Davanti
alla finestra della cucina scrutavo le gocce di pioggia che
bagnavano la strada, quando alle mie
spalle ho percepito la voce di
Elisabetta.
Avevamo appena
terminato di fare colazione,
adoperandoci a fare il pieno di nuove
energie, dopo l'intera notte trascorsa a
fare l'amore. Ero confusa, sottosopra,
seppure soddisfatta per essere stata
rimorchiata da una tipa affascinante
come lei.
- Beh, non sai deciderti ad
andare a lavorare? Se non ti sbrighi
farai tardi, oppure preferisci
trattenerti ancora un po' con me?
Quelle parole,
all'apparenza banali e forse innocenti,
a posteriori mi appaiono come un segno
premonitore degli avvenimenti che si
sarebbero succeduti da lì a poco. Non
ero consapevole delle ragioni che mi
avevano indotto a starmene col muso davanti al
vetro, freddo e umido, della finestra,
specie dopo i momenti di selvaggia
intimità con Elisabetta. Dopo la notte
trascorsa a fare sesso avevo la testa in
confusione, ma non avevo nessuna
intenzione di rivelarglielo.
Non ricordo cosa le ho
risposto. Credo di avere balbettato
qualche parola del tipo:
- Adesso vado al lavoro,
non preoccuparti.
Mi sono comportata come se
avessi avuto a che fare con una donna
qualsiasi, invece avevamo trascorso
l'intera notte sudando come porche a
fare l'amore. Per tutto il tempo avevo
messo a dura prova la sua fama di
leccapassere, fiaccandole la lingua a
forza di leccarmi la fica. Lo stesso
avevo fatto anch'io affondando più
volte le guance fra le sue cosce,
cogliendo il prelibato calore di quella
parte del suo corpo, stirandole a più
riprese il clito fra i denti,
succhiandolo, sino a farla urlare per il
troppo piacere, presumo, o forse
soltanto per il dolore che le procuravo.
Boh, ancora non lo so.
Prima di stanotte, pur
frequentando entrambi il Marabù, un
locale frequentato da lesbiche e gay
situato nel centro storico, non eravamo
mai state a letto insieme. Per lungo
tempo ci eravamo persino ignorate,
sospettose, annusandoci a una certa
distanza, verosimilmente smaniose di
sbranarci, mettendo in pratica un'opera
di seduzione come soltanto noi lesbiche,
quando siamo in calore, siamo capaci di
fare.
Quello che è accaduto
stanotte nel suo letto è la conseguenza
di una sensualità selvatica che ci
accomuna. Nessun'altra donna aveva mai
saccheggiato il mio corpo con un simile
impeto e furore. Una violenza bruta,
inaudita, di cui porto ancora i segni di
morsi e graffi sulla pelle; in
particolare sulle mammelle.
Ho goduto e l'ho fatta
godere. Sentire crescere il clito di
Elisabetta fra le mie labbra, mentre a
più riprese lo succhiavo, mi ha dato la
sensazione di possedere un grande
potere. Ho seguitato a succhiarlo e
leccarlo sino allo sfinimento,
compiaciuta per i gemiti di piacere che
a ondate le uscivano dalla bocca mentre
esplodeva in una serie di orgasmi a
grappolo.
Erano da poco passate le
7.30 quando sono uscita dalla sua
abitazione. E da quel momento è
cambiata la mia vita.
La rapina alla sede
dell'ufficio postale che dirigo da poco
meno di un anno è avvenuta in due atti.
Il primo atto si è consumato durante il
week-end allorché, una banda di ladri,
agendo pressoché indisturbati, si sono
intrufolati nell'ufficio postale
servendosi della porta sul retro
dell'edificio rivelatasi
facile da forzare. Zitti zitti, quatti
quatti, non visti, sono scesi nello
scantinato dello stabile e hanno
praticato un foro nel pavimento in
corrispondenza dell'ufficio postale.
Una volta praticata
l'apertura hanno posizionato una scala
telescopica, presumibilmente di modeste
dimensioni, e l'hanno fissata con delle
corde a uno dei tubi del riscaldamento
che scorrono lungo il soffitto, dopodiché
sono penetrati nei locali.
Il secondo atto ha avuto
inizio quando, non riuscendo ad aprire
con la fiamma ossidrica la cassaforte,
per colpa di un inconveniente che ha
reso inservibile l'apparecchiatura, sono
rimasti nei locali dell'ufficio
postale sino a stamattina confidando sull'arrivo di una delle impiegate per
farsi consegnare le chiavi della
cassaforte e incassare il bottino.
Salutandomi sulla porta che
si affaccia nel pianerottolo Elisabetta
mi ha di nuovo ficcato la lingua in
bocca stringendomi il capo con una mano.
Arrapata le ho conficcato le mani
intorno al culo e le ho stretto le
chiappe. Ci siamo scambiate un lungo
bacio, crogiolandoci in un abbondante
bagno di saliva, subito dopo mi ha
strappato la promessa che si saremmo
incontrate al più presto. La sera
stessa, l'ho assicurata.
Raggiungere l'ufficio
postale, destreggiandomi con la Fiat
Panda nel traffico di un piovigginoso
lunedì mattina, non è stato facile.
Quando ho aperto la porta, entrando sul
retro dell'ufficio, non mi sarei mai
immaginata di trovarmi faccia a faccia
con due rapinatori: un nanerottolo e un
colosso, entrambi con il volto coperto
da un passamontagna.
Istintivamente mi sono
messa a urlare. Ho fatto l'atto di
scappare, ma non sono riuscita a farlo.
Uno dei due uomini, quello dal fisico più
possente, mi ha afferrata da dietro con
un braccio e mi ha chiuso la bocca con
il palmo della mano.
- Stai zitta! Altrimenti ti
faccio a pezzi il tuo bel faccino. Hai
capito? - ha detto con forte accento
straniero, premurandosi di attirare con
forza la mia schiena verso di sé.
Il cuore ha preso a battermi
nel petto in modo prepotente
come la punta di un martello pneumatico.
Disorientata mi sono ritrovata con le
gambe molli e ho avuto la sensazione di
essere prossima a svenire. Terrorizzata
ho lasciato cadere tutte le mie difese.
Mi sono inginocchiata sul pavimento,
mentre delle grosse gocce di sudore
freddo facevano capolino sulle guance
del mio viso.
- Fai la brava e non ti
succederà niente. Adesso ci consegni la
chiave della cassaforte e ci indichi i
numeri della combinazione. Okay? - ha
detto il nanerottolo dal volto
incappucciato che mi stava davanti.
Incalzata da quella
minaccia non ho potuto fare a meno di
rivelargli che la chiave della
cassaforte la tenevamo custodita dentro
una busta di stoffa nel primo cassetto
della mia scrivania, ma che non gli
sarebbe servito a nulla entrarne in
possesso poiché la cassaforte era
provvista di una apertura a tempo.
Quindi anche se fossero stati a
conoscenza della combinazione sarebbe
stato impossibile aprirla prima di una
certa ora.
- E quale sarebbe l'ora? -
ha chiesto il nanerottolo.
- Le 8.40.
- E gli altri impiegati
quando saranno qui?
Cinzia e Carla sarebbero
arrivate da lì a poco entrando, come
ogni mattina, dalla porta posteriore
dell'ufficio postale. Non trovandomi ad
aprire la porta, di cui sono l'unica
impiegata a possedere la chiave, si
sarebbero insospettite e avrebbero
sicuramente provato a rintracciarmi
telefonicamente.
Questo è quanto ho pensato
in quegli attimi di estrema paura, ma
non ho fatto in tempo a formulare
ipotesi diverse da quella che avevo
preso in esame, riportata alla realtà
dalla domanda dell'uomo incappucciato
che mi stava davanti.
- Dove nascondete l'altro
denaro?
- Quale altro denaro?
- Non fare la scema. - ha
detto l'uomo che mi stava alle spalle. -
Ti sto parlando del denaro che
utilizzate agli sportelli prima
dell'apertura della cassaforte.
- Sta al suo posto, alle
casse, ma sono soltanto poche centinaia
di Euro.
- Vado a vedere. - ha detto
il nanerottolo - Intanto tu provvedi a
rinchiuderla nel bagno così possiamo
agire più liberamente. - ha proseguito
rivolgendosi al compagno, mentre si
allontanava per impossessarsi del denaro
custodito nelle casse degli sportelli.
Subito dopo, trascinata
dall'uomo dall'accento straniero, mi
sono trovata immobilizzata, rinchiusa
dentro il bagno, inginocchiata con le
caviglie e le mani legate con lacci
dietro la schiena. L'uomo dal fisico
massiccio aveva appena terminato di
legarmi, stava in piedi dinanzi a me,
quando è stato raggiunto dal
nanerottolo.
- Hai finito di legarla?
- Si.
- Bene, allora ce ne
andiamo.
- Hai preso il denaro?
- Sì.
- E se adesso mi facessi
fare un pompino?
- Eh?
- Lo trovi strano? Ha una
bocca piccola, molto rara, di quelle a
forma di culo di gallina.
- Dai non fare lo stronzo,
andiamo via da qui al più presto,
abbiamo perso anche troppo tempo. Fra
non molto arriveranno le altre impiegate
e poi il pubblico. Siamo ancora in tempo
ad andarcene senza destare sospetti.
- E io voglio farmi fare un
pompino. Mi piace la tipa, ne ha della
porca. - ha detto stupendomi non poco.
Sono stata testimone
dell'alterco fra i due, con la bocca
tappata da un bavaglio di stoffa,
impedita dall'esprimere il mio pensiero,
se solo mi avessero dato la possibilità
di farlo.
- Sei pazzo! Dai,
andiamocene!
Tutt'a un tratto il
grassone mi ha liberato la bocca dal
bavaglio. Ho fatto appena in tempo a
lanciare un urlo che sono stata colpita
in pieno volto da un manrovescio che mi
ha catapultata per terra.
- Tirala su. - ha detto
l'uomo che mi ha colpito rivolgendosi al
nanerottolo.
Quest'ultimo si è
premurato a rimettermi in ginocchio,
dopodiché tutto quello che ricordo è
che mi sono trovata davanti alla bocca
un cazzo nero, dalla cappella rosa, che
cercava di trovare un passaggio fra le
labbra. Sino a quel momento non mi ero
accorta di avere a che fare con un uomo
di colore poiché entrambi i rapinatori
erano incappucciati e alle mani
indossavano guanti da chirurgo per non
lasciare tracce d’impronte. Ho
scostato il capo di lato rifiutandomi,
di fatto, di mettermi a succhiare la
cappella, ma sono stata raggiunta da un
altro ceffone, datomi col rovescio
della mano, che mi ha centrato il naso
causandomi una lacrimazione istantanea.
Una leggera fuoriuscita di sangue,
proveniente dalle narici, ha fatto
seguito al traumatico colpo ricevuto al
viso.
- Dai, andiamo, non
perdiamo altro tempo. - ha detto il
nanerottolo.
- Prima voglio che me lo
succhi.
Ha accostato per la seconda
volta la cappella verso la bocca, ma
stavolta, lo ha fatto minacciandomi con
la lama di un coltello a serramanico che
si è premurato di togliere da una
tasca, così non ho potuto fare altro
che schiudere le labbra e lasciare che
il gingillo di carne nera mi entrasse
nella bocca.
Prima di succhiare quel
cazzo nero non avevo mai avuto rapporti
sessuali con un uomo. A scoparmi ci
avevano provato in tanti, ma a nessuno
avevo permesso di toccarmi.
Ho trentadue, sono lesbica,
però non posso dire di essere vergine.
Ho cominciato già da ragazza a
penetrarmi la fica facendo ricorso a
diversi modelli di sex toy, apposta
concepiti per stimolare il piacere
erotico, ma più di tutto mi è sempre
piaciuto farmela leccare da una donna la
fica.
- Succhia! - ha ripetuto
quando il cazzo molliccio mi è entrato
nella bocca.
Inginocchiata, mani e piedi
legati, sottomessa e umiliata, ho
cominciato a succhiare. Mi è bastato
avvolgere le labbra attorno alla
cappella per sentirla crescere di
misura. Non sapevo bene come si fa un
pompino, non ero preparata a farlo, ma
ho cominciato a succhiare muovendo il
capo avanti e indietro come quando
succhio un clitoride. E più succhiavo e
più il cazzo diventava duro, perlomeno
questa è la sensazione che ne ho
ricevuto.
Tutt'a un tratto l'uomo ha
posato le mani sopra il mio capo e lo ha
spinto a forza verso di sé. Allora
gliel'ho ciucciato per intero, il cazzo,
spingendo la cappella sino in gola. In
quei momenti, con le palle che mi
sbattevano contro il mento, mi sono
sentita una gran porca. Mi sono
ritrovata con la fica bagna fradicia ed
ho goduto del piacere che stavo dandogli
nel succhiargli il cazzo.
Ho seguitato a succhiare e
leccare sino a quando lo scheletro
dell'uomo ha cominciato a tremare tutto.
Allora ho capito che era prossimo a
venire. L'ho succhiato forte un'ultima
volta fintanto che è venuto sborrandomi
in faccia. Il calore del seme mi ha
eccitata ancora di più ed è stato come
se fossi venuta anch'io tanto ero
bagnata fra le cosce.
- Dai, andiamo via... - lo
ha implorato il nanerottolo mentre le
ultime gocce di sperma facevano capolino
dal meato dell'uretra.
Mi hanno abbandonata nel
bagno, imbavagliata, legata mani e
piedi, e sono fuggiti via. Quando sono
riuscita a liberarmi ho provveduto a
fare scattare l'allarme.
Sul posto sono giunte dopo
pochi minuti due gazzelle dei
carabinieri, ma i ladri erano ormai
lontani. Il bottino della rapina
dobbiamo ancora quantificarlo. Comunque
il denaro custodito nelle casse agli
sportelli non dovrebbe superare
complessivamente i tremila Euro, poca
roba in confronto al denaro custodito
nella cassaforte e a quello dello
sportello del Bancoposta che si affaccia
sulla strada.
Le indagini dei carabinieri
per risalire alla loro identità sono in
corso. Da me e dalle mie colleghe hanno
voluto sapere tutto sulla dinamica dei
fatti. I ladri devono avere studiato a
lungo i punti di accesso all'ufficio
postale, anche se non mi sono sembrati
dei professionisti, anzi tutt'altro. Ai
carabinieri non ho rivelato nulla della
violenza che ho subito, l'ho tenuta
nascosta a tutti, anche a Elisabetta, e
non è stato per vergogna, ma perché ho
scoperto che mi è piaciuto moltissimo
succhiare il cazzo e non so spiegarmene
la ragione. Eppure a me i maschi
seguitano a non piacere... e allora?
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