GITA SCOLASTICA
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

       La direzione scolastica del liceo Giuseppe Verdi aveva fissato il concentramento degli studenti, in partenza alla volta di Parigi, alle 7.00 nel piazzale antistante la sede della scuola. Era la prima volta che da insegnante svolgevo il ruolo di accompagnatore, tuttavia non ero in ansia per il compito affidatomi, rassicurato dalle precedenti esperienze compiute quando ero studente liceale. 
    Sarei rimasto lontano da Parma all'incirca una settimana, cinque giorni per l'esattezza, con l'incarico di gestire una brigata di studenti prossimi all'esame di maturità. Ero preparato a tutto, conscio degli inconvenienti cui sarei andato incontro nel coordinare un simile gruppo, ma non ero pronto a fare fronte all'insistente corteggiamento di una delle liceali affidate alla mia persona.

    Al ritrovo ero arrivato in anticipo di mezz'ora sull'ora fissata per la partenza dei pullman, determinato a porre rimedio a qualsiasi intoppo si fosse verificato prima della partenza.
    I tre pullman gran turismo, provvisti di ogni comfort, persino di toilette chimica, stazionavano in un angolo del piazzale. Capannelli di studenti, scortati dai famigliari, erano in febbrile attesa che le porte dei pullman si spalancassero per prendere posto sui sedili.
    La maggioranza dei liceali, ignorando la presenza dei genitori, erano impegnati a digitare messaggi sul cellulare. Ma c'era anche chi se ne stava in disparte con le cuffie dell'ipod appiccicate alle orecchie ad ascoltare musica in attesa di prendere posto sui pullman. 
    Un continuo via vai di autobus, taxi, e autovetture private provvedevano a scaricare sul selciato della piazza gli studenti e i loro bagagli. Valigie, borse, beauty case, e sacche di ogni tipo, occupavano i marciapiedi in attesa di essere caricati sui pullman. Le valigie delle ragazze erano così voluminose che la mia borsa da viaggio, messa a confronto con i loro sarcofaghi di plastica a rotelle, pareva più piccola di quello che in realtà non fosse. Gli autisti dei pullman, dal canto loro, erano in attesa di un cenno da parte di noi insegnanti per aprire le porte, e lasciare che gli studenti fossero liberi di occupare i posti a sedere sui torpedoni.
    Quando la signora Persigotti in Della Rovere, preside del liceo, un'anziana insegnante prossima alla pensione, mi aveva interpellato sondando la mia disponibilità ad accompagnare un gruppo di studenti in viaggio di studio, le avevo risposto in modo affermativo, anche se non sapevo quale meta mi sarebbe stata assegnata. Le alternative a Parigi, infatti, erano Londra e Vienna. Tutte città che avevo già visitato in più di una occasione, anche se Parigi rimaneva, ed è tuttora, l'unica capitale d'Europa capace di esercitare su di me un fascino peccaminoso.
    Dei tre insegnanti scelti dalla preside per il ruolo di accompagnatori io ero il più giovane con i miei trentacinque anni. Le altre due insegnanti, la signora Galimberti in Mucci e la signorina Cottafava mantenevano uno stretto riserbo sull'età, anche se mostravano d'avere più di cinquant'anni entrambi.

    Alle 7.00 in punto, prima di prendere posto sui pullman, mi incaricai di fare l'appello degli studenti come ero solito fare ogni mattina in classe. Accertato che ragazzi e ragazze affidatemi avessero con sé il documento d'identità diedi ordine di sistemare borse e valigie nella bagagliera del pullman. 
    Quando gli autisti aprirono le porte si verificò un generale assalto ai tre pullman. Maschi e femmine cominciarono a strattonarsi, sgomitando e urlandosi addosso, in un caos indescrivibile presi com'erano dalla voglia di occupare i seggiolini più ambiti.
    Prima di chiedere all'autista del pullman, di cui ero il responsabile, di aprire la porta mi ero premurato di occupare un posto in seconda fila, poco distante dal posto di guida, depositandoci sopra un maglione e un giornale, per non ritrovarmi, mio malgrado, a occupare una delle ultime file del pullman dove non sarei riuscito a rilassarmi durante il viaggio per il caos che di solito regna in quel settore. 
    Dopo che la comitiva di liceali ebbe preso possesso del pullman effettuai un ulteriore appello, così come mi era stato suggerito dalle due anziane colleghe di viaggio, navigate più di me sui guai che avrebbero potuto verificarsi durante la gita scolastica. Terminato l'appello, sinceratomi che nessun coglione fosse rimasto a terra, andai a occupare il sedile a me destinato. Solo allora mi avvidi che il sedile accanto al mio, dalla parte del finestrino, era occupato da Francesca Vernucchi, una alunna della V°C. 

    Un paio di cosce da capogiro, tenute opportunamente accavallate. Stivali di pelle nera lunghi sino al ginocchio. Francesca indossava una gonna jeans che a malapena le nascondeva le mutandine. Masticava il chewing-gum e pareva non essersi accorta della mia presenza fintanto che ordinai all'autista di partire e mi sedetti accanto a lei. 
    Sotto i capelli lunghi e biondi, a cadere sulle spalle, nascondeva le cuffie giallo canarino dell'ipod che manteneva appoggiato sulla gonna. Nemmeno si preoccupò di coprirsi le cosce quando presi posto accanto a lei. Mi guardò con occhi da lupa, sbattendo un paio di volte le ciglia e, dopo essersi liberata delle cuffie, si rivolse a me con aria annoiata. 
    - Prof. mi sono seduta accanto a lei perché era l'unico posto rimasto libero sul pullman, le spiace?
    Pronunciò quelle parole mostrandomi un paio di labbra sporgenti oltremisura, colorate di un rosso estintore, come quelle che si vedono in tivù sui volti di qualche attrice, ostentando una sibillina aggressività che mi lasciò senza fiato. 
    - Hai fatto bene. - dissi imbarazzato dalla singolare presenza femminile seduta accanto a me. - Mi fa piacere averti qui, anzi durante il viaggio verso Parigi ne approfitterò per interrogarti perché voglio costatare se sei preparata o meno a sostenere l'esame di maturità. - conclusi facendo dell'ironia. 
    - Prof. non è giusto! Per una volta lasciamo la scuola e i suoi problemi alle nostre spalle. Anche lei è giovane, certe cose le capisce bene, mica vorrà guastarmi la gita? Mi interrogherà quest'estate, quando farò l'esame di maturità, se sarà uno dei commissari interni, come spero che sia. 
    - Scherzavo, dai, non ho nessuna intenzione di impegnarmi a interrogare nessuno di voi studenti, semmai lo farò in classe, al ritorno dalla gita, per appurare quanto avrete appreso dalle visite che compieremo.
    - Beh, saremo tutti bravi, di questo Prof. può starne certo. - disse lanciandomi un'occhiata piuttosto ruvida.
    Scivolò col culo verso il basso, e puntò le ginocchia contro il retro del sedile che le stava davanti, mettendo in mostra per intero le cosce e la parte inferiore delle mutandine, assumendo un contegno volutamente da esibizionista, come fosse sua intenzione mettermi in imbarazzo. "Bella e senza riserve!" pensai allarmato da tanta bellezza, mentre il cazzo prese a gonfiarsi sotto il tessuto dei pantaloni.
    Quando il pullman, superata la barriera del casello autostradale di Cortile S. Martino, prese la direzione di Piacenza, sullo schermo LCD pensile, posizionato sopra il parabrezza, al centro del corridoio, presero vita le immagini di un divertente film di Leonardo Pieraccioni. Una iniziativa tempestiva quella presa dall'autista, utile per calmare gli animi dei liceali più soggetti a un eccessivo, seppure comprensibile, scompiglio ormonale. 
    Per niente interessata alla proiezione della pellicola Francesca si mise a leggere le pagine di un romanzo noir di Scerbanenco. Anch'io preferii mettermi a leggere le pagine del Corriere della Sera che mi ero premurato di acquistare all'edicola, anziché perdermi a guardare le immagini del film, anche se di tanto in tanto mi premuravo di dare uno sguardo alle mie spalle infastidito dal costante ticchettio dei pulsanti dei cellulari adoperati dagli studenti per digitare e leggere messaggi. Un rumore continuo provocato dall'aprire e chiudere i telefonini, un battito meccanico, una contrazione nervosa, perché molti dei ragazzi nemmeno si soffermavano a guardare il display tanto era meccanico il gesto. 

    Alle porte di Torino, abbandonata la corsia della A21 riservata agli autoarticolati, i tre pullman arrestarono la corsa nell'area di parcheggio di un autogrill: il Crocetta Nord, per la precisione. La comitiva di ragazzi e ragazze si precipitò a terra, diretta verso i bagni per fare la pipì, ma soprattutto per fare rifornimento al market di porcherie da mangiare e bevande da bere durante il viaggio verso Parigi. Anche Francesca scese dal pullman insieme ai compagni di scuola, ma al ritorno non si portò appresso alcunché, segno evidente che aveva fatto solo la pipì, e mi ritrovai turbato da quel piccolo ed eccitante evento.
    Superata la tangenziale di Torino i tre pullman, con il mio in testa, presero la direzione del traforo del Frejus. Il film di Pieraccioni, giunto a conclusione, fece spazio sullo schermo LCD a un thriller. Prima di percorrere i tredici chilometri del tunnel sul pullman ci fu un frenetico smanettare di cellulari. SMS che partivano e arrivavano, con le suonerie che parevano impazzite, prossime a scoppiare tanto erano turbolente. 
    Il tunnel del Frejus dava l'impressione d'essere interminabile. Lo percorremmo con le luci accese dentro il pullman, seppure insufficienti per seguitare a leggere un libro o le pagine del giornale, così ebbi modo di scambiare qualche chiacchiera con Francesca. 
    Conversando in modo amichevole trovai conferma che era un tipo sveglio, intelligente, e non solo bella. Mi confidò che giocava in una squadra di pallavolo e le piaceva leggere, ballare, e che a casa aveva lasciato il ragazzo e di questo se ne rammaricava.
    Usciti dal tunnel ci trovammo a Modane, in territorio francese. Da lì proseguimmo il viaggio sull'autostrada A43 della Maurinienne, successivamente il pullman imboccò la A6 verso Parigi dove arrivammo verso sera, poco dopo le 20.00.

    Per ogni liceale che si rispetti la vera meta di ogni gita scolastica non è la città da visitare, bensì l'albergo dove l'allegra combriccola soggiornerà, anzi, quasi certamente, la vera meta non è nemmeno l'albergo ma sono le stanze che li ospiteranno durante il soggiorno, infatti, è lì che ogni sera, sino all'alba, gli studenti organizzano festini. 
    Grazie all'esperienza accumulata da studente sapevo che ragazzi e ragazze, durante il viaggio di avvicinamento a Parigi, desideravano raggiungere al più presto l'albergo per fare baldoria e scopare se capitava l'occasione per farlo, ma non avevo nessuna intenzione di fare il vigilantes durante le loro escursioni notturne. Il mio intendimento era quello di lasciarli liberi di fare ciò che volevano, nei limiti della decenza, però, senza spiarli. 

    Quando i tre pullman raggiunsero l'hotel il caos fu completo. Ragazzi e ragazze si precipitarono a terra e in pochi istanti la hall dell'albergo fu occupata da un cumulo di valige di ogni forma, grandezza, e da zainetti di ogni colore. L'assegnazione delle camere avvenne senza intoppi. Per ultimo la professoressa Galimberti, colei che si era occupata della assegnazione delle camere, mi consegnò una tessera magnetica, con su scritto Hotel Logis, indispensabile per aprire la porta della camera a me destinata e localizzata all'ultimo piano dell'albergo.
    Dopo il lunghissimo viaggio in pullman Francesca si confuse nella comitiva di studenti che mi pascolavano attorno, così non ebbi più modo di avvicinarla e stare in sua compagnia.

    La visita alle magnificenze della città francese furono uno sfinimento di musei, regge e cattedrali. Ore trascorse a correre come maratoneti da un posto all'altro, con ragazzi e ragazze che si fotografano l'uno con l'altra utilizzando i cellulari, le macchine fotografiche, oppure riprendendosi con telecamere digitali.
    Trascorsi le sere del mio soggiorno parigino seduto su una delle poltrone del bar dell'albergo, vicino all'androne, a sorvegliare i gruppi di liceali che nottetempo facevano ritorno dalla città, senza dare l'impressione di volerli controllare, ma rimanendo a loro disposizione in caso di necessità.
    Ogni sera ragazzi e ragazze mostravano di avere bevuto qualche birra di troppo durante la giornata. Ero al corrente che avrebbero seguitato a farlo anche nelle loro camere, vomitando e facendo mattina fumando canne in qualche pigiama party. Ma fra loro c'era anche chi oltre a bere e fumare trascorreva le serate prendendo parte a giochi erotici, come il classico gioco della bottiglia, scopando, scambiandosi i posti letto fra maschi e femmine.
    Riuscii a dribblare la compagnia della signora Galimberti in Mucci e della Cottafava, che scoprii dormire nello stessa camera grazie a una soffiata di un paio di liceali, lasciandole libere di visitare ogni sera Parigi mentre mi trattenevo nella hall dell'albergo. 
    L'ultima sera di permanenza a Parigi feci una mattata. Poco prima di cena chiamai un taxi e mi feci accompagnare in Rue Saint Denis. E una volta lì andai a scopare con una coppia di africane abili a scombussolarmi con l'arte della seduzione.

    Quella notte, dopo che ero venuto un paio di volte facendo sesso con le due africane, un temporale d'inaudita violenza, associato a lampi, tuoni, fulmini e spaventose raffiche di vento, mise sottosopra la città. 
    Verso le tre di notte fui svegliato dal fracasso provocato dalle saette, ma soprattutto dal rumore di qualcuno che bussava con insistenza alla porta della mia camera. 
    Ero impreparato a incassare un qualsiasi tipo di abbordaggio, infatti, quando andai ad aprire la porta ero persuaso che fosse accaduto qualcosa di grave a uno dei liceali a me affidati. Ma non avevo messo in conto che una delle ragazze potesse farmi visita. Aprendo la porta mi trovai di fronte alla figura di Francesca Vernucchi. La ragazza era in pigiama e manteneva le braccia conserte attorno al torace, come se fosse infreddolita e avesse bisogno di scaldarsi.
    - Beh, che c'è? E' successo qualcosa di grave?
    - Ho paura!
    - Di cosa?
    - Della pioggia e dei tuoni, a casa non sono abituata a dormire sola, c'è sempre mia sorella che dorme nella camera insieme a me.
    - Ma non sei in stanza con una delle tue compagne di classe?
    - Sì, ma stanotte è andata a dormire, ehmm... con il suo ragazzo.
    - E allora?
    - Posso venire a dormire qui con lei?
    Arrossii e balbettai non so bene cosa, sorpreso all'audacia della ragazza. Nell'aria, quella notte, c'era tanta elettricità, forse troppa. Dopo avere scopato con le due africane avevo ancora gli ormoni in subbuglio. Così le dissi di accomodarsi, dopodiché chiusi la porta alle sue spalle sorprendendo anche me stesso.
    Non so perché, ma agli insegnanti la direzione degli alberghi assegna sempre una camera matrimoniale oppure a due letti. E in quella occasione mi fu riservata una camera matrimoniale.
    Ci infilammo sotto le coperte, dopodiché spensi le luci dell'abat-jour sistemata sul comodino, e fu subito buio. In quel momento mi passarono per la testa mille e più pensieri, ed erano tutti uguali. Mi girai sul fianco, porgendo la schiena a Francesca, e provai ad addormentarmi. Dopo un po' mi trovai con le tette appoggiate alla schiena e il torace circondato da un suo abbraccio. E in quel modo mi addormentai.

    Quando le prime luci dell'alba fecero capolino attraverso la finestra mi svegliai. Ero steso sul dorso e Francesca manteneva il capo appoggiato sul mio torace. Provai a muovermi, ma tutt'a un tratto la sua mano si infilò sotto i miei slip e andò a cercare quello che il tessuto nascondeva. Il cazzo lo avevo già duro, e non ebbe bisogno di farlo rinvenire. Cominciò a toccarmi mantenendo il capo appoggiato per traverso fra il mio torace e la spalla, fingendo di dormire.
    Lasciai che mi masturbasse fintanto che cominciai ad ansimare di piacere per il lavoro di mano che stava conducendo. Quando fui prossimo a venire le spinsi il capo verso il basso. Lei infilò la cappella nella bocca e finì per farmi un pompino mentre le sborravo in gola. Rialzò il capo e mi baciò nella bocca restituendomi quanto di buono le avevo appena fatto dono. Subito dopo fuggì via e abbandonò la stanza.

    All'autogrill di Salbertrand, il primo che incrociammo dopo avere attraversato il traforo del Frejus, provenendo dalla Francia, scendemmo giù dal pullman come fossimo reduci da un combattimento in un territorio di operazioni belliche. Tornando in Italia dopo cinque giorni trascorsi in trincea la prima cosa che feci fu di assaporare un buon caffè espresso al bar dell'autogrill.
    Ragazzi e ragazze avevano facce sbattuta da fare paura. I maschi soprattutto avevano le occhiaia di chi aveva trascorso parecchie notti in bianco. Acquistai la Gazzetta dello Sport al market dell'autogrill, dopodiché ripresi il mio posto sul pullman.
    Nel viaggio di ritorno il sedile accanto al mio rimase vuoto per tutto il tempo. Francesca anziché tenermi compagnia preferì sedersi su una poltrona delle ultime file, la rividi soltanto il lunedì successivo a scuola e mi si rizzò l'uccello per l'eccitazione. Un paio di mesi più tardi Francesca diede l'esame di maturità. Come commissario interno la premiai facendole ottenere un 90/100.

 

 
 

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