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HABIB E PATRIZIA
UNA STORIA QUALUNQUE
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Il
decrepito barcone di legno su cui Habib
aveva trovato posto, al pari di altri
migranti, aveva lasciato la penisola di
Cap Bon, punta estrema della costa
tunisina che si protende verso la
Sicilia, per raggiungere la costa
italiana all'imbrunire.
Stipati nella barca come
sardine dentro una scatola di latta,
uomini, donne e bambini erano salpati
con il mare mosso desiderosi di
raggiungere l'Italia, sull'altra sponda
del Mar Mediterraneo, accomunati nel
desiderio di una vita migliore, seguendo
l'esempio delle migliaia di disperati
che li avevano preceduti nel medesimo
viaggio della speranza.
La situazione d'instabilità
politica, l'estrema povertà e il futuro
incerto, aveva spinto Habib a lasciare
il paese nordafricano per attraversare
il Mar Mediterraneo e raggiungere amici
e parenti migrati in Francia, dopodiché
si sarebbe messo di buona lena alla
ricerca di un lavoro.
Dopo alcune ore di
navigazione le condizioni di mare, causa
l'intensità del vento e l'altezza
sempre più preoccupante delle onde,
aveva reso difficile la navigazione
dell'imbarcazione di legno.
Il natante aveva
incominciato a imbarcare acqua e il
motore, installato sullo specchio di
poppa, sottoposto a uno stress meccanico
superiore alle proprie potenzialità,
era andato in avaria. Divenuto
ingovernabile, investito da una enorme
ondata, il barcone si era capovolto e i
migranti erano finiti in acqua.
Soltanto un paio d'ore dopo
il naufragio i soccorritori della
Guardia Costiera italiana, salpati con
due motovedette dall'isola di Lampedusa,
allertati da uno degli elicotteri in
perlustrazione nel mare di Sicilia,
avevano avvistato numerosi cadaveri
dispersi in mare e molte persone
aggrappate al barcone sul punto di
inabissarsi.
Habib si era salvato
dall'annegamento aggrappandosi, insieme
con altri migranti, ai galleggianti di
una gabbia per l'allevamento dei tonni
trainata da un motopeschereccio. Era da lì
che l'equipaggio di una delle
motovedette, impegnato nelle operazioni
di soccorso nel Canale di Sicilia, lo
aveva tratto in salvo in gravi
condizioni di ipotermia. Condotto
all'isola di Lampedusa, insieme agli
altri superstiti del naufragio, era
stato trasferito a Porto Empedocle per
essere ospitato in un centro per
l'accoglienza dei clandestini.
Nella struttura siciliana
Habib c'era rimasto soltanto una
settimana. Alla prima occasione, insieme
a un gruppo di cinque connazionali, era
fuggito da quel posto infame
approfittando della confusione creatasi
nel centro di accoglienza a causa di un
vasto incendio, di origine dolosa, le
cui fiamme avevano interessato due
padiglioni dove erano ospitati i
migranti.
Habib, insieme ai compagni,
aveva proseguito nella fuga sino a
Messina riuscendo a evitare i numerosi
controlli messi in atto dalla polizia.
Qualche giorno più tardi, risalendo lo
stivale italico, aveva raggiunto Parma
dove, già prima dello sbarco sul
territorio italiano, era stato in
contatto telefonico con parenti e amici
residenti nella piccola città ducale.
La realtà sociale della
città emiliana era molto diversa da
quella che si era immaginato allorché
aveva deciso di allontanarsi dalla
Tunisia. L'apatia dei suoi connazionali
non lo sorprese. Fra loro c'era chi
trascorreva le giornate destreggiandosi
a fare del lavoro in nero e chi invece
preferiva starsene seduto per la strada
a bivaccare. La maggioranza dei
clandestini sopravviveva spacciando
sostanze stupefacenti oppure
prostituendosi. Habib scelse di
abbracciare quest'ultima condizione di
vita.
Con la spavalderia dei
ventenni, tipica di chi ha tanto
coraggio e nulla da perdere, abbigliato
in modo sportivo: giubbotto di pelle
nero, jeans, scarpe firmate Adidas,
Habib era solito mettersi in mostra,
durante il giorno, sui marciapiedi in
prossimità della stazione ferroviaria,
mentre al calare della sera, sino alle
prime ore della notte, aveva l'abitudine
di prostituirsi lungo la strada che
conduceva ai mercati generali poco
distante dalla tangenziale.
Mettersi nella condizione
di offrire delle prestazioni sessuali ai
clienti che ne facevano richiesta
permetteva a Habib di guadagnare il
denaro necessario per sopravvivere alla
bene e meglio, confidando in un
accadimento propizio che potesse
cambiargli la vita.
Erano molti gli uomini,
anche minorenni, soprattutto albanesi,
romeni e nordafricani, che come lui si
prostituivano nelle diverse zone della
città emiliana. Quando aveva
incominciato a prostituirsi capiva ben
poco della lingua italiana e ancora meno
la parlava, ma per il genere di attività
a cui si era consacrato non occorreva
necessariamente possedere molta
dimestichezza con il lessico italiano,
poiché nel fraseggio si limitava a
contrattare il tipo di prestazione e il
prezzo con i clienti.
Ogni sera, sui marciapiedi
in prossimità dei mercati generali,
erano presenti sempre venti o trenta
ragazzi occupati a prostituirsi. Habib
era uno di loro e come gli altri
marchettari era soggetto a richieste
sessuali di ogni genere. La domanda che
più spesso i clienti gli rivolgevano,
sporgendosi in modo sfacciato dal
finestrino delle automobili, era "
Sei passivo o attivo?". E lui
rispondeva: Attivo!!!
Trenta Euro era il compenso
che chiedeva agli uomini per farselo
succhiare, ma era disposto a calare di
prezzo nelle sera in cui gli girava male
per la mancanza di clienti.
Le prime volte che si era
impegnato a prostituirsi aveva mantenuto
per tutto il tempo gli occhi chiusi
immaginando che a fargli il pompino non
fosse un uomo ma Yasmina, la ragazza che
aveva lasciato in Tunisia con la
promessa di fare ritorno da lei. Col
passare del tempo non aveva più avuto
bisogno di ricorrere a questo espediente
per lavorarselo e farlo diventare duro,
il cazzo. Farselo succhiare, seppure da
un uomo, dopotutto era piacevole, anche
perché si era presto convinto che una
bocca valeva l'altra.
Dopo qualche mese che si
prostituiva si era assicurato un giro di
clienti fissi, apprezzato soprattutto
per le dimensioni del gingillo di carne
che gli penzolava fra le cosce, ma che
non faticava a fare entrare in erezione,
grazie all'ausilio del Viagra, ogni
volta che le labbra di qualche cliente
glielo prendeva in mano e lo avvicinava
alle labbra per succhiarglielo.
Habib si era persino dotato
di un secondo cellulare per facilitare
gli incontri mercenari con i clienti.
Erano molti quelli che, una volta
assaggiato il cazzo di cui madre natura
lo aveva dotato, non potevano fare a
meno di tornare a cercarlo. Con alcuni
di loro aveva saputo instaurare un
rapporto di reciproca fiducia, tanto da
essere invitato a consumare il rapporto
sessuale nell'intimità delle loro
abitazioni anziché farselo succhiare
nell'alcova di una automobile.
A cercare la sua compagnia
erano uomini di ogni età e ceto
sociale, soprattutto sposati e con
figli, a cui, dopo avergli fatto
assaggiare la grossa cappella, alla fine
del rapporto gli sborrava in bocca.
Abbassarsi a prostituirsi non gli
dispiaceva, affatto, anche se diceva a
se stesso che lo faceva per procurarsi
il denaro necessario per mangiare e
vestirsi perché privo di una
occupazione, ma era pur vero che nemmeno
andava a cercarlo un lavoro.
All'inizio si era
prostituito controvoglia, quasi si
vergognasse a metterlo in bocca agli
uomini che lo accostavano, poi, superata
una certa repulsione, aveva incominciato
anche a metterglielo nel culo ai
clienti, convincendosi che non ci fosse
molta differenza fra il buco del culo di
un uomo e quello della sua Yasmina.
Più di un cliente c'aveva
provato a metterglielo nel culo. Lui però
aveva sempre rifiutato la parte passiva,
anche se, in più di una occasione,
qualche cliente gli aveva offerto
parecchio denaro per incularlo,
stringergli il cazzo e menarglielo.
La vita di Habib si era
complicata il giorno in cui aveva
incontrato Patrizia, una donna
parmigiana di dieci anni più vecchia di
lui. L'aveva sedotta la sera stessa in
cui l'aveva conosciuta in una discoteca,
scopandola nel cesso dove lei lo aveva
trascinato. Patrizia stessa aveva
provveduto a piegare l'addome sopra il
lavabo in ceramica, stirandosi in avanti
e mantenendo le cosce bene allargate.
Habib aveva fatto scivolare la cappella
nella fica, scopandola a riccio, sino a
condurla all'orgasmo e indurla a urlare
di piacere.
La relazione con Patrizia
si era rivelata da subito complicata, un
legame strano il loro, affollato perlopiù
di amanti condivisi. All'inizio fare del
sesso a tre a Habib non gli era
dispiaciuto, infatti, si era presto
abituato a condividerla con altri
maschi. Ma non aveva tenuto conto che si
sarebbe innamorato, e nemmeno che si
sarebbe rammollito a tal punto da
riuscire ad accettare tutto da lei.
Durante i quattro mesi che
era durata la loro relazione aveva
persino smesso di prostituirsi,
prediligendo spacciare cocaina, hashish
e ketamina come facevano quasi tutti i
suoi connazionali, per essere più
libero di amarla.
Una fredda mattina di
febbraio Patrizia era stata ritrovata
esangue, con la testa fracassata, nella
sua abitazione. Nella camera da letto
gli investigatori della polizia
scientifica avevano rinvenuto numerose
macchie di sangue riferibili a una lotta
cruenta. Il cadavere era stato ritrovato
pigiato dentro la vasca di un
congelatore, privo di vestiti, cosa che
aveva indotto i poliziotti a pensare che
l'aggressore fosse qualcuno che la donna
conosceva molto bene.
La denuncia della scomparsa
di Patrizia era stata fatta dalle
colleghe di lavoro che, non vedendola
arrivare in ufficio senza che si fosse
premurata di avvertire dell'assenza,
avevano dato l'allarme contattando
telefonicamente i parenti. I pompieri
avevano provveduto ad aprire la porta
dell'appartamento e rinvenuto il corpo
della donna, privo di vita, nascosto
dentro il congelatore.
Alcune ragazze, studentesse
universitarie, che occupavano un
appartamento nello stesso pianerottolo
della vittima, avevano raccontato agli
investigatori della presenza di un
giovane nordafricano nella vita di
Patrizia, soffermandosi a dire che la
donna era un tipo strano, sempre con la
testa fra le nuvole, e forse anche un
po' ninfomane poiché il nordafricano
non era l'unico uomo che andava trovarla
e trascorreva la notte
nell'appartamento.
Habib, indagato per
omicidio, era stato rintracciato in
Spagna mentre cercava d'imbarcarsi verso
il Marocco e quindi raggiungere la
Tunisia. Gli inquirenti non avevano le
prove che fosse lui il colpevole
dell'omicidio, ma erano certi che prima
o poi la verità sarebbe venuta a galla.
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