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EMBRIONE
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Apro
il portacipria e mi soffermo a guardare
l'immagine riflessa nello specchietto.
Quella sono io, Erika. Trentadue anni
portati non troppo bene, forse, con un
corpo che ha detto troppi sì, ma con
ancora tanta voglia di amare.
Seduta su una poltrona del
consultorio famigliare sono in attesa
che giunga il mio turno per essere
visitata dalla ginecologa. Non è la
prima volta che vengo a farle visita. Lo
faccio periodicamente, almeno una volta
all'anno per sottopormi al pap-test,
anche se ne farei volentieri a meno.
Ritrovarmi nella sala
d'aspetto dell'ambulatorio in compagnia
di gestanti mi mette a disagio, succede
ogni volta che vengo qui anche se faccio
di tutto per non darlo a vedere. Ascolto
le confidenze che si scambiano
sull'imminente parto dando l'impressione
di essere interessata ai loro discorsi.
Invece quello che vorrei è allontanarmi
al più presto dall'ambulatorio per non
ascoltare le loro voci.
Rimanere incinta la
considero una complicanza di una scopata
maldestra e nulla più. Per nessuna
ragione al mondo vorrei rimanere
gravida.
Anni addietro, quando avevo
poco più di vent'anni, sono rimasta
gravida. Anche se a tutt'oggi non so
capacitarmi come sia potuto accadere.
A quell'età prendevo la
pillola anticoncezionale con regolarità
certosina, senza patire nessuno degli
effetti collaterali descritti nel foglio
illustrativo del farmaco, a eccezione di
un senso di tensione mammaria. Assumevo
la pillola, preferendola all'uso della
spirale, in accordo con la ginecologa di
cui ho sempre avuto la massima fiducia.
Quando iniziai ad assumere
la pillola anticoncezionale lo feci con
un po' di apprensione, chiedendomi se
una volta cessata l'assunzione del
farmaco sarei tornata fertile.
Su questa eventualità la ginecologa si
era mostrata cristallina rassicurandomi
in tal senso.
Il metodo contraccettivo
consigliatomi, apparentemente semplice
nell'uso, pareva essere sicuro ed
efficace a patto di non incorrere in
alcuna dimenticanza nell'assunzione
della pillola. Cosa che invece accadde,
perché non saprei spiegare altrimenti
l’indesiderata gravidanza. E poi,
nemmeno sapevo chi fosse il padre del
nascituro.
In quel periodo, pur avendo
come compagno Roberto, conducevo una storia con Gianfranco, un
medico specializzando che faceva
tirocinio nella clinica dove all’epoca
prestavo servizio come infermiera.
Mi ritrovai a fare più di
una congettura sulla paternità
dell'embrione che portavo in grembo,
senza arrivare ad avere la certezza su
chi dei miei due compagni di letto fosse
il responsabile dell'inseminazione.
Il ritardo del ciclo
mestruale di una decina di giorni fu il
segnale rivelatore del mio stato. Un
semplice test di gravidanza, consistente
nell'immergere uno stick nell'urina,
diede risultato positivo.
Mi ritrovai incinta senza un
partner su cui fare affidamento.
Smarrita, senza sapere cosa fare, non
confidai a nessuno qual era mio stato,
nemmeno ai miei genitori. Lo confessai
soltanto alla ginecologa per trovare
insieme a lei una soluzione.
Mi prospettò due
possibilità: praticare l'interruzione
di gravidanza, oppure portarla a
termine. Nessuna delle due soluzioni mi
soddisfaceva appieno.
Pareva impossibile che una
semplice scopata fosse portatrice di così
tanti problemi. Stavo bene in compagnia
di Roberto, ma non lo reputavo l'uomo
con cui avrei desiderato condividere
tutta la vita. Perlomeno non quello con
cui sposarmi e mettere al mondo dei
figli. Gianfranco invece lo consideravo
un tipo divertente con cui intrattenermi
a gustare una pizza, bravo a scopare, e
capace di ballare, ma non mi era mai
passata per la testa l'idea d'imbastire
qualcosa di serio con lui.
Nelle prime settimane di
gestazione ero stordita e confusa. Le
tette aumentarono di volume in modo
significativo. In alcuni momenti della
giornata fui anche colta da nausea.
L'ostetrica del consultorio mi informò
sull'iter istituzionale che avrei dovuto
percorrere nel caso avessi deciso di
fare ricorso a una interruzione di
gravidanza volontaria, ma non presi
nessuna decisione in tale senso.
La natura mi venne in
soccorso sottraendomi dall'impaccio di
prendere una decisione che non avrei mai
voluto assumere. Fra la settima e
l'ottava settimana di gravidanza
sostenni un aborto. Si trattò di un
aborto spontaneo con una emorragia di
non grossa entità accompagnata da un
forte dolore al basso ventre.
Mi ritrovai sola, sul
water, a espellere del materiale ovulare
che in altre occasioni avrei scambiato
per mestruo, seppure caratterizzato da
un flusso di sangue molto diverso dal
solito.
Piansi, compiangendomi, ma
di quella esperienza non rivelai niente
a nessuno, tanto meno ai due uomini con
cui avevo scopato. L'ecografia di
controllo a cui mi sottoposi il giorno
seguente l'aborto spontaneo non evidenziò
nessuna immagine riferibile ai residui
abortivi nell'utero.
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