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TOPOLONA
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Sono
alle calcagna di una donna attempata
che, stante l'età, potrebbe essermi
madre, anzi, forse anche nonna. Mostra
d’avere una sessantina di anni,
all'incirca, ma potrei anche sbagliarmi
per difetto. La seguo passo passo a poca
distanza dall'ombra del suo corpo che fa
capolino sul selciato ricoperto dalla
neve. Una pelliccia di finto leopardo,
un po' demodé, ne impreziosisce la mole
stagionata. Infatti, è un corpo tondo
il suo, tondo e alto più della media
delle donne.
Il rumore dei miei passi si
confonde con quello prodotto dai tacchi
degli stivali che calza ai piedi. Mi ci
sono messo dietro d'istinto, senza
pensarci troppo, e non sto facendo
niente per sottrarmi alla sua vista,
tutt'altro, perché voglio che si
accorga della mia presenza alle sue
spalle.
Ci siamo incrociati
soltanto sessanta secondi fa nei locali
della biblioteca civica di Vicolo Santa
Maria, là dove sono solito trascorrere le
giornate curvo sui libri a studiare, e
adesso la inseguo sniffando la scia di
profumo che il suo corpo lascia dietro sé.
Tutto ha avuto inizio
quando l'ho notata, dinanzi al bancone
della reception della biblioteca, mentre
era in attesa che l'impiegata le
registrasse i libri che desiderava prendere a prestito. Ne aveva una pila
intera di libri, otto o forse dieci,
ingombranti a tal punto da costringerla
a tenerli accostati all'addome per non
farli cadere. Nel momento in cui li ha
depositati sul bancone, premurandosi di
consegnarli uno per volta alla
bibliotecaria per la registrazione del
prestito, mi sono accorto che erano
tutti, nessuno escluso, di narrativa
erotica e la cosa mi ha sorpreso non
poco.
L'impressione che ne ho
ricevuto, squadrandola dal capo ai
piedi, è stata di trovarmi di fronte a
una donna strana, anzi, fuori dal comune.
D'acchito ho pensato a lei come a una
insegnante, magari in pensione,
soprattutto per l'età che mostrava
d'avere. Ma di una cosa sono certo, ed
è che è una donna sola.
Ho atteso che l'impiegata
terminasse di registrare il prestito dei
libri, dopodiché l'ho seguita dappresso
quando si è affacciata sulla porta a
vetri della biblioteca per andarsene.
Fiocchi di neve mi bagnano il viso mentre le sto
dietro, andandola a presso sul marciapiede di
Via D'Azeglio, attento a scansare le
pozzanghere che mi intralciano il
cammino.
Ho un solo pensiero per la testa:
scopare la donna che mi precede.
Tiene la borsetta tracolla
e nell'altra mano stringe un sacchetto
di plastica, colmo di libri, che le
appesantiscono il braccio e le fanno
pendere la spalla da una parte.
Tutt'a un tratto arresta il
cammino. Sposta la cuffia di lana,
giallo canarino, che porta al capo,
stirandola verso la fronte, dopodiché
sistema gli occhiali dalle lenti scure
che le nascondono gli occhi e attraversa
la strada a grandi passi.
Osservo le movenze del culo,
foderato dalla pelliccia leopardata, e
d'improvviso mi ritrovo col cazzo duro
che struscia la coscia. Non faccio sesso
da più di una settimana e c'ho una gran
voglia di ficcarglielo in qualche buco,
il cazzo.
Attraverso anch'io la
strada scansando le ruote di un ciclista
che fa di tutto per venirmi addosso,
ostacolato nella guida del velocipede
dall'ombrello che stringe nella mano. Impreco
contro di lui e perdo di vista la donna
che nel frattempo si è infilata in una
caffetteria.
Metto piede nel locale
scuotendo dalle spalle la neve
accumulata sul giubbotto durante il
tragitto dalla biblioteca alla
caffetteria. Occupo un tavolo di fronte
a quello dove la donna che sto pedinando
è seduta. Ordina una cioccolata in
tazza e la imito chiedendo al gestore
del bar, un tipo brizzolato che
intravedo vicino alla macchina del caffè,
di servirmene una tazza, anche se a
quest'ora, è quasi mezzogiorno,
preferirei consumare un aperitivo.
Prima che le sia servita la
cioccolata si mette a esaminare una
copertina di un libro che ha preso a
prestito. Non smetto di fissarla
stregato dai modi eleganti della sua
persona e dalle labbra rosso estintore.
Lei deve essersi accorta delle mie
attenzioni perché tutt'a un tratto gira
il capo nella mia direzione e mi fissa a
lungo inarcando più volte le
sopracciglia. Sta per dirmi qualcosa, ma
la precedo.
- Ma lei, per caso, è la
professoressa Vignotti? - butto lì a
caso il nome determinato a imbastire un
qualsiasi discorso che mi permetta di
entrare in confidenza con lei.
- No, mi spiace. Non sono
quella persona.
- Eppure ci siamo già
visti, vero? Ne sono sicuro.
- Può darsi.
- Insegnante?
- Perché mi fa questa
domanda?
- E' una curiosità.
- Non capisco.
- Ero in biblioteca quando
ha preso a prestito dei libri e mi è
venuto spontaneo pensare a lei come a
una insegnante. Sbaglio?
- Beh, sì, è vero, ho
esercitato quella professione per molti
anni, ma adesso sono in pensione.
- In pensione? - dico
fingendo stupore.
- Che c'è di tanto strano?
- Niente, è che lei è così
giovane. Mi sembra persino impossibile
pensare a lei come a una pensionata. -
mento, e lo faccio in modo maldestro per
rendermi simpatico ai suoi occhi.
- Da circa un anno.
- Ah.
- E adesso che fa di bello?
- Leggo, vado al cinema, a
teatro...
- E il resto del tempo
libero?
- Lo occupo mantenendo in
ordine la casa, che altro?
- Suo marito che fa? E' in
pensione pure lui? - abbozzo.
- Non ho marito e nemmeno
figli, vuole sapere qualcos'altro di me?
Ma lo sa che è curioso?
- No, lei mi piace e vorrei
fare la sua conoscenza in maniera più
intima. La stupiscono queste mie parole?
- Ma costa sta dicendo? Se
ne rende conto?
Non mi lascia nemmeno il
tempo di spiegarmi e mi lancia una
occhiata di compatimento, dopodiché
lascia la tazza della cioccolata piena a
metà e si avvicina al bancone per
pagare la consumazione.
Quando esce dalla
caffetteria arresta il cammino in
corrispondenza della fermata del bus,
quello della linea tre, e rimane in
attesa che giunga il mezzo pubblico.
Devo averla sconcertata con la mia
ammissione, di sicuro non se
l'aspettava.
Salgo sull'autobus subito
dopo che ha preso posto su uno dei
sedili, poi vado sedermi accanto al
posto che occupa. Solo allora mi accorgo
che il profumo di cui odora è di
mandorle e la cosa mi eccita ancora di
più.
- Come si chiama? Non mi ha
ancora detto qual è il suo nome. - le
chiedo. - Il mio è Lorenzo.
Non risponde, probabilmente
è irritata oppure finge d'esserlo,
chissà cosa si aspetta da me. Quello
che vorrei fare è scoparmela, e sono
deciso ad andare sino in fondo a questa
storia, costi quello che costi.
Seguito a farle un sacco di
domande, ma lei non risponde a una sola
delle frasi che le riverso addosso. Sta
solo fingendo di non essere interessata
ai miei discorsi, lo so.
- Hai bisogno di soldi? -
m'interrompe dandomi del tu. - Devi
farti di roba?
- Mi piacerebbe scoparti,
invece.
Snocciolo la proposta in
modo serio, dopodiché resto in attesa
di una reazione che non tarda ad
arrivare.
- Perché non te ne vai a
fare in culo, eh! - risponde, mentre le
si gonfiano le vene del collo per la
rabbia.
Alla fermata di Piazza
Corridoni, prima che l'autobus scavalchi
il ponte sul torrente, abbandona il
sedile e si avvicina a una delle porte a
soffietto per scendere dal bus. Quando
il mezzo pubblico arresta la corsa e lei
mette piede a terra la seguo dappresso.
Entra nella bottega di un
fornaio. Aspetto che esca dalla
panetteria infischiandomene della neve
che seguita a cadere. Il profumo del
pane m'ingombra le narici appena la
porta del fornaio si riapre e lei esce
dalla bottega stringendo nella mano un
sacchetto di carta da cui sforano un
paio di baguette. Nell'altra mano
conserva il sacchetto che contiene i
libri.
- Ehi,- esclama guardandomi
sorpresa. - E' ancora qui? Non si è
stancato di seguirmi?
- No. - rispondo.
- Posso sapere cosa vuole
da me? Deve smetterla di venirmi
appresso altrimenti sarò costretta a
chiamare la polizia e farla arrestare.
Capito!
Per niente intimorito dalle
sue minacce le vado dietro senza curarmi
delle sue parole.
La strada che da Piazza
Corridoni conduce alla Chiesa delle
Grazie è desolatamente vuota. La donna
cammina con prudenza, attenta a non
scivolare sul marciapiede reso viscido
da un sottile strato di neve, impacciata
nei movimenti dall'ingombro dei
sacchetti che stringe nelle mani e le
appesantiscono il passo.
Ho una dannata voglia di
scoparmela, la vecchia. Ma potrei anche
accontentarmi di seppellirle il cazzo in
bocca e farmi fare un pompino.
Quando si ferma vicino a un
cassonetto della spazzatura mi prende la
voglia di abbatterla come un albero che
ingombra il marciapiede, sollevarle la
gonna, strapparle le mutande, e scoparla
sul marciapiede nella posizione del
missionario. Invece s'infila dentro un
grosso portone e sparisce alla mia
vista. Lascio trascorrere una decina di
minuti prima di decidermi a entrare
nell'edificio.
Risalgo i tre piani di
scale e a ogni pianerottolo fisso lo
sguardo sulle porte che danno accesso
agli appartamenti. All'ultimo piano,
trovo una porta semiaperta. Busso e
resto in attesa di una risposta che
tarda ad arrivare.
- Permesso? - dico mentre
metto piede nel corridoio
dell'appartamento.
- Avanti! La porta è
aperta. - dà risposta una voce di
donna.
Proseguo lungo il corridoio
e raggiungo un ampio salone. Lei se ne
sta seduta sul sofà. Indossa una
vestaglia da camera e mantiene le gambe
accavallate davanti al televisore
acceso. Nelle labbra stringe un
mozzicone di sigaretta incandescente e
mi cerca con gli occhi.
- Sto guardando un film. Se
vuoi tenermi compagnia. Accomodati.
Non ha più la cuffia
gialla sul capo. I capelli castani, con
le meche, sono sciolti sulle spalle.
L'aspetto è quello di una donna su
negli anni che sa mantenere una certa
cura della persona. Non mi ha intimato
d'andarmene come aveva fatto in
precedenza per la strada, ma di questo
ne avevo la certezza quando ho trovato
la porta dell'appartamento aperta.
- Perché non viene a
sederti qui accanto a me? C'è della
birra nel frigorifero.
Faccio spallucce e mi metto
per traverso fra lei e una telenovela
che sta andando in onda sullo schermo
del televisore.
- Voglio scoparti. - dico
eccitato col cazzo che mi è ridiventato
duro sotto il tessuto dei pantaloni.
- Non ho bisogno del tuo
cazzo. Ma cosa ti salta in mente. - dice
riprendendo a darmi del tu.
- E allora perché mi hai
aperto la porta.
Non risponde, mi guarda,
sorride e mi butta contro una boccata di
fumo.
- Non dici niente?
- Dai, abbassa i pantaloni
e fammi vedere che consistenza ha il tuo
serpente visto che ci tieni tanto a
scoparmi.
Sorpreso dalle sue parole
esito prima di calare le brache e
mostrarle il cazzo. Mi libero del
cappotto e lo depongo sopra una
poltrona. Slaccio la cinghia dei
pantaloni e libero uno a uno i bottoni
delle asole della pipa. Calo brache e
mutande assieme e le mostro per intero
il cazzo che pulsa.
- Carino davvero. Hai un
bel gioiello di serpente e anche una
bella cappella.
- Che può essere tua, se
vuoi.
- Alla mia età?
- Perché, no?
- Cosa vuoi che ti faccia?
Un Pompino? Oppure preferisci mettermelo
nel culo, eh?
Resto sorpreso dalla sua
domanda. Di metterglielo in bocca non se
ne parla, correrei il rischio di farmelo
stringere da una dentiera, se mai ce
l'ha, meglio metterglielo nel culo,
penso.
- Sono qui per farti
godere, non ti basta?
- Davvero vuoi farmi
godere?
- E' per questo che sono
qui.
- Allora seguimi.
Si alza dal divano e mi fa
strada verso il corridoio dinoccolando
le anche che intravedo toste sotto la
vestaglia da camera.
La stanza da letto,
arredata in stile liberty, ha le pareti
tappezzate di un rosso porporino. Un
ampio specchio circolare, della medesima
forma e dimensione del letto, è
appiccicato al soffitto. Stupito
dall'arredamento esito prima di mettere
piede nella camera.
- Che fai non entri?
- Sì, certo.
La osservo mentre si
avvicina all'armadio e apre una delle
ante. Un vasto assortimento di strumenti
per la flagellazione riempiono i ripiani
del mobile.
Gatti a nove code, stringhe
di cuoio, canne di bambù, fruste,
verghe di ogni tipo e dimensione trovano
posto nell'armadio.
Si gira verso di me e
lascia cadere la vestaglia da camera sul
parquet. Addosso ha un body in latex
nero, con buchi sui capezzoli e
l'ombelico. Le gambe sono nascoste dalle
calze a rete mantenute sollevate da una
giarrettiera. Agghindata così mi appare
persino ridicola. Ha la pelle spessa
come la buccia di un arancio, ma è una
pelle in trepidazione.
- Vuoi che ti pisci
addosso? - dice sorridendo.
Lo sapevo! Lo sapevo che
non bisogna mai fidarsi delle donne. E
adesso che ci faccio con 'sta Topolona?
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