GENTE CHE SI PARLA
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

         L'Oltretorrente non è più lo stesso quartiere che ho conosciuto dieci anni fa quando, carica di aspettative, sono arrivata a Parma dalla Campania per frequentare l'università. L’etnia delle persone che l’abitano non è più la stessa, tuttavia il quartiere ha mantenuto intatta l'anima popolare che lo ha sempre contraddistinto. E' questa la ragione per cui seguito a viverci.
   Le vecchie case dalle mura medievali, costruite con pietre e sassi, sono abitate quasi esclusivamente da uomini e donne che provengono da altri continenti. Raramente nei borghi e nelle piazze si sente parlare italiano, mentre il dialetto, con la sua tipica erre arrotata, è sparito del tutto. 
   Le botteghe che caratterizzavano la vita sociale e commerciale del quartiere hanno abbassato le saracinesche in maniera definitiva. Al contempo, nelle periferie della città, in prossimità dei viali di circonvallazione e della tangenziale, sono spuntati come funghi grandi centri commerciali.
   Gli appartamenti, mono e bilocali, ristrutturati di recente nell'Oltretorrente, sono stati ceduti in affitto dai vecchi proprietari a extracomunitari e studenti universitari a caro prezzo.
   C'è chi fra i miei conoscenti si stupisce quando lo informo che, nonostante il denaro che guadagno con la mia professione di veterinaria, seguito ad abitare in Piazzale Inzani come quando sono arrivata a Parma e frequentavo l'università. 
   "Casba dell'Oltretorrente". Ecco come viene additata da certi personaggi di destra la piccola piazza a forma di triangolo dove abito. A me invece questa piazza e la sua gente ricordano Napoli e il rione dove sono cresciuta.
   Contrariamente a quello che molti amici e conoscenti sono portati a credere non sono una eccezione. Altre donne, perlopiù studentesse universitarie, hanno la residenza nella piazzetta dove ogni mattina mi affaccio dopo avere aperto gli scuri delle finestre.
   Vivere in questa parte della città mi ha dato l'opportunità di entrare in relazione con uomini e donne di culture diverse dalla mia. Lo scambio dei nostri saperi e la presa di coscienza dei differenti costumi ci ha arricchito entrambi.
   A volte mi viene da pensare che le paure che la gente mostra d'avere verso chi è diverso, soprattutto riguardo il colore della pelle, sia dovuto in gran parte all'ignoranza o al terrore di essere intaccati nel proprio benessere materiale. Questo modo d'intendere il rapporto con gli altri è triste perché ogni uomo e donna è già di per sé diverso da qualunque altro essere umano. Fare differenze per il colore della pelle o soltanto perché le persone con cui entriamo a contatto sono nate in paesi diversi dall'Italia mi sembra assurdo, ma c'è sempre più gente che la pensa così.
   Parma non è soltanto l'Oltretorrente, c'è anche una parte della città che quotidianamente fa del teatro, dove la gente è chiamata ad assumere un ruolo da protagonista o da comprimario di una grande recita collettiva. Sto parlando di quelle persone che prima e dopo cena riempiono le strade del centro storico.
   Per convincersi che stanno recitando basta osservarli. Sono uomini e donne che non sanno resistere alla tentazione di apparire, plasmati con sembianze da automi, tutti uguali, anche se non sanno d'esserlo.

   Nell'Oltretorrente la vita esplode tutti i giorni in modo convulso e naturale, basta muoversi per i borghi per accorgersi della differenza che esiste fra le due anime della città, anche se a dividerle c'è soltanto la striscia d'acqua di un torrente. 
   Non sono una donna facile e Owobu, il mio attuale compagno lo sa bene. La nostra storia ha avuto inizio un paio di anni fa quando, aprendo la porta di casa, me lo ero trovato sul pianerottolo.
   Ero abituata, e lo sono tuttora, a muovermi per casa con addosso solo le mutandine, specie d'estate quando il caldo in città è insopportabile, senza preoccuparmi di mantenere le imposte delle finestre chiuse per difendermi dagli sguardi indiscreti di qualche curioso.
   Aprendo la porta di casa ero certa che mi sarei trovata di fronte Patrizia, un'amica con la quale avevo appena parlato al citofono e stava salendo le scale, invece trovai un uomo dalla pelle nera, vestito in tuta da lavoro, fermo sul pianerottolo, con un mazzo di chiavi nella mano, in procinto d'aprire la serratura della porta di fronte alla mia.
   Scorgendomi mezza nuda mi salutò con garbo, per niente sorpreso dal mio aspetto. L'imbarazzo fu tutto mio, perché spaventata dalla sua presenza mi ritirai istintivamente dentro l'appartamento, nascondendo il corpo dietro la porta, lasciando fuori soltanto la testa in attesa che sopraggiungesse Patrizia.
   Accortosi del mio disagio Owobu mi rassicurò informandomi, in un italiano approssimativo, che era il nuovo inquilino dell'appartamento dirimpetto al mio, occupato fino a qualche tempo addietro da Silvia, una studentessa universitaria che, dopo essersi laureata, aveva fatto ritorno a Lecce sua città natale.
   La comparsa di Patrizia mise fine alla nostra imbarazzante presentazione. Salutai Owobu con un cenno del capo e lui fece altrettanto con me, dopodiché aprì la porta dell'appartamento e sparì alla mia vista. 
   Il batticuore che mi aveva colto allorché mi ero trovata di fronte a Owobu non si era attenuato nemmeno dopo che mi aveva spiegato la ragione della sua presenza nel pianerottolo. Le sue parole mi erano scivolate sulla pelle nuda facendomi rabbrividire, e la cosa mi era sembrata piuttosto strana stante il clima caldo della giornata estiva.
   Ero convinta che il turbamento suscitato dalla sua presenza si sarebbe esaurito quello stesso pomeriggio, invece sbagliai. Una sera, poco prima dell'imbrunire, mentre mi muovevo mezza nuda per casa, notai attraverso la finestra della stanza da letto, quella che dava sul cortile interno, la figura di Owobu dall'altra parte del cavedio. 
   Se ne stava in piedi, seminascosto dietro la finestra della sua abitazione, al buio, e mi spiava. Quando si avvide che stavo volgendo lo sguardo nella sua direzione andò a nascondersi dietro la tenda che vidi ondeggiare prima di fare ritorno alla sua posizione naturale.
   Irritata dalla presenza di un uomo, pressoché sconosciuto, che mi fissava nell'intimità della mia dimora, mi allontanai dalla stanza da letto e fuggii in cucina. Mi ritrovai col cuore in gola e il respiro in affanno. Mi riuscì difficile giustificare quella presenza da voyeur celata dietro la finestra dell'appartamento dirimpetto al mio.
   Non doveva essere la prima volta che stava a guardarmi di nascosto. Abituata alla presenza di Silvia, che per cinque anni aveva occupato quell'appartamento, non avevo preso in considerazione l'eventualità che il nuovo inquilino stesse a osservarmi da quella finestra, magari masturbandosi. Al pensiero che avrebbe potuto toccarsi guardandomi mentre giravo nuda nell'appartamento mi ritrovai con le tette gonfie, i capezzoli turgidi, e una gran voglia di toccarmi fra le cosce.
   Superato il momento di rabbia feci ritorno nella stanza da letto svestita com'ero. Spensi la luce del lampadario e accesi quella dell'abat-jour, poi mi coricai sul letto ma non scivolai sotto le lenzuola. 
   Mi liberai delle mutandine, l'unico tessuto che avevo indosso, dopodiché, seguendo le pulsioni delle mie dita, iniziai un gioco erotico del tutto innocente, masturbandomi, certa che l'uomo nascosto dietro la finestra stesse toccandosi mentre anch'io lo facevo.
   Essere a conoscenza che un uomo dalla pelle nera stesse osservandomi, mentre mi masturbavo nell'intimità della mia camera, mi provocò delle inusitate contrazioni all'utero come non mi era mai accaduto prima di quella sera. Le dita scivolarono fra le cosce e iniziai a toccarmi il clitoride. 
   Quella sera raggiunsi più di un orgasmo e Owobu dovette accorgersene perché quando mi rialzai da letto e mi avvicinai alla finestra lui se ne stava là, con il cazzo stretto nella mano, intento a masturbarsi, guardando dritto nella mia direzione. Senza rivolgergli un cenno di saluto chiusi le imposte e lasciai che finisse di toccarsi, seppure impressionata dalle misure del cazzo in erezione e dalla cappella rosa che stringeva nella mano.
   Nelle settimane seguenti ebbi occasione d'incontrare Owobu per le scale, nel pianerottolo e per la strada, ma con lui scambiai soltanto un cenno di saluto e nient'altro, anche se ogni volta mi si riaccendeva il desiderio di toccarmi. Cosa che seguitai a fare almeno una volta alla settimana, la sera, nel mio letto, sperando che lui stesse là, dietro la finestra dirimpetto alla mia, a guardarmi. 
   Apposta lasciai gli scuri della finestra aperti anche quando, nel mio letto, ricevetti visite di maschi. Mantenendo accesa la luce di una abat-jour perché potesse vedermi mentre facevo sesso con un altro uomo eccitandomi al pensiero che stesse a guardarmi. 
   Owobu mi era entrato nel sangue e non riuscivo a fare a meno di immaginarlo a cavallo fra le mie cosce che mi scopava. Pensavo a lui e al suo cazzo anche quando facevo sesso con un altro uomo.
   Una sera che mi ero coricata sul letto, decisa a esibirmi con un dildo, acquistato in un sexy-shop, con l'intento di smuovere Owobu dal suo riserbo, sentii suonare il campanello alla porta di casa.
   Da poco le lancette dell'orologio avevano superato le 22.00. Sorpresa dal rumore dello squillo infilai l'accappatoio di spugna che sono solita utilizzare dopo avere fatto la doccia e andai a sollevare la cornetta del citofono per rispondere alla chiamata, certa che qualcuno giù in strada mi stesse cercando, invece alle mie parole non diede risposta nessuno. Allora, senza farci troppo caso, andai ad aprire la porta della mia abitazione per vedere se c'era qualcuno lì. 
   Owobu era fermo sul pianerottolo con indosso una canottiera bianca e delle brache corte di colore beige. Scorgendolo davanti a me, col suo fisico imponente, le gambe mi si afflosciarono per l'emozione. Per poco non stramazzai a terra. Prima di riuscire a riprendere fiato e domandargli cosa voleva, chiuse la porta alle sue spalle e mi sbatté la schiena contro il muro, dopodiché mi abbracciò e fece scivolare una mano sotto l'accappatoio deciso a raggiungere quanto di più prezioso custodisce il mio corpo fra le cosce.
   La vagina, che già mi doleva per la trepidazione, conseguenza della voglia di masturbarmi col dildo, iniziò a fare le capriole e andò in liquefazione. Fu sufficiente che mi sfiorasse il clitoride con l'estremità delle dita un paio di volte, per raggiungere il più rapido degli orgasmi della mia vita.
   Mi spogliò dell'accappatoio senza incontrare nessuna resistenza da parte mia. Quando mi trovai nuda davanti a lui, resosi conto della mia arrendevolezza, mi comandò di togliere le mutandine. Le abbassai sotto le ginocchia e le sfilai sotto le caviglie mentre lui, una volta liberate le brache, mi esibì il pezzo di carne, piuttosto abbondante, che si ergeva fra le cosce. 
   Glielo strinsi fra le dita, il cazzo, e cominciai a masturbarlo mentre le nostre bocche, venute a contatto, cominciarono ad abbozzare baci tutti uguali.

   Il suo corpo puzzava di buono e ne rimasi meravigliata. Prima di fare sesso con Owobu non ero mai stata a letto con un uomo dalla pelle nera, anche se ne avevo avvicinati parecchi nelle mie frequenti scorribande notturne in giro per la città. 
   L'odore della sua pelle non sapeva di rancido e nemmeno di sudore, probabilmente si era fatto la doccia prima di bussare alla mia porta. Questo fu ciò che pensai nel momento in cui le sue labbra, spesse e debordanti più del normale, mi baciarono.
   Mi scopò stando in piedi, dopo avermi spinto la schiena contro una parete del vestibolo. Allargai le cosce intorno ai suoi fianchi congiungendo le caviglie contro le sue natiche, sollevandomi da terra, aiutandomi in questo sforzo cingendogli le braccia intorno al collo.
   Seguitammo a scopare in quella posizione, fradici di sudore tutt'e due, fintanto che mi trasportò di peso in cucina. Lì mi obbligò a curvarmi con l'addome sul tavolo, dopodiché mi fece stendere le braccia sopra il capo ad afferrare il bordo del tavolo con tutt'e due le mani.
   In quel momento fui presa dal terrore che volesse scoparmi nel culo, cosa che non gli avrei permesso, invece mi divaricò cosce e natiche ed eccitatissimo mi prese da dietro, alla pecorina, sbattendomi di continuo l'addome sul tavolo mentre faceva scivolare il cazzo nella fica. 
   Le tette, gonfie e dure, sembrarono scoppiarmi da un momento all'altro mentre le punte dei capezzoli strusciavano senza un attimo di pausa il legno del tavolo. Ansimai di piacere, sempre più in affanno. In quei momenti desiderai soltanto che venisse dentro di me, ma non troppo presto, in verità.
   Incoraggiato dal mio ansimare Owobu cominciò ad affondare il cazzo con maggiore energia nella vagina, tanto che il tavolo su cui ero piegata con l'addome cominciò a slittare in avanti. Seguitammo a scopare mantenendo quella posizione, con l'umore che mi colava fra le cosce, fintanto che fu prossimo a venire.
   Le contrazioni dell'utero si fecero più insistenti, gli strinsi il cazzo tutt'attorno con le cosce per non farlo uscire dal mio corpo, ma Owobu si staccò da me per non sborrarmi nella vagina. Mi inginocchiai davanti a lui per ricevere sulla lingua le ultime gocce di sperma. E mentre il cazzo si afflosciava glielo succhiai e risciacquai per bene con la lingua. 
   Dalla sera in cui Owobu abbiamo fatto l'amore per la prima volta sono trascorsi due anni. Adesso viviamo insieme e abbiamo messo al mondo un bellissimo bimbo che ha solo pochi mesi di vita e a cui abbiamo messo nome Jan Paul. Da poco ho ripreso il mio lavoro di veterinaria. Owobu continua fare il metalmeccanico, ma è sua intenzione riprendere a studiare tant'è che si è iscritto a una scuola serale. Vuole diventare perito meccanico ed io gli do una mano facendogli da maestra per le ripetizioni d'italiano. Che dire? Sono una donna che ama perché il mio corpo è sempre in continua evoluzione, e non posso fare altrimenti perché diversamente non sarei più me stessa.

 

 

 
 

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