Le
lancette dell'orologio, sistemato su una
parete della sala di necroscopia,
indicavano le undici e due minuti quando
Sergio lasciò la compagnia di due
medici specializzandi, impegnati nella
dissezione di un cadavere,
rassicurandoli sul fatto che sarebbe
tornato da lì a poco.
Sopra la
divisa da infermiere indossò il trench, sollevò il
bavero, e con gli zoccoli ai piedi uscì
dall'Istituto di Anatomia Patologica.
Una pioggerella sottile
scendeva sulla città dalla sera
precedente. Le previsioni meteorologiche
prevedevano un netto peggioramento
durante il resto della giornata.
La cabina telefonica dove
era diretto distava poche decine di
metri dall'edificio universitario in cui
lavorava. Durante la mattinata,
approfittando dei momenti di pausa fra
un'autopsia e l'altra, aveva fatto più
di una visita alla cabina telefonica. Ma
i suoi movimenti non erano passati
inosservati ai poliziotti della squadra
narcotici, appostati da alcuni giorni
nei pressi della cabina, dopo che una
telefonata anonima aveva messo
sull'avviso le forze dell'ordine in
merito a un traffico di stupefacenti che
avveniva nelle cabine telefoniche
collocate fra le cinta murarie
dell'azienda ospedaliera.
Dopo avere perlustrato con
meticolosità il terreno circostante la
cabina telefonica s'infilò all'interno con la
speranza di recuperare una o più tessere
telefoniche abbandonate da collezionare,
ma non ce n'era traccia. L'ampia
diffusione di apparecchi cellulari aveva
di fatto soppiantato le carte
telefoniche e reso problematico il
recupero a tutti i
collezionisti.
Uscendo dalla cabina
avvicinò ancora una volta il bavero
dell'impermeabile al collo per ripararsi
dalla pioggia. Stava per raggiungere la
scalinata dell'Istituto di Anatomia
Patologica quando una Pantera della
Polizia di Stato, sbucata a grande
velocità da uno stradello laterale, andò
dritta verso di lui.
L'auto arrestò la corsa
dopo una lunga frenata, ponendosi per
traverso sul viale, ostruendo, di fatto,
il cammino a Sergio. Dalla vettura
scesero tre poliziotti armati di
mitraglietta. Uno di loro gli intimò di fermarsi e alzare le braccia
sopra il capo.
- Fermo lì, Polizia! Non
ti muovere.
Due poliziotti lo
afferrarono per le braccia e lo
immobilizzarono. Il terzo, il più alto
in grado, gli si pose davanti. Con la
punta di una scarpa sbatté contro la
superficie interna degli zoccoli che
Sergio calzava ai piedi, poi lo invitò
a divaricare le gambe. Dopo avergli
sbottonato il trench gli rovistò le
tasche. Trovato il portafoglio esaminò
i documenti.
- Niente! Maledizione, qui
non c'è niente. - affermò il
poliziotto rivolto ai commilitoni. -
Dove hai nascosto la roba? Eh!
Sconcertato dal rapido
susseguirsi degli avvenimenti a Sergio
riuscì di biascicare solo qualche
parola.
- Tengo tutto a casa, nel
mio appartamento.
- Ah! E qui non hai niente?
- replicò soddisfatto il poliziotto.
- No. La mia collezione di
carte telefoniche è custodita dentro
degli album, mica posso portarmele
appresso. E' preziosa e la tengo in
cassaforte.
- Non prenderci per il culo.
Stronzo! Siamo a conoscenza del
materiale che compone la tua collezione.
- Ma... io veramente.
- Adesso ti portiamo in
Questura, lì avrai tutto il tempo
necessario per riflettere e raccontarci
dove tieni nascosta la roba.
Vestito con gli abiti da
infermiere i poliziotti lo trascinarono
sul sedile posteriore della Pantera.
L'auto ripartì producendo una forte
sgommata delle ruote. Mentre la Pantera
della polizia attraversava la città a
sirene spiegate Sergio ebbe tutto
il tempo necessario per pensare a una
difesa.
A collezionare oggetti,
anche i più insignificanti, aveva
cominciato da bambino. Collezionava di
tutto, dai tappi di bottiglia, alle
figurine dei calciatori, alle
bustine di zucchero che continuava a
raccattare nei bar e caffè. Il
materiale delle sue collezioni era
stipato negli armadi alloggiati in due
garage, entrambi ubicati nel condominio
dove abitava.
Il collezionismo, per
Sergio, era l'unico scopo della vita. Da
poco aveva compiuto cinquant'anni, non
aveva moglie, né figli, né amici, era
solo con le sue collezioni.
La Pantera imboccò il
portone dove aveva sede la Questura.
L'auto superò la strettoia e sbucò in
un ampio cortile pavimentato con pietre
e sassi. L'antico complesso
architettonico, in passato dimora di una
nobile famiglia, si caratterizzava per
l'ampio porticato che cingeva l'intero
perimetro del cortile. L'auto affiancò
un'altra pantera della polizia e arrestò
la corsa.
- Scendi giù. - gli intimò
uno dei poliziotti che per tutto il
tragitto lo aveva trattato al pari di un
qualsiasi delinquente.
Due agenti lo
accompagnarono verso un'ampia scalinata,
il terzo li precedette. Salirono le
rampe di scale fino a raggiungere un
ampio pianerottolo. Gli agenti lo
spinsero verso una delle porte che si
affacciavano nel lungo corridoio. Una
targa stava a indicare gli uffici della
Squadra Mobile.
- Continuo a ripetervi che
avete preso un abbaglio. Colleziono solo
carte telefoniche.
- Non ti preoccupare, non
ti mancherà l'occasione per chiarire
tutto.
I locali che ospitavano gli
uffici della Squadra Mobile erano a dire
poco vetusti. Le pareti apparivano
ingiallite e sporche. Il disordine
regnava sovrano. Ai lati del lungo
corridoio si affacciavano alcune porte a
vetri. Alcuni extracomunitari occupavano
le panche dinanzi all'ufficio stranieri.
Poco più in là un gruppo di prostitute
di colore stavano insultando i
poliziotti.
Sergio si sentì a disagio
e spaventato in quel luogo.
- Si accomodi su una delle
seggiole, fra non molto il maresciallo
la chiamerà.
Privo della libertà si
ritrovò in un ambiente all'apparenza
ostile a difendersi da ingiuste accuse.
Trascorsero un paio di ore prima che un
poliziotto lo convocasse.
- Signor Sergio Ferrari, si
accomodi.
Sergio si alzò dalla panca
e si avvicinò al poliziotto.
- Si accomodi, prego.
L'ufficio dove mise piede
era in simbiosi con il resto
dell'edificio. Sulla parete dietro alla
scrivania trovava posto la foto del
Presidente della Repubblica. Una
macchina per scrivere Olivetti, a
testina rotante, occupava un tavolo a
lato della scrivania con inserito un
foglio bianco fra i rulli.
- Dunque signor Ferrari,
come la mettiamo?
Il poliziotto,
all'apparenza cordiale e disponibile più
di quanto lo erano stati i suoi
colleghi, fece segno a Sergio di
accomodarsi su una delle due sedie poste
dinanzi alla scrivania.
- Le ripeto quello che già
ho dichiarato ai suoi colleghi.
Colleziono carte telefoniche e
null'altro.
- Lo sappiamo... Lo
sappiamo. Abbiamo avuto confermato della
sua versione. Il fatto è che il suo
continuo andirivieni ha tratto in
inganno i miei colleghi. Da tempo
teniamo sotto controllo quella cabina
telefonica. Sospettiamo che sia al
centro di un traffico di stupefacenti.
- Allora è tutto chiarito?
- Sì, certo, ora le farò
firmare il verbale, dopodiché sarà
libero di fare ritorno a casa.
Esplicate alcune formalità
Sergio lasciò la Questura. Vestito con
la divisa da infermiere, gli zoccoli ai
piedi, scese la scalinata che conduceva
all'esterno. Raggiunse il portone
principale e si ritrovò libero.
La fermata dei taxi distava
solo un isolato dal palazzo della
Questura. Impiegò una decina di minuti
ad attraversare la città. Quando scese
dalla autovettura pagò l'autista che
l'aveva condotto sino a casa, dopodiché
si avvicinò alla porta basculante di
una delle due autorimesse di sua
proprietà e la sollevò.
Una porta a soffietto
divideva il locale in due sezioni. Nella
prima trovavano posto numerose
scaffalature metalliche stipate
all'inverosimile di materiale da
collezione. Oltre la porta a soffietto
le pareti erano interamente occupate da
mensole. Su ognuna trovavano posto
decine di vasi di vetro ripieni di una
particolare sostanza liquida.
Sergio chiuse la porta del
garage. Oltrepassò la porta a soffietto
e andò a sedersi nella poltroncina
sistemata al centro del locale.
Abbassati i pantaloni strinse il cazzo
nella mano e incominciò a masturbarsi.
Fasci di luci psichedeliche
illuminavano gli esemplari anatomici
contenuti all'interno dei vasi di vetro.
Erano cazzi dalle differenti
conformazioni anatomiche, appartenuti a
uomini di razze diverse, immersi in una
soluzione di formaldeide. Alcuni erano
corredati di testicoli, ma i più ne
erano privi. L'intera collezione aveva
raggiunto i cinquemila pezzi, ed erano
tutti catalogati per età e razza.
Mentre si masturbava pensò
che era davvero un peccato che nessuno,
oltre a lui, potesse godere della vista
di quella collezione unica nel suo
genere.
Il libro dei Guinness dei
primati, quello che dal 1955 raccoglie
tutti i record del mondo, avrebbe potuto
annotare anche il suo.
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