Medici
e infermiere erano affaccendati nel mettere
a punto il campo operatorio. La luce
della lampada scialitica illuminava il
corpo privo di veli di una ragazza,
distesa sul lettino operatorio,
oscenamente esposta agli sguardi del
personale sanitario.
La ragazza era giunta al
Pronto Soccorso, accompagnata dai
genitori, accusando dei forti dolori
all'addome. Il medico internista che
l'aveva visitata, presso uno degli
ambulatori del reparto di Medicina
d'Urgenza, le aveva diagnosticato una
infiammazione dell'appendice vermiforme
e una sospetta peritonite. Eseguiti i
prelievi di sangue di routine era stata
trasferita in clinica chirurgia per
essere sottoposta a intervento.
La lampada scialitica
convergeva il fascio di luce sull'addome
della ragazza completamente nuda sul
tavolo operatorio. L'infermiera che poco
prima l'aveva denudata le si avvicinò
e, dopo avere disinfettato la superficie
di un gluteo, le praticò una iniezione.
- Posso sapere cosa mi sta
facendo? - chiese la ragazza dopo che
l'infermiera ebbe sfilato l'ago e
disinfettato la pelle con un batuffolo
di cotone.
- Ah, scusa se non ti ho
informato, ma fra un intervento
chirurgico e l'altro i tempi sono così
ristretti che spesso ci dimentichiamo
d'informare i pazienti su ciò che
stiamo eseguendo. - disse l'infermiera
subito dopo avere riposto la siringa
dentro una arcella metallica. - Quella
che ti ho praticato è la pre-anestesia,
fra poco il medico anestesista provvederà
ad addormentarti. Non sentirai alcun male
durante l'intervento, te lo assicuro.
L'infermiera uscì dalla
sala operatoria e lasciò sola la
ragazza. Il corpo della giovane,
illuminato dalla fredda luce della
lampada scialitica, era di colorito
pallido. I lineamenti del viso
trasudavano una certa tensione. Gli
occhi scrutavano di continuo il
territorio circostante alla ricerca di
qualcuno che potesse rassicurarla, ma la
sala era desolatamente vuota.
L'unico rumore che
percepiva era il martellare del battito
cardiaco, il suo, ma anche il ritmo del
respiro si era fatto affannoso mentre la
cassa toracica le si espandeva a
dismisura. I seni, assai minuti, non si
scostavano dalla loro sede naturale.
L'areola dei capezzoli, di tinta
rosata, appariva affusolata con
l'estremità turgida. I peli del pube,
abbondanti fino a debordare dalle pieghe
dell'inguine, erano colore dell'arancio
come i capelli fulvi. Terrorizzata
dall'insolita esperienza incrociò le
mani sul pube per coprire le nudità più
intime.
Tutt'a un tratto, dalla
porta a vetri che comunicava con
l'antisala, emerse la figura di un
infermiere. L'uomo indossava un camice
verde, lungo fino ai piedi, mentre una
mascherina di carta gli proteggeva naso
e bocca. L'infermiere si avvicinò alla
ragazza e le rivolse delle parole di
cortesia.
- Come va? Tutto bene? Mica
avrai paura, eh?
- Un poco di fifa ce l'ho.
- Non devi preoccuparti.
L'intervento di appendicectomia è molto
semplice. Ti sveglierai fra mezz'ora
quando l'operazione sarà terminata e non
avrai sentito alcun male. A proposito
come ti chiami?
- Eleonora.
- Uhm... bel nome.
- Grazie!
- Quanti anni hai?
- Diciassette.
- Il mio nome è Giancarlo.
- Anche mio padre si chiama
così. - rispose la ragazza con voce
tremolante.
- Fai conto che io sia tuo
padre allora, d'altronde alla mia età
potrei esserlo per davvero. - soggiunse
con l'intento di mettere a proprio agio
la ragazza. - Prima dell'intervento dovrò
depilarti l'inguine. Non ti farò male,
ma è una pratica necessaria, serve per
evitare che i peli del pube penetrino
nella ferita chirurgica e siano fonte d'infezione. Me la sbrigherò in
pochi minuti.
Giancarlo esercitava la
professione d'infermiere da più di
vent'anni, ma nessuno sospettava quali
perverse fantasie erotiche si celassero
dietro i suoi modi gentili.
- Bene! Ora piega le
ginocchia e solleva il bacino.
La ragazza ubbidì e sollevò
le natiche dal tavolo operatorio.
Giancarlo le inserì sotto i glutei un
telo destinato a raccogliere i peli che
le avrebbe asportato dal pube.
- Adesso divarica
leggermente le ginocchia.
Da un cesto metallico,
posto sul carrello dello strumentario
chirurgico, tolse un astuccio di
plastica, sigillato, da cui tirò fuori
un rasoio dalla lama affilata. Afferrò
le guide metalliche della lampada
scialitica e fece convergere il fascio
luminoso sul monte di Venere della
ragazza. Illuminati dalla luce i peli
del pube assunsero un colore dorato.
Il cazzo prese a dolergli
per l'eccitazione. La mano, salda e
ferma, quando si trattava di depilare
l'addome di un uomo, si fece tremolante.
Arrestò per alcuni istanti la propria
azione, poi diede un respiro profondo
per quietare la tensione che si portava
appresso. Con garbo introdusse le dita
fra la selva di peli del pube per
dipanarli. Al contatto avvertì quanto
fossero esili e si compiacque del
piacere che sapeva dargli l'accarezzare
il monte di Venere. Si eccitava
tantissimo ogni volta che si apprestava
a radere il pube a giovani donne. E gli
stava accadendo ancora una volta.
Deglutì la saliva che gli
stava riempiendo la bocca, dopodiché
iniziò a radere i peli del pube
mantenendo stirata la pelle a monte
della lama con le dita di una mano, in
modo da non creare pieghe,
mentre con l'altra mano guidava la lama del rasoio.
Superata l'emozione
iniziale fece scorrere la lama senza
alcuna incertezza, a testimonianza della
grande esperienza e abilità che aveva
assunto nello svolgere quella pratica.
Il primo ceppo di peli andò
a raggomitolarsi sugli altri radicati
nella cute. Spostò la mano più
all'esterno provvedendo a stirare la
pelle e proseguì nella sua opera.
Nell'arco di pochi minuti non rimase un
solo pelo attorno alle labbra della fica.
Privata della calda
pelliccia di peli, colore dell'arancio,
la fica si mostrò agli occhi di
Giancarlo con in evidenza due labbra
sporgenti di straordinaria bellezza. La
velocità con cui aveva eseguito il
lavoro era pari alla rapidità della
sborrata che gli aveva riempito le
mutande infradiciandole di sperma.
- Ti ho fatto male?
- No, non mi sono accorta
di nulla.
Giancarlo tolse da sotto le
natiche della ragazza il telo chirurgico
su cui erano precipitati i peli e lo
ripose sul carrello dello strumentario
chirurgico, facendo attenzione a non
disperdere sul pavimento la preziosa
sostanza. Subito dopo tolse da una tasca
del grembiule un sacchetto di plastica
autosigillante, del tipo che adoperava
per sterilizzare gli strumenti
chirurgici, e vi versò i peli che poco
prima adornavano la fica della ragazza.
Concentrato com'era nella
delicata operazione non si accorse
dell'ingresso nella sala operatoria
dell'anestesista.
- Hai preparato la
paziente? - disse la dottoressa
rivolgendosi a Giancarlo che si affrettò
a nascondere l'involucro di peli in una
delle tasche del grembiule.
- Sì, dottoressa, è tutto
pronto. Ho già infilato l'ago cannula
nella vena.
- Va bene, fra poco
procederemo all'intubazione.
Trascorsero pochi minuti
durante i quali la strumentista, che nel
frattempo aveva fatto il suo ingresso
nella sala, iniziò a disporre i ferri
chirurgici per l'intervento su di un
tavolo collocato a ridosso del campo
operatorio. L'anestesista intubò la
ragazza senza incontrare particolari
difficoltà. I chirurghi, dopo un
accurato lavaggio delle mani, eseguito
nell'antisala, fecero il loro ingresso
nella sala operatoria.
Il più anziano dei due
chirurghi si fece consegnare dalla
strumentista una pinza chirurgica e,
afferrata una garza, la intinse nella
ciotola di Betadine, poi
iniziò a cospargere il potente
antisettico sull'addome della ragazza.
Giancarlo rimase a
osservare i movimenti della mano del
chirurgo con fare apparentemente
distaccato. In realtà era in attesa
dell'attimo in cui la garza, imbevuta
dell'antisettico, avrebbe tinto
d'arancio la fessura della fica.
L'aspettativa non fu disattesa, dopo
qualche istante il chirurgo,
apparentemente disinteressato alla
preziosa gemma che faceva bella mostra
fra le cosce della ragazza, prese a
spennellarle l'antisettico sulla pelle.
Dalla posizione in cui
Giancarlo si trovava, al limite
inferiore del tavolo operatorio, ai
piedi della ragazza, riuscì a godere
dell'infiltrarsi del liquido fra le
grandi labbra. Senza farsene accorgere
infilò la mano nella tasca del
grembiule, sotto l'elastico dei
pantaloni, e iniziò a toccarsi il cazzo.
Seguitò a masturbarsi fino
a quando i chirurghi stesero intorno
all'addome della ragazza alcuni teli
verdi per delimitare il campo
operatorio, sottraendogli la vista della
fica.
L'intervento chirurgico durò
soltanto mezzora. La ragazza,
completamente ristabilita, ma ancora
sotto l'effetto dell'anestesia fu
portata nella sala di risveglio dove
rimase in osservazione prima d'essere
trasferita in corsia.
Nel primo pomeriggio,
riordinata la sala operatoria, Giancarlo
si recò nello spogliatoio riservato al
personale infermieristico e si cambiò
d'abito. Prima di abbandonare lo
spogliatoio della clinica tolse dalla
tasca della vestaglia il prezioso
involucro di plastica che conteneva i
peli della ragazza, e lo ripose in una
tasca della giacca.
Non andò direttamente a casa.
Trascorse il resto del pomeriggio al
bar, giocando alle carte con gli amici,
discutendo di calcio e ciclismo. Dopo
cena si trattenne un paio d'ore dinanzi
alla tivù a guardare una partita di
calcio, dopodiché si preparò per
andare a dormire.
La stanza da letto
conteneva alcuni elementi d'arredo fuori
dall'ordinario. Uno strano odore
aleggiava nell'ambiente. Nessun altro,
all'infuori di lui, aveva mai messo piede in
quella stanza. Dalla tasca della giacca
tolse l'involucro di plastica che si era
portato appresso dalla clinica e lo
appoggiò sul comodino. Si liberò
dell'accappatoio di spugna e si coricò
fra le lenzuola.
Finalmente avrebbe potuto
riposarsi sul suo materasso di peli di
fica. C'erano voluti anni di lungo e
paziente lavoro per realizzare il
prezioso giaciglio. Una fantasia
coltivata da ragazzo e resa possibile
dal mestiere che svolgeva.
Il materasso era costituito
da un assortito miscuglio di peli di
fica di colore castano e nero. I due
guanciali invece erano imbottiti con una
mistura di peli biondi e rossi. Una
scelta, quest'ultima, scaturita da una
sorprendente scoperta che aveva fatto
nell'annusare la dolce flagranza di cui
erano impregnati questi peli.
Dopo essersi coricato sul
letto prese a rimirarsi il cazzo che
teneva stretto fra le dita. Da sopra il
comodino afferrò l'involucro di
plastica dove in precedenza aveva
riposto i peli rossi e rovesciò il contenuto
sul pube. Mischiò i peli della
ragazza ai suoi e iniziò a massaggiarsi
il pube con le dita.
Gli piaceva trastullarsi
con i peli di fica, era un piacere unico
il suo. Di tanto in tanto ne sollevava
qualche ciuffo e lo avvicinava alle
narici per annusarne l'odore. Sniffare
quella dolce fragranza era più
appagante di una qualsiasi riga di cocaina.
Il respiro gli si fece
affannoso, iniziò a masturbarsi come
gli succedeva ogni volta che portava a
letto quegli oggetti di piacere. Non
inumidì la cappella con la saliva,
avrebbe corso il rischio d'infradiciare
i peli e sminuire il profumo di cui
erano pregni. Sborrò nella mano in
poco tempo evitando d'imbrattare i peli.
Prima di spegnere la luce
nella stanza diede un ultima occhiata al
pube ricco di peli. L'aspetto era assai
singolare colorato com'era di multiformi
peli rossi e neri. Avrebbe trascorso
tutta la notte coperto dal quel soffice
manto come spesso gli succedeva quando
dall'ospedale portava a casa i peli di
fica. L'indomani mattina, al risveglio,
avrebbe goduto di quella vista
straordinaria. Accese una sigaretta,
spense la luce, e si addormentò.
.
I pompieri, chiamati dai
vicini perché allarmati dalla coltre di
fumo che usciva dall'abitazione di
Giancarlo, trovarono il corpo
carbonizzato di un uomo disteso sulla
rete metallica del letto. Dei peli e del
materasso non c’era rimasta nessuna
traccia.
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