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IL
PASSEGGERO
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico
adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il
contenuto possa offenderti sei
invitato a uscire.
L'Intercity
1560 delle 7.15, diretto a Torino,
proveniente da Palermo, è annunciato
dagli altoparlanti della stazione
ferroviaria con un ritardo di trenta
minuti. Indugio dinanzi al tabellone
elettronico che mostra l'orario dei
treni in arrivo e in partenza. Se
non avessi perso tempo a truccarmi allo
specchio di casa sarei riuscita a salire
sul treno regionale delle 7.05
diretto a Piacenza, come sono solita
fare ogni mattina, invece anche oggi
arriverò in ritardo sul posto di
lavoro.
Seduta su una delle
panchine in granito della pensilina sono
in attesa che sopraggiunga l'Intercity.
Apro le pagine del libro che mi sono
portata appresso e inizio a leggere, una
abitudine che ho fatto mia da quando
sono costretta a fare la pendolare fra
Parma e Piacenza. Serve a distrarmi e
occupare il tempo durante i viaggi di
trasferimento.
Alle 7.46, annunciato dallo
speaker, giunge in stazione l'Intercity
diretto a Torino. Salgo i gradini di una
carrozza di seconda classe e vado alla
ricerca di una poltrona su cui
sedermi.
La carrozza è di quelle a
scompartimenti con sei posti a sedere.
Ogni settore è isolato da quelli
adiacenti e comunica con il corridoio
attraverso una porta scorrevole. Mentre
cammino nel corridoio metto il naso
negli scompartimenti alla ricerca di una
poltrona libera. Constatata
l'impossibilità di trovare un posto a
sedere decido di estrarre uno dei sedili
mobili, sistemati sotto i finestrini del
corridoio, e mi ci siedo sopra. Tolgo
dalla borsetta il libro che mi sono
portata appresso è riprendo la lettura
dove l'ho interrotta poco prima.
La sistemazione non è
delle più agevoli, ma ormai ci ho fatto
il callo alle scomodità del servizio
ferroviario. Mentre leggo sono
disturbata dall'andirivieni di persone
che ne approfittano per strusciarsi
contro le mie ginocchia, ma anche a
questo inconveniente ci ho fatto
l'abitudine.
Alzo il capo e guardo
attraverso il vetro della porta
scorrevole dello scompartimento che ho
davanti. Una intera famiglia occupa le
sei poltrone. Alla mia sinistra, vicino
alla porta scorrevole, una bimba di
circa 8-10 anni è raggomitolata su se
stessa e dorme. Vicino a lei, nel mezzo
delle tre poltrone, c'è un uomo sulla
quarantina d'anni, al suo fianco una
donna che presumo essere la moglie.
Quest'ultima tiene il capo reclinato
sulla spalla dell'uomo e dorme.
Sull'altro lato dello scomparto trovano
posto due bambini di 4-5 anni. In mezzo
a loro una anziana donna mantiene le
mani congiunte e i gomiti appoggiati
sulle cosce.
Sopra le loro teste, sui
telai portabagagli, trovano posto degli
scatoloni di cartone, tenuti insieme con
delle corde e strisce di nastro adesivo
marrone, e alcune vecchie valigie dai
colori sbiaditi.
La scena mi commuove, ma
nello stesso tempo provo un sentimento
di pietà per tutti loro. Se prima di
salire sul treno mi dolevo del mio stato
di lavoratrice pendolare, di fronte a
questa famiglia di migranti provo
rimorso per i miei pensieri.
Il treno si sposta
celermente attraverso la pianura.
Superiamo la stazione di Fidenza e
subito dopo quella di Fiorenzuola
d'Arda. Distolgo lo sguardo dal libro
che sto leggendo e scruto i volti dei
componenti della famiglia che occupano
lo scompartimento davanti a me.
All'interno dello
scompartimento le tendine dinanzi il
finestrino fanno da barriera al chiarore
del giorno. L'anziana donna schiude gli
occhi di tanto in tanto per richiuderli
subito dopo.
Tutt'a un tratto la quiete
è interrotta da un gesto dell'uomo. Con
disinvoltura fa scendere la cerniera dei
pantaloni, estrae il cazzo e lo stringe
nella mano. Incredula per la scena cui
sto assistendo chino gli occhi sul libro
e riprendo a leggere, ma non riesco a
concentrarmi nella lettura. Lette poche
righe, rivolgo di nuovo lo sguardo nella
direzione dell'uomo. Ha il cazzo duro e
la mano scorre avanti e indietro sulla
cappella.
Mentre si masturba tiene
gli occhi chiusi immune da ogni senso di
pudore. La moglie e i bambini dormono
nei loro alloggiamenti e sembrano non
accorgersi di quanto sta accadendo.
Soltanto l'anziana donna ha schiuso le
palpebre e osserva l'uomo che non cessa
di menarsi il cazzo, poi chiude gli
occhi anche lei.
Accavallo le gambe e con la
coda dell'occhio osservo la scena. Sono
nauseata da tanta depravazione e tentata
dal richiamare l'attenzione di qualcuno,
magari del controllore o di qualche
poliziotto, ma desisto dal farlo. Dirigo
lo sguardo verso l'anziana donna che nel
frattempo si è premurata di posare il
palmo delle mani sul volto dei bimbi
seduti accanto a lei. Sto per alzarmi e
andare via, ma sono interrotta dal
rumore del carrello delle vivande che
avanza inesorabile nel corridoio
sospinto da un inserviente in divisa.
- Caffèèè... caffèllatte...
panini... acqua minerale.
Mi alzo dal seggiolino e
m'infilo nello scompartimento che ho di
fronte lasciando spazio al passaggio del
carrello. Dopo che l'inserviente è
transitato con il carrello delle vivande
torno a occupare il solito posto.
Adesso nello scompartimento
sono tutti svegli. La moglie tiene in
braccio uno dei due rampolli che poco
prima ho intravisto dormire sulla
poltrona di fronte a lei, accanto
all'anziana donna, e sembra parlargli
molto dolcemente. L'uomo, ritto in
piedi, si premura di sospingere la tenda
ai lati della finestra. La luce del sole
entra prepotente nello scompartimento e
illumina i visi delle persone.
I volti degli adulti
appaiono affaticati, stanchi, gli occhi
sono pesti come i loro abiti dopo la
notte trascorsa in viaggio.
Guardo uno a uno i
componenti della famiglia, poi osservo
il paesaggio attraverso il finestrino.
La ciminiera dei Cementi Rossi mi avvisa
che sto per raggiungere la stazione di
Piacenza. Mi schiero dietro la fila di
viaggiatori che si accalcano nel
corridoio pronti a scendere dalla
carrozza.
L'orologio incastonato
nelle mura della stazione ferroviaria di
Piacenza segna le 8.47 quando raggiungo
la pensilina alla fermata dei bus. Resto
in attesa che giunga il bus numero 7,
quello che mi porterà al lavoro, in
ospedale.
Dalla prossima settimana
prenderò servizio all'Ospedale Maggiore
di Parma e finalmente smetterò di fare
la pendolare.
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