M ano
nella mano camminavamo sull'acciottolato
di pietre e sassi che conduce al
laghetto del Parco Ducale. Annodato
sulle spalle reggevi un pullover di
cachemire, a coste, di colore rosa. Le
maniche ti ciondolavano nel solco dei
seni e io mi perdevo a guardarti stupita
dalla tua straordinaria bellezza.
Le ombre della sera
facevano capolino dietro la fontana del
Trianon, isolata nel mezzo della
peschiera, illuminata a giorno da
potenti fari. L'acqua usciva a fiotti
dalla sommità dell'imponente fontana,
di grande pregio artistico, riversandosi
da un invaso all'altro, eseguendo
piccoli salti, disperdendosi nelle
limpide acque del laghetto.
Guardandoci d'intorno ci
siamo accorte che non eravamo sole,
altre vite, altre storie,
s'intrecciavano alla nostra. Sotto un
lampione, poco lontano dalle acque del
laghetto, una coppia di giovani
innamorati erano impegnati a scambiarsi carezze e baci appassionati. Siamo
rimaste a guardarli a lungo senza
pronunciare una sola parola.
Tutte due insegnanti
esercitavamo la professione nello stesso
liceo eppure c'eravamo sempre ignorate,
perlomeno fino al giorno
in cui mi è capitato d'incontrarti, per
caso, al chiosco delle bibite del Parco
Ducale.
Me ne stavo seduta a un
tavolo, all'ombra dei secolari castagni,
intenta a leggere le pagine di un libro,
quando sei arrivata tu.
- Posso sedermi? – hai
detto.
Senza rendermene conto,
contrariamente alle mie abitudini, ho
cominciato a raccontarti della mia vita
e tu di concerto della tua. Sapevo che
eri sposata e non avevi figli, tuttavia
non ti ho chiesto nulla a proposito
della vita privata. Tu invece ti sei
mostrata abbastanza indiscreta quando mi hai
chiesto la ragione del mio essere
single. Imbarazzata ho tardato a
risponderti, perché avevo intuito qual era
l'inconfessato fine della tua domanda,
ma non volevo tediarti con false
affermazioni.
- Ti piace leggere?
- Sì, molto, ma libri non
ne compro più. Li prendo a prestito
alla Biblioteca Civica, quella di Vicolo
Santa Maria. Hai presente? Ce n'è a disposizione
un'ampia scelta e per tutti i gusti.
- Io preferisco acquistarli
per averli a
disposizione in qualunque momento, se
mi va di rileggerli.
- La vera ricchezza sta
nella sapienza e nella conoscenza delle
cose che acquisiamo quando leggiamo. Non
serve a niente conservare delle pagine di carta
che restano ad ammuffire negli scaffali,
raramente mi è capitato di rileggere un
romanzo.
- Che genere di libri
leggi?
- Narrativa, più che
altro.
- Perché?
- Mi piace chiudere gli
occhi e proiettarmi con la mente altrove
inseguendo le gesta dei
protagonisti dei racconti che leggo.
- Qual è il libro che stai
leggendo?
- Uhm... un romanzo di
Isabella Santacroce: Fluo.
- Di cosa parla?
- E' la storia di
un'adolescente, alle soglie del suo
diciottesimo compleanno, e di un'estate
trascorsa a Riccione in giro per luoghi
abitati da un mondo che rifugge la
normalità degli adulti.
- Bello?
- Sì.
- E tu da cosa fuggi?
Camminando per la strada
sterrata che costeggia la peschiera mi
sentivo tranquilla accanto a te come mai
mi è accaduto stando in compagnia con
un'altra donna. Dopo avere osservato con
curiosità la
coppia di ragazzi che si scambiavano
baci appassionati ci siamo
soffermate a guardare un gruppo di
anatroccoli che in fila indiana
transitavano a poca distanza dalla riva.
Mentre seguivi i loro movimenti sono
rimasta a fissarti incantata dai tuoi
lineamenti. La gonna elasticizzata, la
camicetta bianca, un bordo di rossetto
sulle labbra, i capelli biondi a
scendere sulle spalle e il maglione
tracolla, erano tutti elementi che
servivano a fare di te una donna
irreale.
- Ti piacciono le anatre? -
hai chiesto.
- Che?
- Ti ho chiesto se ti
piacciono le anatre.
- Beh, diciamo che riesco
ancora a stupirmi nel vedere quegli
anatroccoli disposti in fila indiana
andare dietro alla genitrice.
- Ami una vita libera?
- Non proprio.
- E allora cosa?
Davanti a noi una donna
spingeva un bimbo, torvo, in sella a un
velocipede a tre ruote, che non voleva
saperne di pedalare. Poco più in là un
anziano governava un collie barbuto
dall'aspetto massiccio e dal mantello
fulvo-rossiccio, all'apparenza molto
festoso.
- Deciso allora? Andiamo al
ristorante?
- Non so, pensavo avessi
deciso tu.
- Sì, certo.
- Non chiami tuo marito per
avvertirlo che rimani fuori a cena?
Mi hai passato un braccio
sulle spalle e hai sorriso. Ho avuto un
fremito di piacere e mi sono sforzata di
non dartelo a vedere. Ho girato lo
sguardo nella tua direzione e ho incrociato i
tuoi occhi, ma sapevo già dove volevi
arrivare.
- Beh, non rispondi?
- Ci sono sere in cui non
mi sento per nulla moglie e non ho casa.
- E' per questo che stasera
sei qui con me?
- Magari ho solo bisogno di
un giaciglio su cui riposare.
- E tuo marito?
Il bookcafè dove ci siamo
dirette era
poco distate dalla peschiera. Sei
entrata per prima nel locale
precedendomi di pochi passi. Il maglione
di cachemire ti fluttuava sulle spalle
mentre camminavi dinoccolando le anche.
Sono rimasta affascinata dal tuo fondo
schiena a forma di mandolino e mi sono
persa a guardarti le natiche. Ti ho
seguita da presso e ho preso posto a un
tavolo che avevi scelto un po' in
disparte. Un cameriere si è avvicinato
al tavolo. Ha acceso il lume mangiafumo
e ci ha consegnato la lista dei menù.
- Non avvisi tuo marito
quando rimani fuori a cena?
- Sì, ma stasera non mi
va.
- Non ti chiede mai con chi
sei stata?
- Sì, ma preferisco
raccontargli delle storie.
- Sai mentire a chi ami?
- A volte sì.
- Perché?
- Penso che sia giusto
rendersi liberi dagli affetti e dalle
cose e sconfinare in realtà nuove. Non
credi?
- Non per me.
Conosco bene quel tipo di
giustificazioni ma non mi sentivo di
condividerle. Anch'io sono stata legata
a una persona che usava mentire. Lo
faceva nello stesso modo che tu hai
raccontato menzogne a chi mi ha
preceduta nel tuo cuore e a tuo marito.
Ma in quel frangente, con te davanti,
non m'importava granché. Ero sedotta
dal tuo modo di fare e desideravo
azzannare il tuo corpo più di ogni
altra cosa.
Il cameriere fece ritorno
poco dopo con del paté di fegato d'oca
e dei crostini di pane tostato. Lo
abbiamo consumato come fossero degli stuzzichini prima
della cena unitamente a del verdicchio,
la cui bottiglia il cameriere si era
premurato di collocare in un contenitore
termico, con ghiaccio, sul tavolo
davanti a noi.
Sono rimasta a osservarti
con grande interesse mentre con la punta
del coltello spandevi la pasta di carne
sulle tartine. Hai allungato le dita
fino alle labbra e hai inghiottito un
crostino e subito dopo un altro ancora.
In quell'istante ho pensato che quelle
stesse dita avrebbero potuto sfiorare il
mio corpo e mi sono trovata ancora più
eccitata di quanto la ero stata prima di
mettere piede dentro il locale.
Ho ordinato dell'insalata
nizzarda con dell'aragosta e tu del
salmone. Per un po' di tempo abbiamo
parlato di scuola, di giovani e della
società che cambia, esauriti questi
argomenti fra noi è calato il silenzio.
- A cosa pensi? - ti ho
chiesto.
- Penso che ho voglia di
fare l'amore con te.
Ponte Verdi era illuminato
dalle luci dei lampioni. Abbiamo
camminato in direzione del parcheggio
della Pilotta. Mi hai preso sottobraccio
e ti sei stretta a me incurante della
gente che poteva scorgerci.
- Vieni a letto con me? -
hai detto.
- Ora?
- Sì.
Mi sono azzittita per la
sorpresa della proposta. Tu, invece,
indifferente ai passanti che
transitavano numerosi sul marciapiedi,
mi hai spinta contro il muretto di
protezione del ponte, dopodiché hai
guidato la mano sotto la cintura dei
miei jeans. Hai sfiorato i peli del
pube, poi ti sei chinata su di me e mi
hai baciata. Le tue labbra erano soffici
e delicate, ho ceduto alle tue lusinghe
e ho contraccambiato il bacio.
- Penso che non sia una
buona idea.
- Perché?
- Tu non sei libera, hai un
marito.
- Non farti scrupolo,
meglio non avere rimpianti.
- Ma io non sono come te.
- Significa che non vuoi
invitarmi a casa tua?
Ero irritata per la tua
franchezza, ma la ero ancora di più con
me stessa perché non mi sentivo
indignata per il modo in cui avevi
esplicitato l'indecente proposta, ma
sarei rimasta maggiormente delusa se tu
non me l'avessi fatta. Ti sei messa a
ridere, vedendomi imbarazzata e hai
ripetuto l'invito.
- Andiamo a casa tua?
- Sì. - ho risposto,
stavolta decisa.
Le lenzuola del letto della
mia abitazione hanno accolto i nostri
corpi. Appena varcata la soglia di casa
mi hai sollevato la maglietta che avevo
indosso e hai accostato le dita sui
capezzoli, dopodiché la tua lingua ha
cominciato a leccarmi le tette. Ho
ficcato le dita sotto la tua gonna e ho
scoperto che non indossavi le mutandine.
Mi hai fatto coricare sul letto e ti sei
sdraiata sulla mia schiena avvolgendomi
il costato con le braccia, bloccandomi
le tette con le mani. Siamo rimaste
abbracciate a lungo, toccandoci. La
pesantezza dei tuoi seni sulla mia pelle
mi ha messo addosso una straordinaria
eccitazione. Mi sono girata sul dorso,
ho schiuso le cosce e mi sono lasciata
scopare.
Abbiamo seguitato a fare
l'amore per tutta la sera. A mezzanotte
mi hai lasciata sola nel mio letto.
Niente avevi promesso e niente ti sei
portata via, ciò che mi hai lasciato è
solo un po' di nostalgia.
|