Una
pioggerella sottile bagna la città
dalle prime ore della mattina. Stando
alle previsioni dei meteorologi la
pioggia dovrebbe convertirsi in neve
durante la notte, sennonché a me poco
importa. Ho preso servizio in Clinica
nel primo pomeriggio e a distanza di
otto ore, terminato il turno di lavoro,
sto per abbandonare la corsia. Ho le
gambe gonfie e le ginocchia mi si
flettono per la fatica. Il tempo
necessario per effettuare le consegne
alle colleghe del turno di notte
dopodiché farò ritorno a casa.
Al volante dell'Opel Corsa
viaggio sulla Via Emilia, intenzionata a
raggiungere la mia abitazione, quando
scorgo l'insegna del Rococò, una
pizzeria dove mi reco spesso a cena quando
non ho voglia di prepararmela da sola a
casa. Decido di fermarmi.
Nel locale, come al solito,
non c'è un tavolo libero. Raggiungo il
bancone del bar e occupo una sedia a
trampolo che scorgo libera. Sbottono la
pelliccia, accavallo le gambe, accendo
una Marlboro, e mi guardo attorno.
- Ciao Erika. Come va?
La voce confidenziale di
Pasquale, dietro il bancone, mi
riporta alla realtà.
- Stasera sono stanca
morta.
- Dai retta a Pasquale
quello che ti ci vuole è...
Non termina la frase, ma è
lesto a spiaccicarmi un sorriso
provocatorio.
- Non fare il cretino, non
ho voglia di scherzare.
- Come posso esserti utile?
- Preparami un panino con
prosciutto crudo e una birra scura, di
quelle a doppio malto.
- A te servirei dell'altro,
lo sai.
- Oh! Pasquà... adesso
basta, è!
- Ma dai, lo sai che
scherzo.
- Sì, lo so, ma questa non
è serata.
Pronuncio la frase
accompagnandola con un sorriso. Pasquale
si avvicina all'affettatrice e inizia a
tagliare alcune fette di prosciutto.
Qualche istante dopo mi porge un piatto
con due fette di pan carrè, farcite di
prosciutto e insalata, insieme a un
boccale di birra, dopodiché si
allontana per dare risposta alle
richieste di un altro cliente.
Ancora una volta mi ritrovo
a cenare in un posto affollato di gente,
ciononostante mi sento terribilmente
sola. Da più di un mese fingo di godere
quando faccio l'amore con un uomo
sposato che non amo più. Stiamo insieme
soltanto per abitudine, senza alcuna
prospettiva, incapaci di mettere la
parola fine al nostro rapporto. Eppure
quando l'ho conosciuto, circa un anno
fa, ero pazza di lui, disposta a fare
pazzie, persino ad andare
all'inferno se me lo avesse chiesto.
Da un po' di tempo lo
tradisco vendicandomi del suo crescente
disinteresse verso la mia persona.
Appago il piacere sessuale che mi nega
scopando con altri uomini, senza provare
alcun senso di colpa. Lui sembra non
accorgersi che lo tradisco, oppure finge
di non vederlo, accontentandosi di
scoparmi quando ne ha voglia.
Mi considero una donna
incapace d'amare. Stare insieme a un
uomo per lungo tempo mi annoia. Ho
bisogno di sentirmi libera e non
avere legami. Questa è la ragione per
cui le relazioni che intraprendo
finiscono tutte nello stesso modo.
Instaurare una relazione
sentimentale seria e onesta, magari
mettendo al mondo dei figli, è il mio
sogno proibito, ma ogni volta che il
progetto sta per decollare fuggo via.
E' più forte di me.
Polverizzo il sandwich in
pochi minuti, crucciandomi di non
riuscire a gustare nemmeno una fetta di
torta con la cioccolata di cui sono
golosa e consumo ogni volta che vengo
qua. Pasquale mi ha informato che è
andata esaurita e solo l’indomani ce
ne sarà dell'altra.
Mantengo le spalle verso le
persone sedute ai tavoli infastidita dal
chiasso e dalle risate. Prima di fare
ritorno a casa decido di raggiungere la
toilette per fare la pipì. Nel mio
avanzare verso i bagni struscio la
pelliccia sui bordi delle sedie che
ingombrano il passaggio e procedo con
difficoltà. Quando sto per giungere a
destinazione una mano mi tasta il
sedere. Colta di sorpresa non reagisco
all'oltraggio. Soltanto una volta che ho
raggiunto l'estremità della sala fisso
lo sguardo nel punto in cui sono stata
fatta segno della molestia.
In quel tratto le sedie
sono occupate da ragazze affaccendate a
chiacchierare e assaggiare tranci di
pizza. L'unico maschio nei dintorni è
un tipo moro, sulla trentina,
affaccendato a chiacchierare con una
coetanea. Mentre mi affretto a entrare
nella toilette l'uomo distoglie
l'attenzione dall'amica e guarda nella
mia direzione, allora capisco che è
stato lui il pirla che mi ha palpato il
culo.
Appena ho fatto la pipì
esco dal gabinetto e mi avvicino a uno
dei due lavabi incastonati alla parete
dell'antibagno. Apro il rubinetto
dell'acqua calda e premo il pulsante che
comanda la fuoriuscita di sapone liquido
dal serbatoio di plastica fissato al
muro. Raccolgo il fluido filamentoso nel
palmo della mano e inizio a insaponarmi.
Sollevo lo sguardo dal lavandino allo
specchio che mi sta di fronte. Ho il
viso stanco e alcune increspature agli
angoli degli occhi mi fanno apparire più
vecchia delle mie trentadue primavere.
Tutt'a un tratto avverto il rumore della
porta della toilette che si apre.
Qualcuno avanza nella mia direzione. Un
uomo, lo stesso che poc'anzi ho
intravisto seduto a uno dei tavoli,
attraversa lo spazio alle mie spalle e
ne approfitta per strusciare in modo
indecente il cazzo contro le mie
natiche.
Incrocio il suo sguardo nel
vetro della specchiera, incapace di una
qualsiasi reazione. Ha un ghigno
beffardo e lo esibisce compiaciuto.
Passa oltre e va a accomodarsi al lavabo
accanto al mio, poi inizia a sciacquarsi
le mani. Il cuore mi martella come un
compressore e sembra uscirmi dal petto.
Anche il respiro mi si è fatto
affannoso. Seguito a strofinarmi le mani
come un automa. L'unico rumore che
avverto è il getto d'acqua che scende
dai rubinetti.
L'uomo si asciuga le mani e
riattraversa lo spazio alle mie spalle
per fare ritorno nella sala. Ancora una
volta percepisco il gonfiore del cazzo
che mi rasenta le natiche. Stavolta
l'uomo non si allontana, resta col cazzo
a contatto del mio culo. I nostri volti
sono riflessi nel vetro della specchiera
affiancati l'uno all'altro. Ci
guardiamo, indifferenti, senza che
nessuno dei due pronunci una sola
parola. Lui stende le mani in avanti e
mi circonda il petto, poi mi afferra
entrambe le tette.
Il contatto delle dita mi
eccita. Ho i seni gonfi, i capezzoli
turgidi e non so ribellarmi al contatto
delle sue mani. Per nulla imbarazzato
strofina le dita sul tessuto della
camicetta e inizia a sbaciucchiarmi il
collo, da dietro, provocandomi dei
brividi che mi attraversano lo scheletro
da capo a piedi. Ho la fica bagnata e
godo di un intenso piacere. Dalle labbra
sprigiono dei suoni soffocati e continui
che servono a deliziare le orecchie del
mio sconosciuto partner. La sua azione
prende maggiore vigore e ricomincia a
spingere il cazzo contro il mio culo.
Tutt'a un tratto si allontana e va a
chiudere la porta d'ingresso col
chiavistello.
Mi sfila la pelliccia e la
lascia cadere sul pavimento. Mi solleva
la gonna stirandomela sopra i fianchi,
poi con l'altra mano mi abbassa le
mutandine. Lo lascio fare compiaciuta
dall'indossare calze autoreggenti,
anziché i collant, che dal suo punto di
osservazione devono apparirgli molto
seducenti. Mi pone una mano sul capo e
mi obbliga a flettere il busto in
avanti. Alzo il bacino e afferro i bordi
del lavabo con entrambe le mani. Opero
una presa sicura sulla superficie di
maiolica in modo da assicurarmi un buon
appoggio. L'improvvisato partner pigia
col palmo della mano il bottone che
comanda la fuoriuscita di sapone liquido
dal contenitore affisso alla parete.
Riempie le dita di liquido saponoso e lo
depone sull'orifizio del mio culo
incuneandosi con un dito all'interno. La
cosa mi coglie di sorpresa, ma non mi
ribello. Lo lascio fare.
Quando accosta la cappella
all'apertura del mio culetto spingo con
forza i muscoli dello sfintere
dilatandoli più che posso, come quando
sto per andare di corpo. Il cazzo mi
risale l'intestino. Ho un sussulto e
mi lascio sfuggire un lamento di dolore.
Dopo che l'uomo ha fatto irruzione nel
mio corpo si ritrae e mi penetra di
nuovo fermandosi con la cappella appena
oltre l'orifizio. Si ritrae di nuovo e
ripete la manovra più volte soddisfatto
del piacere che riceve dalla
penetrazione, che peraltro mi trova
piacevolmente consenziente.
Stremata, col culo che è
tutto un fuoco, inizio a gemere per il
piacere che sto provando. Le mani
dell'uomo cingono con maggiore vigore i
miei fianchi mentre sospinge il cazzo in
profondità, fino alla radice, e lo
ritrae. Lascio che sia lui a muoversi.
Il culo ha smesso di farmi male e non
vedo l'ora che sborri dentro di me.
L'uomo inizia ad ansimare.
Attira con forza il mio bacino verso di
sé accompagnando la sborrata con un
grugnito di piacere.
China, col viso sprofondato
nel lavabo, non riesco a vedere la
faccia del mio compagno di giochi.
Quando si ritrae serro i muscoli
dell'ano e
trattengo lo sperma nelle cavità del
mio corpo. Alzo il capo e mi guardo allo
specchio. Ho il viso stravolto, i
capelli scompigliati, e sono tutta
sudata. Dall'immagine riflessa nello
specchio mi accorgo che l'uomo sta
aggiustandosi la patta dei pantaloni.
Faccio risalire le mutandine e abbasso
la gonna. Raccolgo la pelliccia e
l'infilo sulle spalle.
Prima di fuggire mi
soffermo a effettuare un breve
maquillage del viso. Lui mi saluta con
un bacio sul collo e mi dice
"Arrivederci", poi si avvicina
all'uscita. Leva il chiavistello alla
porta e torna in sala. Lascio
trascorrere meno di un minuto e
abbandono la toilette.
La sala é rumorosa. Mi
faccio largo fra le sedie per
raggiungere il bancone posto in
prossimità dell'uscita del locale. Il
mio compagno di giochi se ne sta seduto
a un tavolo e cinge col braccio la
spalla di una ragazza bionda dai capelli
lunghi e lisci. Gli passo accanto
ignorandolo, lui fa lo stesso con me.
Raggiungo il bancone. Alla cassa pago il
conto e saluto Pasquale.
Fiocchi di neve si fanno
largo nel cielo e mi danno il benvenuto
quando esco dal locale. Alzo il bavero
della pelliccia e l'accosto al collo per
trovare un poco di calore. Raggiungo
l'automobile e mi ci ficco dentro. La
mia abitazione dista poche centinaia di
metri, poco dopo sono sotto le coperte e
mi addormento.
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