DAY HOSPITAL
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

         Ogni mattina percorro in sella alla bicicletta oppure a piedi la pista ciclabile che dalla mia abitazione mi permette di raggiungere facilmente l’ospedale dove lavoro. Un consistente numero di tigli, dalle foglie cuoriformi, ombreggia il percorso allietandolo con una profumatissima fioritura nei mesi estivi. Camminare all'aria aperta, dopo avere trascorso la giornata confinato fra le mura dell'ospedale, mi è utile per scaricare le tensioni che accumulo nell'esercizio della mia professione di medico.
   L’ambulatorio in cui opero è progettato per prendersi a carico in modo globale i bisogni dei pazienti. Ma da un po’ di tempo mi sono imposto di limitare i rapporti umani con le persone affidate alle mie cure all'essenziale, prendendo in considerazione lo stato di ogni paziente unicamente per la patologia di cui è affetto, senza lasciarmi coinvolgere da rapporti d'amicizia che di frequente si instaurano fra medico e paziente. In passato mi è accaduto troppo spesso di mescolare la mia vita privata con quella dei pazienti affidati alle mie cure ed è stato un disastro.
   Una scelta difficile da attuare perché, agli occhi dei pazienti che mi gravitano d'intorno, questa scelta mi fa apparire, ai loro occhi, più introverso di quanto sono di natura. Mi sono imposto questa condotta perché non voglio affezionarmi a nessuno di loro. Troppe persone ho visto spegnersi tra le mie braccia. Molti pazienti terminali li ho persino aiutati a morire inoculando farmaci che ne hanno abbreviato le sofferenze, ma anche la vita, senza dovermi pentire del mio operato.

* * *

  La storia che ho vissuto con Vanessa si è rivelata una avventura travolgente. Una passione che mi ha lasciato stordito quando è giunta alla fine.
   Ci siamo conosciuti nell’ambulatorio dove il medico di famiglia l’aveva indirizzata dopo che le era stato diagnosticato un tumore al seno. Prima dell'intervento chirurgico era stata sottoposta a un ciclo di radioterapia. Il trattamento a detta del radiologo era servito a eliminare la neoplasia, ma anche a deturpare parte dei tessuti circostanti.
   Vanessa aveva scoperto il nodulo anomalo, casualmente, sotto la doccia, mentre era intenta ad aspergersi di sapone le mammelle.
   Ritrovarsi con un carcinoma al seno all'età di trent'anni non è facile da accettare per chiunque, specie per una donna come Vanessa abituata ad avere tutto dalla vita con estrema facilità. Farsene una ragione era il pensiero che l'affliggeva, ma non riusciva a trovare adeguate risposte ai tanti perché che le assillavano la mente. Una volta effettuato l’intervento chirurgico si era sottoposta alle sedute di chemioterapia manifestando grande coraggio.
   Aveva imparato a lottare contro il cancro scherzando, prendendosene gioco, scambiando con me battute divertenti sulle cellule tumorali che le avevano offeso la mammella, accettando la terapia antiblastica con dignità.
   Fra noi si era creato da subito un rapporto di fiducia e di profonda amicizia. La chemioterapia non aveva avuto effetti devastanti sul suo corpo, a parte la completa perdita di capelli. Vanessa anche con la parrucca aveva mantenuto intatta la sua naturale bellezza.
   - Quando mi saranno ricresciuti i capelli, ti inviterò a cena se accetterai. Non mi dire di no, eh!
   Aveva pronunciato l'invito mentre le infilavo l'ago del butterfly nella vena di un braccio per inocularle un farmaco.
   In quella occasione non ho fatto troppo caso alle sue parole e ho annuito, soprappensiero, senza curarmi delle conseguenze del mio assenso. Sennonché quattro mesi più tardi Vanessa mi ha telefonato in clinica per rammentarmi l'invito a cena. Tre giorni dopo ero a letto con lei.

   Nel periodo in cui una donna si sottopone a chemioterapia è normale che perda interesse per l’attività sessuale. Non dipende soltanto dall’inoculazione del farmaco antitumorale e dagli effetti collaterali del trattamento come nausea, vomito e stanchezza, ma la perdita o la diminuzione del desiderio sessuale sono anche effetti secondari dell’ansia e della della depressione che compare nei pazienti dovuta alla preoccupazione della diagnosi. Ogni paziente reagisce in modo diverso quando viene messo di fronte alla malattia. Vanessa, superato il periodo della chemioterapia, in cui aveva concentrato tutto il suo interesse e le sue risorse al superamento della patologia, aveva relegato in secondo piano la dirompente sessualità, poi aveva reagito in maniera disperata cercando nel sesso un senso alla vita.
    Vanessa emanava una straordinaria voglia di vivere. Pareva fosse nata per fare l’amore. Aveva un gran bel buco del culo e la vagina dannatamente stretta. Raggiungeva con facilità l'orgasmo, bastava poco per farla godere e mandarla in trance. Quando scopavamo gli spasmi e le contrazioni dell'utero esercitavano sul mio cazzo una forte presa facendomi godere come non era mai accaduto con nessuna altra donna.
   Sulla tetta operata era rimasta una piccola cicatrice, mentre più evidente appariva la scottatura sulla pelle provocatale dalle sedute di radioterapia che le avevano lasciato un alone abbrunito.
   Vanessa si vergognava per quella anomalia, mostrandosi imbarazzata quanto le accarezzavo le tette. La infastidiva che la toccassi lì, e io non volevo contrariarla, ma col tempo si era abituata a ricevere baci e carezze.
   C'incontravamo nel mio appartamento due o tre volte alla settimana. Il sabato notte restava nel mio letto fino al mattino seguente. Ancora sto a chiedermi come potesse assentarsi da casa essendo sposata. Per molto tempo non mi ha mai chiesto se ero impegnato sentimentalmente con un'altra donna. Quando me lo ha chiesto le ho risposto di no. Io invece sapevo tutto di lei.
  Dopo le notti trascorse insonni a fare l'amore al mattino era di nuovo in calore. Era insaziabile e vogliosa di ricominciare da capo, consapevole di non avere molto tempo da vivere. Bruciava tutto ciò che le capitava a tiro e io ero posseduto dalla sua voglia di esistere.
   - Torna a letto Lorenzo. - diceva, dopo che mi preparavo a uscire di casa per recarmi al lavoro in ospedale.
   - Non posso, mi aspettano in clinica.
   - Voglio che rimani ancora un po' accanto a me. - ripeteva.
   - Solo cinque minuti.
   Ogni volta le davo retta e facevo ritorno sotto le lenzuola per restare ancora un po’ accanto a lei. Vanessa ne approfittava per saltarmi addosso urlando di piacere nel momento in cui raggiungevamo l'orgasmo.
   Vanessa era una gran bella scopata. Aveva un tumore che la divorava, ma era una gran bella scopata.

* * *

   Il mio appartamento occupa il settimo piano di un moderno condominio vicino al Palasport. La finestra della stanza da letto si affaccia nella direzione delle colline. Stando coricati sul letto avevamo l'impressione di toccarle con un dito. Trovarsi lì, all'alba di un nuovo giorno, con accanto Vanessa era come essere su di una nuvola, in paradiso, in attesa del ruzzolone finale che ci avrebbe fatto cadere rovinosamente a terra entrambi.
   Una mattina che stavo a letto ho sentito suonare alla porta. Mi sono svegliato di soprassalto. Ero tutto sudato. Mariella, la donna che stava accanto a me, avvolgeva le braccia sul mio petto. L'avevo rimorchiata la sera precedente in un pub e avevamo terminato la serata nel mio appartamento. Avevo rimediato del sesso facile dopo che avevamo bevuto una grande quantità d'alcol ed era mia intenzione sbarazzarmi di Mariella al risveglio, come facevo di solito con le donne che portavo nel mio letto.
   Ho allontanato le braccia che mi circondavano il torace e ho messo i piedi per terra. In mutande sono andato alla porta e l’ho aperta.
   Vanessa stava di fronte a me con un cabaret di paste sollevato all'altezza del petto. Erano le sette di mattina e non mi aspettavo di trovarmela lì. E’ sgusciata dentro la porta e non sono riuscito a fermarla. Ha attraversato il lungo corridoio che conduceva alla stanza da letto e si è infilata dentro.
   Non c’era stato verso di fermarla quando è scappata via. Si è infilata nell'ascensore senza ascoltare le mie parole. L’ho inseguita giù per le scale scendendo di corsa i sette piani. Sono giunto a terra mentre usciva dal cancello che si affaccia sulla strada.
   - Ehi, dove vai? – ho urlato sulla porta d'ingresso dell'edificio.
   Vanessa non si è voltata, ha raggiunto l'autovettura parcheggiata sull'altro lato della strada ed è fuggita via. Mi sono ritrovato sul marciapiedi con le sole mutande addosso a guardare la Smart che scompariva in fondo al viale. Alcuni passanti che avevano assistito alla scena mi hanno guardato con aria di compatimento. Ho riattraversato la strada e sono risalito dentro casa. 

* * *

   Conosco ogni buca della pista ciclabile che separa la clinica dalla mia abitazione. Gli alberi che mi fanno ombra d'estate sono tutti identici, resistenti allo smog e alle intemperie. Da poco sono uscito dalla clinica. Cammino sulla pista ciclabile e ho un pensiero fisso per la testa: Vanessa. Lei però non c'è più.

 

 
 

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