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HAPPY
RIDE
(Cavalca felice)
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Alla
soglia dei sessant’anni ho cominciato
a fare un uso pressoché quotidiano
della bicicletta. Rita, mia moglie, a
differenza del sottoscritto, se n’è
sempre servita per i suoi spostamenti in
città rifuggendo l’utilizzo dei mezzi
pubblici. Se ho iniziato ad avvalermi
anch’io della due ruote non è per
fare dell'economia, anche se a fine mese
mi permette di risparmiare una bella
sommetta di denaro rispetto a quando
utilizzavo l’automobile per i miei
spostamenti, ma se ho ripreso a pedalare
è perché, stando seduto tutto il
giorno dietro una scrivania, avvertivo
il bisogno di effettuare dell'attività
fisica, e la bicicletta si è rivelata
un eccellente strumento per mantenermi
in pregevoli condizioni fisiche.
E’
scientificamente provato che qualsiasi
esercizio fisico giova all'organismo
umano. Mettere in movimento lo scheletro
è indispensabile per mantenere il cuore
allenato allo sforzo e soprattutto è
utile per ridurre lo stress, inoltre
esercita una notevole influenza
sull’attività celebrale. Resta il
fatto che da quando ho ripudiato
l’automobile, privilegiando l'utilizzo
della bicicletta, la mia vita di
relazione è cambiata in modo radicale.
Innanzitutto mi sono
accorto che sono molto più sereno e di
buonumore, e poi sono tornato ad avere
con mia moglie una vita di coppia più
salutare, questo perché, dopo anni di
stentato desiderio sessuale, abbiamo
ripreso a fare l’amore con rinnovato
impeto e calore.
Il
medico di famiglia, cui faccio
riferimento per mantenere sotto
controllo dei problemi che ho allo
stomaco, reminescenze di una vecchia
ulcera gastrica procuratami da un
batterio dal nome Helicobacter Pilori
che sono riuscito a debellare, mi ha
spiegato che questa mia rinascita
sessuale è resa possibile
dall’attività fisica che mi sono
imposto di compiere, mettendomi a
pedalare ogni giorno per 6-7 chilometri,
che poi sono quelli necessari per
raggiungere il posto di lavoro e fare
ritorno a casa. Inoltre mi ha confermato
che pedalare è uno dei modi migliori
per tenere allenato l'intero sistema
cardiovascolare, cosicché è uno sforzo
fisico che effettuo volentieri.
Pedalare
un’ora al giorno mi è servito per
rafforzare i muscoli delle gambe e delle
braccia, ma soprattutto quelli della
zona pelvica e anche del fondoschiena.
Muscoli che come tutti gli uomini
utilizzo attivamente quando faccio
l'amore, cosicché avendoli abituati
alla fatica fisica, grazie all'uso della
bicicletta, sono diventato anche più
prestante quando scopo mia moglie.
Sempre il medico di famiglia mi ha
raccontato che nell’uomo l’erezione
del pene è determinata non solo dallo
stato di eccitazione, ma anche
dall’afflusso di sangue che raggiunge
i corpi cavernosi, ragione per cui se il
sistema cardiovascolare funziona alla
perfezione anche l’erezione risulta più
soddisfacente. Questo, secondo lui,
potrebbe spiegare l’intensificazione
dei rapporti sessuali che ho ripreso ad
avere con Rita, con mia e sua
soddisfazione.
Dall'estate
scorsa oltre a utilizzare la bicicletta
per i miei spostamenti in città, io e mia moglie abbiamo iniziato a effettuare
delle uscite domenicali
di 20-30 chilometri. E al ritorno a
casa, nonostante la stanchezza, mi sono
accorto che tutt'e due abbiamo dipinto
sul viso un sorriso di soddisfazione,
forse perché ci sentiamo più vivi e
abbiamo la sensazione di essere tornati
a essere anche più sexy nonostante la
non più giovane età.
Ho
cominciato ad appassionarmi alle gare
ciclistiche da bambino, ma a differenza
dei miei coetanei non è accaduto quando
i mie genitori mi hanno fatto dono della
prima bici, bensì grazie a un
gioco.
Nel mese di giugno,
in corrispondenza della disputa del Giro
Ciclistico d’Italia, anche noi
bambini, con le scuole ormai chiuse,
gareggiavamo al nostro piccolo al Giro
d'Italia. Lo facevamo utilizzando i
tappi a corona delle bottiglie,
spingendoli con le dita su piste
disegnate con il gesso sull’asfalto
oppure sullo sterrato, riproducendo
diverse tipologie di percorso come erano
soggetti i corridori veri al Giro d’Italia.
Sinàlcol,
era il nome dialettale con cui noi
bambini indicavamo il tappo a corona che
riempivamo con una fotografia del nostro
ciclista preferito. Immagine che ci
procuravamo ritagliandola dalle pagine
di qualche giornale illustrato, ma più
verosimilmente dalle figurine che
acquistavamo nelle edicole. Ogni bambino
partecipava alla gara dopo avere
sistemato l'immagine all'interno del
tappo, a contatto con il sottile
strato di sughero, e tenuta in
sede da un vetro tondo della giusta
misura che realizzavamo compiendo un
meticoloso lavoro con l'estremità tonda
di un sasso. Dopodiché mettevamo fine
al nostro lavoro di cesello inserendo
una sottile striscia di stucco che
depositavamo ai lati del vetro per
mantenerlo in sede.
Ogni concorrente era
libero di personalizzare il proprio
tappo, magari aumentandone il peso
oppure levigando la superficie esterna
in modo da renderlo più veloce e
stabile nei rettilinei.
Dopo
avere tracciato con il gesso un percorso
ricco di curve e linee rette, della
lunghezza di circa dieci quindici metri,
ciascun concorrente doveva spingere in
avanti il proprio tappo mediante uno
scatto delle dita. Di solito si
utilizzava il dito pollice e il medio,
ma c’era anche chi invece del medio
faceva uso dell’indice a mo di
pinghella.
Si procedeva
nella gara, facendo un tiro per ciascuno
bambino, fintanto che uno dei
concorrenti raggiungeva per primo il
traguardo. L’abilità consisteva nel
sapere dosare la spinta che ogni
giocatore era in grado d'imprimere al
proprio tappo, tanto da fargli compiere
sul tracciato uno spazio il più lungo
possibile tenendo conto dei rettilinei e
delle curve disseminate lungo il
percorso. Ricordo che trascorrevo intere
mattinate nel cortile dell’oratorio
dei missionari Stimmatini di Via
D'Azeglio, sotto il sole cocente,
giocando con gli amici cui ciascuno
aveva dato al proprio tappo il nome di
un corridore. Nel mio tappo avevo
inserito l’immagine di Charly Gaul, un
ciclista lussemburghese che nella sua
carriera di ciclista ha vinto due Giri d’Italia
e un Tour de France, e all'epoca andava
fortissimo in salita.
Non
c’era niente di erotico in quel gioco,
ma ricordo che ero sempre eccitatissimo
prima, durante e dopo la gara, specie se
mi capitava di vincere qualche tappa anche
se succedeva assai di rado perché Gino
il paisà, uno dei miei avversari, era
bravissimo in questo gioco e mi batteva
sempre.
Negli
anni sessanta, con l’arrivo della
stagione estiva, avevo preso
l’abitudine, specie la domenica, di
lasciare la città in sella alla
bicicletta in compagnia del gruppo di
amici dell’oratorio. Le escursioni che
mettevamo in atto in sella alle nostre
due ruote, fra pianura e montagna,
avevano sempre lo scopo di raggiungere
un fiume dove fermarci a fare il bagno.
I percorsi classici
delle nostre uscite in comitiva erano
perlopiù tre. La scampagnata più
breve, un'ora o poco più di strada fra
l’andata e il ritorno, era quella che
effettuavamo per raggiungere il fiume
Taro percorrendo la Via Emilia sino a
Eia.
Mentre la scampagnata
di lunghezza media la mettevamo in atto
andando a Po dalle parti di Brescello,
il paese di Peppone e Don Camillo,
spingendoci talvolta persino sulla
sponda lombarda attraversando il ponte
di barche che conduceva a Viadana.
La più lunga e
avventurosa delle uscite in bicicletta
la effettuavamo per raggiungere, dopo un
percorso in salita, il paese di
Serravalle lungo il fiume Ceno.
Quando
le
uscite di gruppo erano di chilometraggio
breve, come quella per raggiungere il
fiume Taro, allora la scelta del tratto
di fiume dove recarci a nuotare la si
prendeva seduta stante, poco prima di
partire, mentre se le uscite prevedevano
un percorso di parecchi chilometri in
quel caso ci organizzavamo nei giorni
precedenti l'uscita domenicale.
A quelle scampagnate
domenicali prendevano parte soltanto i
maschi, anche perché l’oratorio dei
missionari Stimmatini, cui noi bambini
facevamo capo, era frequentato
esclusivamente da maschi, mentre le
femmine presenti in gran numero nel
quartiere dell'Oltretorrente
frequentavano la parrocchia della S.S.
Annunziata oppure di Santa Croce.
Le nostre biciclette
erano perlopiù dei catorci di seconda o
terza mano. Soltanto alcune due ruote
erano dotate di cambio a tre marce, ma
ai nostri occhi quelle biciclette erano
delle gemme preziose.
Nelle nostre
escursioni ci portavamo appresso tutto
il necessario per le riparazioni:
tubetto di mastice, carta vetrata e le
toppe con cui pezzare le camera d’aria
in caso di forature. Ma il piacere
maggiore di quelle uscite domenicali
consisteva nell’emozione che provavamo
nell’allontanarci da casa senza adulti
al seguito, associato al piacere di fare
il bagno nei fiumi. L'unica seccatura di
quelle escursioni in bici, ripensandoci,
è che a parteciparvi fossero solo
maschi, ma a quell’età (9-12 anni) e
soprattutto in quel contesto storico e
sociale manco le avevamo in mente le
femmine.
L’incanto
del Parco Regionale dei Boschi Carrega,
distante poco più di una decina di
chilometri dalla città, è arricchito
dalla presenza di piccoli laghi
realizzati artificialmente dalla mano
dell'uomo con degli sbarramenti ad
alcuni ruscelli.
Gli specchi d’acqua
circondati da un fitto bosco
attribuiscono al paesaggio un aspetto
molto suggestivo. Uno di questi, il Lago
della Svizzera, è ubicato nel cuore del
Parco ed è circondato da abeti bianchi
e rossi che gli conferiscono una
suggestiva atmosfera, facendolo
assomigliare a un laghetto alpino. Il
posto è facilmente raggiungibile in
sella alla bicicletta, una volta usciti
dalla città, percorrendo la strada che
attraversa il parco da Collecchio verso
Sala Baganza, dopodiché occorre
abbandonare le due ruote per inerpicarsi
a piedi su un impervio e stretto
sentiero sterrato.
Nel
primo pomeriggio di una calda e assolata
domenica d’estate, in sella alla
bicicletta, Vanessa ed io avevamo
raggiunto senza troppo sforzo il parco.
Abbandonate le due ruote, dopo esserci
premurati di incatenarle una all'altra
al fusto di un albero, avevamo percorso
a piedi il sentiero che conduce al
Lago della Svizzera portandoci appresso,
oltre a un paio di stuoini e della crema
solare, anche un mangianastri con cui
ascoltare della musica.
Una striscia di prato
erboso con vista panoramica sul
laghetto, posto dirimpetto a un casotto
adibito a rifugio, si era palesato ai
nostri occhi come il luogo ideale da
occupare per chi come noi era alla
ricerca di un spazio, lontano da sguardi
indiscreti, per trattenerci in intimità
e rilassarci mentre ci abbronzavamo al
sole, ma anche per scambiare un po’ di
coccole.
Negli
anni sessanta uomini e donne non erano
soliti prendere il sole in modo
integrale, infatti, Vanessa dopo essersi
tolta gonna e camicetta si era mostrata
con indosso un bikini a fiori che si era
premurata d’indossare prima di uscire
da casa.
E' capitato
all’ombra di quei maestosi esemplari
di abeti bianchi e rossi, sull’erba
fresca in riva al Lago della Svizzera,
immersi nel profumo di bosco, che
Vanessa e io abbiamo perso la verginità.
Si era piegata alle mie insistenze dopo
che da un paio di settimane cercavo di
convincerla a fare l’amore in maniera
completa, mentre in precedenza si era
sempre ritratta rifiutandosi di farlo.
Della
nostra prima volta ho un ricordo
bellissimo. Tutt'e due eravamo parecchio
eccitati e presi d'amore uno per
l’altra. E poi anche se non me lo
aveva mai dichiarato anche lei
desiderava perdere la verginità.
In quella occasione
penso di essere stato abbastanza dolce e
delicato con lei, perlomeno questo è il
ricordo che mi porto appresso di quella
giornata. Ma ciò che ho stampato
nella memoria della nostra prima volta
è che a Vanessa aveva perso molto
sangue. La stessa cosa era capitata la
volta seguente che avevamo fatto
l’amore, ma dopo le prime due volte,
caratterizzate dal dolore, era arrivato
il godimento anche per lei.
Dai
miei amici avevo appreso che al momento
della penetrazione nella vagina sarebbe
potuto uscire qualche goccia di sangue,
sennonché non era accaduto quello che
avevano profetizzato perché la perdita
era stata copiosa. In quella occasione
Vanessa si era premurata di utilizzare
le mutandine come assorbente per
arginare la perdita di sangue, ma non
potendo riportare a casa l’indumento
intimo insudiciato, altrimenti avrebbe
insospettire la madre, aveva abbandonato
le mutandine nel bosco. Io, senza
farmene accorgere, mi ero premurato di
raccoglierle conservandole a lungo come
ricordo di quella nostra prima volta.
A
quell’età, da poco avevo compiuto
diciassette anni, ero parecchio
imbranato. Con Vanessa avevo seguitato a
fare l'amore ancora per un paio di mesi
dopodiché le nostre strade si erano
divise per colpa del mio migliore amico.
Lei, infatti, dopo avere perso la
verginità si era concessa anche a
lui. Qualche anno dopo quel primo amore
avevo fatto conoscenza con Rita, la
donna che è diventata mia moglie ed è
con lei che ho dato un taglio definitivo
all'adolescenza.
Muoversi in
sella alla bicicletta per strade, piazze
e borghi, delle città penso sia alla
portata di maschi e femmine di ogni età.
E' un tipo di attività motoria che può
essere praticata senza eccessivo
dispendio di energie anche da chi, come
il sottoscritto, ha da poco raggiunto la
terza età. Però devo fare molta
attenzione ai problemi che potrebbero
insorgere a causa del contatto della
prostata con il sellino.
Infatti, uno dei
maggiori pericoli cui potrei andare
incontro è legato ai danni provocati
dalla compressione dei vasi sanguigni e
dei nervi della zona perianale dove è
situata la prostata, poiché è
scientificamente provato che il continuo
strofinamento sul sellino potrebbe
risultare invalidante e procurare seri
problemi alla salute. In ogni caso è un
problema che non mi tocca direttamente
poiché dell'utilizzo della bicicletta
non ne faccio una pratica sportiva e
nemmeno ci pedalo sopra per molte ore
consecutive.
Il
discorso si fa più complesso per quanto
riguarda mia moglie. Rita è una donna
sessualmente emancipata, non a caso ha
sempre frequentato ambienti di
femministe. Una decina d’anni fa
quando ho cominciato a patire un
calo di desiderio sessuale,
trascurandola, ha iniziato a fare uso di
vibratori, oggetti erotici diventati col
passare degli anni di uso abbastanza
comune tanto da essere diffusi, specie
fra le giovani donne, molto più degli
smartphone.
Rita
ha sempre patito una certa difficoltà
nel raggiungere l’orgasmo se non per
effetto di una stimolazione intensa.
Questa è una delle ragioni per cui
seguitiamo a fare ricorso a materiale
pornografico per eccitarci
vicendevolmente, incuriositi dalle
perversioni che vediamo esplicitate nei
film porno.
Mi
piace stare a guardarla mentre si
masturba, condividendo con me le sue
fantasie erotiche. Utilizza le proprie
dita, ma sempre più spesso fa ricordo a
un dildo per raggiungere l’orgasmo.
Vortici di piacere che col trascorrere
degli anni si sono via via
trasformati in una forma di dipendenza
di cui non sa più fare a meno perché
è costantemente all’inseguimento di
un piacere sempre più intenso. E la
stimolazione della vagina che sa darsi
da sola la porta a preferire stimoli
forti.
Di
sicuro a Rita non fa difetto la
fantasia, specie per quanto riguarda il
masturbarsi. Le piace toccarsi il pube
col palmo della mano, carezzarsi il
clitoride, stimolare le grandi e piccole
labbra, ma più di tutto si diletta a
praticare l‘autoerotismo servendosi di
vibratori o di qualsiasi oggetto di
forma cilindrica capace di penetrarla
nella vagina, e non disdegna farlo con i
colli di bottiglia.
Mi piacciono le
smorfie di piacere che le affiorano sul
viso mentre si masturba con uno dei
vibratori della ricca dotazione che
custodisce in un armadietto del bagno. A
lei fa piacere se mi intrattengo a
guardarla perché grazie alla mia
presenza riesce a raggiungere
quell’eccitazione che le permette di
arrivare facilmente all’orgasmo. E
talvolta, all'apice del piacere, lascia
che la penetri.
All’incirca un mese
fa ha acquistato, navigando in un sito
internet di cui è diventata abituale
frequentatrice,
un copri-sellino vibrante che mi sono
premurato di montarle sul sellino della
bicicletta. In questo modo ha reso molto
più eccitanti le sue uscite per le
strade della città.
Il congegno
elettromeccanico lo ha realizzato una
azienda britannica, specializzata nella
produzione di sex toy, che all'aggeggio
ha conferito il nome commerciale di:
“Happy Ride”.
E' un oggetto
erotizzante appropriato per donne come
mia moglie a cui piace muoversi in città
in sella alla bicicletta. Pedalare
utilizzando questo tipo di copri-sellino
le è diventato ancora più piacevole.
Le visite che compie
in città alla guida della bicicletta,
sono diventate memorabili. Il
morbido copri-sellino, adeguatamente
imbottito di gel, mantiene al proprio
intero un motorino, abbastanza discreto
e pressoché invisibile, capace di
produrre delle vibrazioni che permettono
a chi vi posa sopra i genitali delle
stimolanti e intime sensazioni di
piacere.
Il sellino è dotato
di un controller remoto che permette a
chi mantiene il culo appoggiato sopra il
sellino di azionare il motorino
vibrante, nascosto dentro una sacca del
tutto anonima, posta nella parte
posteriore della sella, e regolare
l’intensità della vibrazione.
A
dire il vero sono preoccupato perché
dopo che ho collocato sulla bicicletta
di Rita questo innovativo copri-sellino,
dal costo modesto di 40 euro, temo che
potrebbe incorrere in possibili
distrazioni mentre si muove per la
strada, producendo stordimenti che
potrebbero risultare fatali alla sua
salute.
Il risultato che
abbiamo ottenuto è che non vorrebbe mai
scendere dalla bicicletta, anzi
addirittura mi ha obbligato a installare
un altro copri-sellino sulla cyclette
che abbiamo dentro casa. Penso che prima
o poi ci salirò sopra anch'io, tanto
per costatare l'effetto che può fare su
di me.
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