero.
Letizia stava per venire a
meno a uno dei tre voti del suo ordine
religioso (povertà, obbedienza, castità)
e io ne ero la causa, ma sembrava non
importarle granché, perlomeno questa fu
l'impressione che ne ricevetti in quel
momento. Aveva una dannata voglia di
essere amata, ma soprattutto di
stringermi nella mano il cazzo, e io
desideravo darglielo al più presto.
- Dobbiamo barricare la
porta con il letto. L'uscio non ha la
serratura, è una regola del convento.
Chiunque affacciandosi sullo stipite
potrebbe vederci.
Furono le parole che
Letizia pronunciò prima di mettersi con
la schiena nuda contro il legno della
porta.
- Sì, certo, in questo
modo eviteremo lo sguardo degli intrusi.
Spinsi il letto contro la
porta della cella, dopodiché mi liberai
degli abiti da lavoro che avevo addosso.
Nudo, col cazzo in tiro, mi
avvicinai a Letizia il cui corpo, bianco
come l'alabastro, era illuminato dai
raggi di sole che attraversavano la
stretta apertura della finestra. Tutt'a
un tratto mi ritrovai ad avvolgere i
seni con le mani e cominciai ad
accarezzarli, seppure con le dita sudice
di calcina, eccitato dallo spessore
turgido dei capezzoli.
Letizia mi strinse il cazzo
nella mano e prese a menarmelo,
lentamente, con molta grazia, facendo
scorrere le dita sulla pelle del
prepuzio, scoprendo di continuo la
cappella, accrescendo il mio e il suo
piacere. Ci sapeva fare nel masturbarmi,
eccome, ma il merito non era soltanto
dei mesi trascorsi a fare la puttana, ma
soprattutto della mano che non le
smetteva di tremare per la forte
emozione, forse.
Seguitammo a baciarci e
toccarci in quel modo accrescendo lo
stato di eccitazione in cui tutt'e due
c'eravamo persi, fintanto che si lasciò
cadere con la schiena sul pavimento di
cotto. Allargò le cosce invitandomi con
il gesto delle braccia stese nella mia
direzione ad accucciarmi fra le sue
gambe.
- Baciami qui. - mi
ingiunse di fare indicando con un gesto
della mano le labbra della figa
sottratte alla mia vista da una fitta
patina di peli biondi.
Mi inginocchiai fra le sue
gambe, le passai le braccia sotto le
ginocchia e le abbrancai le natiche
spingendole verso l'alto, poi feci
cadere le guance fra le sue cosce e
cominciai a leccarle la vagina che colava
umore in grande quantità.
Letizia iniziò a tremare e
mugolare di piacere, poi abbassò le
mani sul mio capo, scompigliandomi i
capelli, divertendosi a stirarli mentre
mi ostinavo a leccarla. Seguitai a farlo
fino allo sfinimento, ma Letizia
sembrava non volerne sapere di
raggiungere l'orgasmo, soltanto quando
cominciai a succhiarle il clitoride,
stirandolo fra i denti, raggiunse l'acme
del piacere.
Dopo una breve pausa in cui
ebbe il tempo per riprendersi dallo
stato catatonico in cui era precipitata
si mise cavalcioni sulle mie cosce.
L'assecondai seppellendole
il cazzo nella vagina.
Subito dopo prese a fare
dondolare il bacino facendosi forza con
le braccia e con le mani mantenute
opportunamente incollate sul mio petto
su cui fece leva.
Steso sul dorso sul
pavimento di pietre conservai lo sguardo
fisso sul volto di Letizia che seguitò
a mantenere per lungo tempo gli occhi
chiusi, mentre il culo e il petto le
ballonzolavano agitandosi a salti.
Ansimava e io godevo del suo piacere
reso così manifesto.
Le afferrai i capezzoli e
iniziai a stringerli fra le dita,
provocandole dolore, suppongo, ma anche
un dannato piacere perché si mise a
urlare senza alcun ritegno. In quel
momento ebbi paura che qualcuno ci
scoprisse, tale era il rumore che
facevamo, così condussi una mano sulla
sua bocca e cominciai ad assecondare il
movimento del suo bacino con il cazzo.
I nostri corpi entrarono in
simbiosi e raggiungemmo l'orgasmo
pressoché simultaneamente. Lei lo
raggiunse per prima e io le andai dietro
affogando l'urlo che usciva dalle mie
labbra sulla sua spalla, mordendola fino
a farle sanguinare la pelle. Non feci in
tempo a tirare indietro il cazzo,
infatti, le sborrai nella vagina senza
alcuna precauzione, ma Letizia non sembrò
preoccuparsene granché: probabilmente
aveva appena finito il ciclo mestruale,
pensai.
Restammo abbracciati a
lungo, attaccati l'uno all'altra, ad
ascoltare l'ansimare dei nostri corpi,
da prima tumultuosi e poi acquietati.
Letizia si staccò per
prima. Senza mostrare nessuna incertezza
indossò l'abito talare raccogliendolo
dal pavimento dove era riverso, dopodiché
provvide a rimuovere il letto dalla
porta senza chiedere il mio aiuto e
scappò via. Mi rivestii anch'io,
abbandonai la cella, e tornai al lavoro
nel chiostro dove i muratori erano
occupati a rifare l'intonaco a una delle
volte. A nessuno raccontai quanto mi era
capitato, anche se avrei voluto farlo
per vantarmene.
Dopo il pomeriggio
consumato fra le cosce di Letizia non mi
capitò nessun'altra occasione per
rimanere solo con lei. Per tutto il
tempo in cui rimasi a lavorare nella
abbazia non mi rivolse più la parola,
anzi, evitò persino ogni mio sguardo,
facendo in modo di non farsi mai trovare
da sola quando c'incrociavamo, ma sempre
in compagnia di un'altra monaca rendendo
inutile ogni mio tentativo di
appostamento.
I lavori di restauro al
chiostro si protrassero per molti mesi.
Una mattina che eravamo intenti a
sistemare il materiale edile sul camion,
pronti per andarcene con le attrezzature
dopo avere smontato il cantiere, presi
la decisione di recarmi da Letizia che
sapevo nell'orto in compagnia di
un'altra monaca.
Mi avvicinai a lei, le
afferrai un braccio e la trascinai via
da lì lasciando senza parole la monaca
che stava lavorando con lei.
- Il mio lavoro e dei miei
compagni è terminato, domani non tornerò
più qui. Ti rivolgo una domanda molto
importante: vuoi venire via con me?
Letizia mi guardò a lungo,
senza spiaccicare una sola parola,
infine rispose.
- Dove?
- Non lo so, ma tu hai
bisogno di me, vero?
La guardai a lungo negli
occhi in attesa di una risposta che
desideravo fosse affermativa, quando mi
accorsi che tardava ad arrivare volsi le
spalle a Letizia e andai verso i miei
compagni che, stupiti, avevano assistito
a tutta la scena in piedi accanto ai due
camion carichi di materiale per
l'edilizia pronti a partire. Stavo
camminando verso di loro quando udii dei
passi alle mie spalle, girai il capo e
vidi Letizia che mi veniva appresso.
Letizia aveva promesso di
dedicare tutta la vita a Dio, infatti,
da quel giorno sono diventato io il suo
Dio.
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