U na
volta terminati
gli studi liceali aspiravo a diventare
una donna in carriera, invece mi sono
trovata a essere una donna in corriera.
E non è accaduto per caso,
probabilmente era destino che capitasse.
Concluso il liceo ho impegnato
cinque anni della mia vita china sui
libri, giorno e notte, determinata a
conseguire la laurea in biologia. Ma
tanto impegno a cosa è servito? A
niente, oserei dire, perché il pezzo di
carta che attesta il dottorato di laurea
che ho conseguito con tanta abnegazione
lo ho chiuso nel cassetto di un comò,
confuso con la carta pergamena del
diploma di maturità e alcune pagelle
scolastiche della scuola elementare.
Da un anno a questa parte
sono alla guida degli autobus di linea
della mia città. Che hanno a che fare
gli autobus con la laurea che ho
conseguito in biologia? Un bel niente!
Ma condurre pullman adibiti al
trasporto di persone è un mestiere che
io e la mia famiglia abbiamo nel
sangue. Per quarant'anni mio padre ha
svolto il mestiere di conducente di autobus al pari
di mio zio Francesco. Probabilmente era
destino che seguissi le loro orme,
specie dopo che mio padre se n'è andato
in pensione.
La Patente D mi abilita
alla conduzione di autoveicoli per il
trasporto di persone con più di nove
posti. Non è stato difficile
conseguirla, contrariamente a quanto
sostenevano le mie amiche che hanno
fatto di tutto per dissuadermi da questo proposito, invece, testarda,
sono riuscita a ottenerla al primo
tentativo senza troppo sforzo.
La scelta di imbarcarmi in
questa professione non ha incontrato il
favore di mio padre. Ancora oggi non
perde occasione per rinfacciarmi questa
decisione. Lui non vedeva l'ora che
esercitassi la professione per cui mi
sono laureata, preferendomi con indosso
un camice bianco anziché la divisa da
autista, oppure, in subordine, che
facessi l'insegnante. Invece ho
preferito intraprendere questo mestiere
e sono contenta della scelta che ho fatto.
Se devo essere sincera,
anziché alla guida di un autobus avrei
preferito ritrovarmi al volante di
un autotreno e andare in giro per le
strade d'Europa facendo visita a città
e paesi. Scelta che mi avrebbe costretta
a rimanere lontana per molto tempo dai
miei affetti. Motivo che mi ha spinto a
desistere dal farlo anche se mettermi
alla guida di certi bisonti della strada
rimane tutt'ora il mio sogno.
E' trascorso un anno da
quando ho iniziato il lavoro di
conducente di autobus. Ormai ci ho fatto
il callo a guidare bus di linea. Ho
imparato a districarmi nel traffico cittadino con sufficiente
abilità, anche grazie al servosterzo di
cui sono dotati questi moderni automezzi
che rende la guida facile a chiunque,
anche a una donna gracile come sono io.
Guidare l'autobus per le
strade affollate della città, trovarmi
a contatto con la gente, mi fa sentire
viva. Non sopporterei di condurre una
vita confinata fra le mura di un
laboratorio di analisi o peggio ancora
in una qualsiasi aula scolastica a
insegnare a gruppi di insolenti liceali.
E poi non sono il tipo a cui piace
lavorare in equipe. Sono abbastanza
introversa e preferisco l'indipendenza
all'asservimento. Ho bisogno di sentirmi
libera anche nel lavoro. Stare alla
guida di un autobus mi dà la possibilità
di esserlo. Ma questa professione, oltre
agli aspetti positivi, riserva anche
delle cattive sorprese come quella in
cui sono incappata una sera di un paio di settimane
fa.
*
* *
Le ombre della sera avevano fatto
capolino sulla città. Ero seduta al
posto di guida dell'autobus al capolinea
della linea 11, col motore spento,
quando dalla porta posteriore ho visto
salire un passeggero. Nello specchio
retrovisore, posto davanti a me, appena
sopra la testa, ho controllato il suo
incedere. Non ha provveduto a obliterare
il biglietto e la cosa non mi ha sorpresa, infatti, sono rari gli utenti
che alla sera viaggiano con il biglietto
in tasca. Oppure se lo hanno approfittano del
fatto che a quell'ora non sono in
servizio i controllori per non
obliterarlo.
Il passeggero ha occupato
un sedile a metà corridoio e ha
mantenuto lo sguardo fisso nella mia direzione.
Mancava una decina di minuti alle 10.00
quando, dopo avere avviato il motore, ho
innescato la marcia per portare a
termine l'ultima corsa della serata.
Essere sola con uno o più
uomini sul pullman mentre guido, specie
quando è notte, non mi dà particolare
apprensione, distratta come sono nel
districarmi nel traffico cittadino,
attenta a rispettare la tabella di
marcia e arrestare il mezzo pubblico per
tempo in corrispondenza delle pensiline.
Ma il passeggero che in quella occasione
si trovava alle mie spalle un po' strano
lo era per davvero.
Avevo ben chiaro che fosse
un uomo, nonostante indossasse abiti
femminili, perché da un po' di sere
saliva sull'autobus alla fermata del
capolinea per scendere a una di quelle
situate in Via Nazionale. E' lì che a
ogni ora del giorno e della notte si
prostituiscono viados e transessuali.
Ero certa che fosse uno di loro e la
cosa mi incuriosiva parecchio. Come
nelle sere precedenti anche in quella
occasione non gli avevo staccato gli
occhi di dosso. Avevo osservato i suoi
movimenti guardando di tanto in tanto la
sua immagine riflessa nello specchio
retrovisore incuriosita da ogni suo
gesto.
Mi sarebbe piaciuto
chiedergli dei ragguagli in merito alla
sua professione. Più di tutto ero
curiosa di apprendere quali fossero le
richieste di sesso che riceveva dai
clienti. Ancora oggi mi riesce difficile
immaginare che un uomo prediliga fare
l'amore con un altro uomo, seppure
travestito da donna, anziché con una
femmina.
Era vestito e truccato da
donna come se stesse per recarsi a una
festa mascherata, eppure mi sarebbe
piaciuto scoparlo per vedere che effetto avrebbe fatto su di me.
I capelli a forma di
caschetto erano del tutto simili
all'acconciatura della Valentina
disegnata da Crepax. Era una parrucca,
ci avrei scommesso lo stipendio. Come
pezzo d'uomo non dava l'impressione di
essere brutto, anzi, ma come donna lo
trovavo ridicolo. Mi sarebbe piaciuto
vederglielo il cazzo, prenderglielo in
mano, per costatare che effetto gli
avrei fatto.
A questo stavo pensando
mentre percorrevo le strade della città
senza che nessun altro passeggero, alla
fermata delle pensiline, mi facesse
cenno di salire sul mezzo pubblico.
Tutt'a un tratto, in prossimità
dell'Arco di Costantino, ha abbandonato
il seggiolino dove era rimasto seduto
fino a quel momento e si è avvicinato
al posto di guida. Ho finto di non dare
peso alla sua presenza alle mie spalle
fintanto che si è rivolto a me.
- Le sembro così strana da
meritare la sua attenzione?
- Perché dice questo? - ho
detto senza fare troppo caso al timbro
della sua voce che di femminile non
aveva alcunché.
- Ho notato che da un po'
di sere mi guarda con un certo
interesse, non è forse vero?
- Beh, di sicuro lei non è
il tipo di passeggero che passa
inosservato.
- Dice?
- Sì.
- Ci scommetto che le
piacerebbe scopare con me, vero?
Sorpresa dalla domanda ho
esitato un po’ prima di rispondergli.
Anzi, sono rimasta zitta, impegnata
com'ero nella
guida dell'automezzo senza girare il
capo nella sua direzione, anche se avevo
bene chiara l'immagine del suo volto
riflesso nello specchio retrovisore,
illuminato dai fari delle autovetture
che ci venivano incontro.
- Sa cosa le dico? Che
dovrebbe cambiare atteggiamento verso la
mia persona. Magari potrebbe farmi
guadagnare un po' di denaro. Non le va
di farmi un pompino?
Per poco non sono andata a
finire sul marciapiede con le ruote del
pullman. Ripresami dallo stupore ho
faticato a trovare le parole giuste con
cui fare fronte alla sua provocazione.
- Ma ti prostituisci solo
con gli uomini? - ho detto dandogli del
tu.
- Vado con chi mi paga, ma
soprattutto con chi mi desidera.
- E io secondo te vorrei
scoparti?
- Ti ho osservata bene. -
ha detto dandomi anche lui del tu. - Si
vede lontano un miglio che ti piacerebbe
succhiarmelo il cazzo. Non è forse così?
Disorientata dal suo
atteggiamento insolente mi è venuto
l'impulso di arrestare il pullman e
cacciarlo giù. Avrei dovuto farlo,
qualsiasi persona normale al mio posto
lo avrebbe fatto, invece ho giudicato la
situazione in cui mi ero venuta a
trovare particolarmente eccitante e sono
rimasta zitta a ascoltarlo.
- Se mi paghi 50 euro me lo
faccio succhiare da te! Col preservativo
s'intende, eh. Ma potrei fare una
eccezione e mettertelo in bocca senza
alcuna protezione se ti gusta di più.
- Non so cosa ti è preso
stasera, di sicuro hai sbagliato
persona. Il cazzo te lo puoi ficcare
dritto nel culo se ci riesci. Se poi
insisti è la volta che chiamo il 113 e
faccio arrivare una pantera della
polizia. - dissi indicandogli il
telefono cellulare appoggiato sul
cruscotto davanti al volante.
Senza accorgermene,
stimolata dalle sue parole, non mi ero
accorta di avere accelerato l'andatura
del pullman, cosicché mi sono ritrovata
in leggero anticipo sulla tabella di
marcia e ho moderato la velocità. Preso
atto del rallentamento del mezzo
pubblico, il passeggero ne ha
approfittato per spostarsi dalla
posizione che occupava alle mie spalle e
si è messo al mio fianco con la schiena
rivolta contro il parabrezza.
- Lo vuoi vedere?
- Cosa? - ho detto turbata
dalla insolente domanda che mi ha posto.
- Non fare la difficile,
sai bene a cosa alludo. Ti eccita la
cosa, eh?
- Senti finiamola con 'sta
storia. Mi hai rotto le palle! - ho
urlato conscia di avere le cosce
impiastricciate dell'umore che usciva
copioso dalla fica per l'eccitazione che
mi portavo addosso.
- Le palle, carina, le ho
belle grosse, purtroppo. Non ci credi?
Vuoi vedere anche quelle?
- Smettila di dire
stronzate o ti caccio giù dal pullman.
Occupata nella guida del
mezzo pubblico nel dare la precedenza a
una fila di macchine che viaggiavano
alla mia sinistra, nel frattempo mentre
mi immettevo alla rotonda di Piazza S.
Croce, non ho fatto caso che aveva
provveduto a schiudere il soprabito.
Quando ho imboccato Via della
Liberazione, abbandonando la rotonda, mi
sono resa conto che ostentava il corpo
nudo.
Non indossava il reggiseno,
invece mostrava un paio di tette
perfette, seppure posticce, da fare
invidia a qualsiasi donna, e uno slip rosa.
- Come sto? Ti piaccio di
più così? Mi dai 50 euro e me lo
faccio succhiare. Dai, arresta il
pullman e lo facciamo qua, subito. Se
invece vuoi soltanto prenderlo in mano e
farmi una sega mentre guidi mi
accontento di 30 euro. Ti sta bene?
Quell'uomo mezzo femmina e
mezzo maschio mi intrigava da morire. Ero
confusa, ma anche irritata, e con gli
ormoni sottosopra. Se avesse insistito
ancora un po' avrei finito per arrestare
il pullman e gli avrei fatto una sega.
Il pompino quello no. Ma quando si è
arrischiato ad abbassare lo slip,
mostrandomi la sua mercanzia, ho messo
da parte l'idea di arrestare il pullman
delusa dal cazzo che ha messo in mostra.
- Beh, che roba è quello lì?
- ho detto mettendomi a ridere.
Colto di sorpresa dalla mia
risata ha sollevato il tessuto dello
slip, ha chiuso il cappotto, ed è
tornato a sedersi sopra il seggiolino
che aveva occupava in precedenza. Alla
fermata di Via Nazionale ha premuto il
pulsante per segnalare l'intenzione di
scendere dall'autobus. Quando la porta a
soffietto si è aperta si è rivolto di
nuovo a me.
- Ci vediamo stanotte nei
tuoi sogni. - ha detto sprezzante.
Ho comandato la chiusura
della porta alle sue spalle, dopodiché
ho proseguito la corsa verso il
capolinea prima di fare ritorno al
deposito degli autobus a conclusione del
turno di lavoro.
*
* *
Prima di quella sera non avevo mai visto
un cazzo tatuato. Quando ho scorto il
nome "Luciana", effigiato sul
cazzo, non ho potuto fare a meno di
mettermi a ridere considerando che il
nome era identico al mio. Chissà che
dolore avrà patito mentre glielo
tatuavano. E poi come avrà fatto a
mantenerlo duro mentre il tatuatore
compiva il lavoro? Questo per me resterà
per sempre un mistero.
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