Tamara
de Lempicka non è soltanto celebre per
avere dipinto tele assunte a
simbolo di un'epoca, quella fra gli anni
Venti e Trenta, di cui l'artista ne è
stata la più eccellente interprete
femminile, ma lo è soprattutto per gli
atteggiamenti da femmina emancipata,
indipendente e trasgressiva. Infatti,
era determinata e con una grande
voglia di affermazione, tanto che col
trascorrere del tempo è assunta a
simbolo di icona da imitare per molte
donne, me compresa.
Un
pomeriggio, poco prima delle feste di Natale,
mentre camminavo sul marciapiede
prospiciente l'elegante bottega di
Franco Maria Ricci, situata in Strada Garibaldi,
rimasi affascinata dalla copertina di un
volume che illustrava l'opera di Tamara
de Lempicka esposto come preziosa
reliquia in una delle vetrine.
Qualche
giorno più tardi, intrattenendomi in
videochat con Cristina, autrice
di romanzi erotici con cui ero in amicizia, appresi che
avevamo il medesimo interesse per la
pittura di Tamara de Lempicka.
In
più di una occasione c'eravamo
dichiarate disponibili a incontrarci, e
se non lo avevamo ancora fatto era perché tutt’e due avevamo
paura di non piacerci a sufficienza,
anche se avevamo entrambe una gran voglia di
azzuffarci. Venuta a conoscenza che a
Milano, nelle sale espositive di Palazzo
Reale, era in corso una mostra dedicata
alla famosa artista, le proposi di
recarci a visitarla insieme. Sarebbe stata
l'occasione giusta per conoscerci di
persona.
Cristina
accettò l'invito con entusiasmo. Di
comune accordo stabilimmo di visitare la
mostra il giovedì successivo, giorno in
cui non avrei avuto difficoltà a
prendere una giornata di vacanza dal lavoro in ospedale e lei non era
impegnata con delle lezioni
all'università. Fissammo l'appuntamento
alla stazione centrale di Milano al
terminale di un binario, il numero 17, là
dove sarei arrivata col treno.
Il treno interregionale su cui presi
posto lasciò la stazione di Parma alle
9.10. Poco dopo le 11. 00, con un quarto
d'ora di ritardo rispetto all'orario
previsto dalle FF.SS, misi piede alla
stazione centrale di Milano.
Cristina,
proveniente da Torino, era ad attendermi
al terminale del binario 17 dove avevamo
fissato l'appuntamento. Quando mi trovai
a poche decine di metri dal luogo
dell'appuntamento la riconobbi in
lontananza.
Aveva
tutta l'aria di una figura famigliare,
ma lì per lì non mi riuscì di capirne
la ragione. Ero certa che fosse lei la
donna che stazionava al terminale del binario 17
perché era così che me l'ero
immaginata.
Un
paio di stivali neri di pelle lucida le
coprivano le gambe fino alle ginocchia.
Indossava un Woolrich Boulder,
sbottonato sul davanti, con cappuccio
piegato sulle spalle. La gonna corta di
jeans metteva in bella evidenza la
rotondità delle cosce fasciate da calze
velate e molto sexy. Un maglione scuro a
girocollo nascondeva solo in parte le
forme dei seni sufficientemente
prominenti. I capelli erano scuri come
la pece, tagliati a caschetto, e le
labbra rosse come i fiori di papavero.
Le
sorrisi e lei fece lo stesso mentre ci
venivamo incontro. Gettammo le braccia
intorno al collo dell'altra e scambiammo
un doppio bacio sulle guance.
-
Cazzo! Mi fa piacere conoscerti di
persona. - dissi. - Lo sai che ti
immaginavo così?
-
Anch'io.
Uscendo
dalla stazione ferroviaria
c'incamminammo verso la stazione
sotterranea della metropolitana con
addosso gli occhi degli uomini che,
incrociandoci, giravano il capo per
guardarci il didietro.
Alle
11.30 eravamo in Piazza del Duomo. La
giornata era soleggiata, con la
temperatura dell'aria sopra i dieci
gradi. Durante il viaggio dalla stazione
ferroviaria alla piazza non smettemmo un
solo istante di parlare, accavallando
parole e frasi su quelle pronunciate
dall'altra, desiderose di conoscerci più
a fondo. Ma non era solo una forma di
cameratismo la nostra, era qualcosa di
più, nonostante a separarci ci fossero
dieci anni di età.
Dall'istante
in cui avevo incrociato il suo sguardo,
al terminale del binario 17, tutto mi
era piaciuto della sua persona. In
particolare ero rimasta incantata dalla
forma della bocca, piccola e dalle
labbra sporgenti da sembrare persino
finte.
Alla
biglietteria della mostra non c'era
ressa, c'erano in fila soltanto quattro o cinque persone. Mi
avvicinai alla cassa e chiesi
d'acquistare un paio di biglietti.
-
Vuole visitare la mostra di Boccioni o
quella di Tamara de Lempicka? - disse
l'addetto alla biglietteria.
-
Eh?
-
Le ho chiesto quale delle due mostre
vuole visitare.
-
Quella della Lempicka.
-
Sono diciotto euro.
Allungai
una banconota da venti euro e rimasi in
attesa di ricevere le monete di resto.
Dopo che mi restituì i due euro di resto
andai verso Cristina, rimasta ad
aspettarmi nell'androne del Palazzo
Reale, e le allungai uno dei ticket.
-
In contemporanea c'è anche una mostra
di Boccioni. - dissi. - Ti può
interessare?
-
Beh, prima visitiamo quella della
Lempicka, poi stiamo a vedere...
-
Tempo fa mi è capitato di scorgere
alcune opere di Boccioni alla collezione
Guggenheim di Venezia e ne sono rimasta
affascinata. Le tele dei futuristi mi
seducono come poche altre. "Rissa
in galleria", uno dei quadri più
famosi realizzata dal Boccioni lo trovi
all'ingresso del museo di Brera. Ci sei
mai stata?
-
No, ma tieni i dieci euro del biglietto
d'ingresso.
-
Non li voglio, casomai pagherai il
biglietto della mostra di Boccioni se
decidiamo d'andarci.
-
Okay, va bene.
Ci
addentrammo in un lungo corridoio e ci
ritrovammo dinanzi al guardaroba.
Eravamo affaccendate nel chiacchierare
quando uno degli addetti c'invitò a
lasciare le borsette in deposito.
Nessuna
delle due prese in affitto l'audioguida
messa a disposizione dei visitatori all'ingresso della
mostra. Accostare gli auricolari di una
cuffia alle orecchie, dopo che centinaia
di persone ne sono venute a contatto,
non è per niente igienico così ci
rinunciai.
Quando
espressi questa ostilità verso le
cuffie, motivandone le ragioni, Cristina
si trovò d'accordo nel condividere la
mia scelta. Nei giorni precedenti
la visita a Milano mi ero procurata
dalla Biblioteca Civica un testo dove
era illustrata la biografia della
Lempicka, e avevo letto il contenuto del
libro durante le notti insonni trascorse
al lavoro in ospedale, cosicché
una certa cognizione sulla vita e le
opere dell'artista me l'ero fatta.
Mettendo
piede nelle stanze dove erano esposte le
prime tele dell'artista restammo confuse
dalla luce soffusa. Alcuni faretti,
collocati sulle volte del soffitto,
proiettavano fasci di luce sulle tele
facendone risaltare la bellezza
cromatica dei colori. Di ogni opera, a
lato della cornice, c'era una targhetta appiccicata al
muro che
indicava il
titolo della tela, la data di
compimento, il formato, se a olio o
matita, la collezione o il museo di
provenienza.
Nella
seconda stanza incappammo in un gruppo
di liceali in visita scolastica. Ci
soffermammo a lungo a guardare le tele,
leggere i testi a commento delle singole
opere stampati su alcuni pannelli
affissi alle pareti, mettendo un certo
distacco fra noi e il gruppo maldestri liceali.
Ero
consapevole che Cristina era bisessuale.
Infatti, aveva un moroso con cui faceva coppia
fissa da un paio di anni, ma non
disdegnava flirtare con le donne. La
facilità con cui in videochat mi aveva
espresso una certa simpatia per l'amore
saffico era uno degli attributi che
avevano contribuito a renderla attraente
ai miei occhi.
Mentre
ci muovevamo da una sala all’altra
della mostra alternavo gli sguardi alle
tele a quelli sul suo viso. Mi sentivo
attratta dalla sua figura di donna. Mi
piaceva il suo giovane corpo, il modo in cui
si muoveva, la bellezza del viso, tutto
della sua persona traboccava di fascino
e sensualità.
-
Per avere successo nella vita occorre
desiderarlo con tutte le forze. Tamara
de Lempicka non pensava che a questo. -
disse Cristina quando si trovò al
cospetto di una foto che ritraeva
l'artista impegnata a dipingere una tela.
Il
ritratto a cui stava lavorando era
quello di un uomo: il suo primo marito.
-
Una donna ambigua. Libera,
indubbiamente. Un mito. Ma troppo
ambiziosa per i mie gusti, preferisco
avere per amica un altro tipo di donna.
- dissi.
-
In questo pannello c'è scritto che
spesso dipingeva di notte, anche sino
all'alba, quando era di ritorno dai
bagordi delle serate parigine. - disse
Cristina indicandomi un pannello affisso
alla parete della stanza.
-
Sì, lo so.
-
I suoi occhi sono pieni di vitalità,
non credi?
-
Anche i tuoi. - dissi.
-
Ma dai, non fare la scema.
-
Sto dicendo sul serio. - replicai
guardandola fissa negli occhi.
Cristina
si allontanò e mi precedette nella
stanza successiva da poco abbandonata
dalla scolaresca che ci aveva precedute
all'ingresso della mostra.
-
Quello che colpisce nei suoi dipinti è
la corposità dei soggetti raffigurati.
- disse Cristina.
-
Sì, è vero. Ho avuto la medesima
impressione anch'io.
-
Era dotata di uno stile particolare, tutto suo.
Colori chiari, luminosi, e poi sapeva
imprimere una certa eleganza nei
soggetti ritratti.
-
Ma soprattutto nelle tele c'è molto eros, non
trovi? - dissi guardandola ancora una
volta dritta negli occhi.
-
C'è il gelo e il fuoco in molte tele. -
rispose senza abbassare lo sguardo.
-
Sì.
Ci
ritrovammo dinanzi a una vetrinetta dove
erano esposte alcune lettere scritte di
suo pugno a D'Annunzio. Avevo letto nel
libercolo che mi ero procurata in
biblioteca che Tamara aveva cercato di
coinvolgere il nanerottolo in una storia
d'amore risoltasi in un nulla di fatto e
la cosa non mi sorprese. Tutt'a un
tratto la mia attenzione fu rapita da
una tela in particolare. Era un dipinto
a olio che ritraeva una donna nuda,
coricata di schiena, semicoperta da un
drappo rosso, con l'espressione del viso
propria di chi sta godendo.
"La
bella Rafaela" riportava la scritta
a fianco della tela, nel piccolo pannello affisso alla parete.
-
E' bellissimo. - dissi.
-
Lo penso anch'io. - confermò Cristina.
-
E' l'effigie dell'erotismo.
-
Dici?
-
Sì, e tu le assomigli molto.
-
Qui c'è scritto che la donna ritratta
nella tela era una puttana. Ma anche la
modella preferita dalla Lempicka.
-
E allora? Ti meravigli?
-
No.
Proseguimmo
nella visita della mostra passando da
una stanza all'altra affascinate dalle
creature dalle gambe lunghissime, con il
giro di vita stretto e sottile, ritratte
nude dall'artista, ma anche vestite con
abiti alla moda, ingioiellate, borghesi,
simboleggianti un'epoca di lusso e
agiatezza per i ricchi e di estrema
povertà per tutti gli altri.
Erano
passate da poco le 13.00 quando ci
ritrovammo al bookshops dove erano
esposti, libri, riviste, e manifesti e
cartoline. Andammo a sederci su di una
panca e restammo a guardare i visitatori
che si accalcavano intorno alla cassa
per acquistare il catalogo della mostra.
-
T'interessa il catalogo? - disse
Cristina.
-
No, e a te?
-
Nemmeno.
-
Vuoi visitare la mostra di Boccioni sul
futurismo oppure usciamo fuori?
-
Usciamo.
Poco
dopo eravamo in Piazza del Duomo
circondate da uno sciame di piccioni.
-
Andiamo verso Piazza Castello? - dissi.
-
Va bene.
-
Ci sei mai stata?
-
No.
Ero uscita dalla visita alla mostra
particolarmente eccitata, ma non glielo
dissi anche se doveva apparirle
piuttosto evidente perché non cessavo
di guardarla intensamente negli occhi
mentre camminavamo. Quando imboccammo
Via Dante scorgemmo dall'altra parte
della strada le vetrine di un Mc Donald's
-
Non hai fame? - chiese Cristina.
-
Un po', e tu?
-
Metterei volentieri sotto i denti
qualcosa.
-
Andiamo al Mc Donald's, dai, ci facciamo
un Big Mac con patatine e un bicchiere
di Coca-Cola.
-
Va bene.
In
prossimità di un semaforo attraversammo
la strada e ci trovammo dinanzi alle
vetrine del Mc Donald's. A quell’ora
il locale era popolato da una
moltitudine di persone.
-
Cosa facciamo? Entriamo? - dissi.
-
Beh, ormai che siamo qui.
Stavo
per mettermi in fila davanti a una delle
casse quando Cristina mi avvertì della
necessità di andare in bagno.
-
Vengo anch'io. - dissi seguendola
dappresso.
Non
avevo granché voglia di fare la pipì,
ma la passera mi doleva per la
trepidazione. Andare in bagno insieme a
Cristina era una delle poche occasioni
che avrei avuto per stare in intimità
con lei lontano da occhi indiscreti.
Baciando Cristina nell'esiguo spazio dei
servizi pubblici del Mc Donalds' mi
sentii sollevare da terra tanto fu forte
il piacere che provai in quell'istante.
Di baciarla ne avevo voglia dal momento
in cui l'avevo adocchiata alla stazione
ferroviaria. Per tutto il tempo della
vista alla mostra della Lempicka mi ero
portata appresso il desiderio di
ficcarle la lingua nella bocca. Invece
fu lei a circuirmi appena mettemmo piede
nella toilette. Mi trascinò dentro uno
dei gabinetti e mi spinse contro una parete,
poi chiuse la porta dietro di sé.
Rimasi
inerme, in attesa dei suoi baci, vittima
predestinata dei suoi occhi d'acciaio
simili in tutto e per tutto a quelli
della Lempicka.
La
sua bocca era vischiosa come la pelle di
una lumaca. I suoi baci avevano il
sapore di resina e miele. Mi sentii
esposta ai suoi bisogni e desiderosa di
essere riempita dalla sua saliva e dalle
attenzioni della lingua sul mio collo.
Lasciai che mi toccasse le tette e la
imitai inserendo le mani sotto il bordo
del maglione che portava addosso. Mi
ritrovai con le gambe in liquefazione e
la vagina che faceva le capriole.
Cristina
era senza reggiseno e non poteva essere
altrimenti. Accarezzai con i
polpastrelli le areole dei capezzoli e
la sentii gemere di piacere. Ebbe un
sussulto e il suo corpo fu scosso da
tremore. Scalpitavamo entrambe per la
voglia di scopare e per l'eccitazione
accumulata durante tutto il tempo
trascorso insieme.
Cristina
era umida, calda e morbida. Continuammo
a carezzarci sfiorandoci le labbra,
senza mai penetrarci con la lingua,
accrescendo il desiderio di sesso che
albergava in entrambe. Quando la sua
lingua s'intrufolò fra le mia labbra
ebbi un sussulto. Avevo la figa bagnata
fradicia e sentivo colare i fluidi lungo
le cosce sebbene indossassi un paio di
jeans. Cristina incominciò a scoparmi
fra i denti muovendo la lingua fuori e
dentro le mie labbra. Il cuore mi
pulsava a dismisura, ero in affanno e
non vedevo l'ora che mi posasse le dita
sulla figa.
Tutt'a
un tratto si liberò del
Woolrich che aveva addosso. La imitai e
mi tolsi la giacca in finto linciotto
che mi premurai di appendere insieme al
suo Boulder nero su una gruccia fissata
nel muro. Senza perdere altro tempo mi
ficcò qualche centimetro di lingua
nella bocca che mi premurai di
risucchiare nella gola. Quando scostammo
le labbra stringemmo forte i nostri
corpi una all'altra e stavolta le
cacciai per prima la lingua fra i denti.
Mentre
la scopavo nella bocca Cristina si fece
largo con le dita attraverso la cinghia
dei miei jeans e giunse a toccarmi la
figa. Allora mi consumai di piacere.
Cominciò a sfiorarmi il bocciolo del
clitoride e a sfregarlo. Sciolsi i
pantaloni e lasciai che si
afflosciassero fra le mie gambe fino a
raggiungere il pavimento.
Cristina
mi abbassò il tanga e s'inginocchiò ai
miei piedi. Inabissò le guance fra le
mie cosce e cominciò a spennellare la
lingua fra le labbra della vagina leccandomela con delicatezza.
Godevo
e mi prese una gran voglia di urlarle
addosso tutto il mio piacere. Ero
stordita, mantenevo le mani calcate sul
suo capo mentre dalla bocca mi uscivano dei gemiti. Quando
introdusse due dita nella vagina si rimise
di nuovo ritta in piedi e cominciò a
scoparmi. Le carpii le tette, ficcai di
nuovo la lingua in bocca, poi mi
abbandonai ai toccamenti delle sue dita.
Mentre la figa mi si contraeva raggiunsi
l'orgasmo. Chiusi gli occhi e mi
abbandonai alle grazie della mia
compagna.
Alle 17.10 l'intercity su cui prese
posto Cristina lasciò la Stazione
Centrale di Milano diretto a Torino.
Mentre saliva sulla carrozza del treno
mi salutò con il sorriso sulle labbra.
E' questo il ricordo che serbo di lei.
Poco più tardi salii
sull'interregionale per Parma che lasciò
la stazione in perfetto orario alle
17.25.
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