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CICCHE
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Gilberto arrestò la station-wagon dinanzi al cancello che immetteva
nell'area cortilizia del condominio.
Premette più volte il pulsante del
telecomando, ma il dispositivo a raggi
infrarossi che comandava l'apertura del
cancello sembrava non volerne saperne di
funzionare. Indispettito dal mancato
funzionamento dell'apriporta scese dalla
Volvo, inserì la chiave nell'apposita
serratura, e il cancello si aprì
all'istante.
Di ritorno in
città con qualche giorno d'anticipo
rispetto a quanto programmato in
precedenza, era certo di fare cosa
gradita alla moglie presentandosi al suo
cospetto di prima mattina. Finalmente
avrebbero trascorso il fine settimana
insieme come raramente succedeva,
impegnato com'era sei giorni su sette in
giro per l'Italia per questioni di
lavoro.
Lasciando
Milano e i padiglioni della Fiera non si
era premurato d'avvertirla
dell'anticipato ritorno com'era sua abitudine. Era certo che l'avrebbe
trovata addormentata a letto, infatti, le
piaceva trattenersi sotto le lenzuola
nelle mattine in cui non era impegnata a
scuola nel fare lezione agli studenti.
Sul sedile accanto al posto di guida aveva sistemato un
cabaret colmo di pasticcini e bignè. Li
avrebbero gustati insieme
accompagnandoli con una tazza di tè che
lui stesso si sarebbe premurato di
preparare in cucina. A metà mattina
sarebbero andati a fare shopping nei
negozi del centro, com'erano soliti fare
quando erano liberi da impegni di
lavoro.
Chiuse dietro
di sé la porta basculante del garage
senza occuparsi di recuperare la valigia
da viaggio avendo le mani già impegnate
con la borsa del computer e il cabaret
di paste. La valigia l'avrebbe tolta dal
bagagliaio della station-wagon nel corso
della giornata.
Quando
raggiunse l'androne del condominio pigiò
il pulsante di chiamata dell'ascensore e
rimase in attesa che giungesse la cabina
mobile, attento a mantenere orizzontale,
nel palmo della mano, il cabaret delle
paste.
Con Marta era
sposato da quindici anni. Non avevano
figli anche se tutt'e due li avevano
desiderati, ma col trascorrere degli
anni si erano rassegnati a non averne.
Forse era questa la principale ragione
che li aveva spinti a dedicarsi a tempo
pieno alla carriera e al lavoro.
Dopo molti anni
di precariato Marta aveva ottenuto un
incarico da insegnate in città. Lui
invece aveva fatto il pendolare da Parma
a Milano fintanto che era diventato
direttore per la zona dell'Emilia
Romagna dell'azienda farmaceutica di cui
era alle dipendenze.
Quando raggiunse la porta della sua abitazione, all'ultimo
piano del condominio, tolse dalla tasca
il mazzo delle chiavi. Una volta
individuata la chiave giusta, la infilò
nella serratura.
L'appartamento
era pieno di luce. Il sole faceva
irruzione dalla portafinestra del
terrazzo, lasciata incautamente
spalancata, e illuminava il soggiorno.
L'ambiente era
nel più totale disordine. I due divani,
solitamente disposti uno di fronte
all'altro, erano fuori posto. Un
accappatoio da bagno, di spugna bianca,
che riconobbe essere il suo, era riverso
sopra un bracciolo di un divano. Il
grande tappeto persiano che occupava il
pavimento del salotto era sghembo e
arricciato da un lato. Due coppe di
vetro e una bottiglia di champagne,
semivuota, trovavano posto sul ripiano
in cristallo del tavolino che separava i
due divani.
Quello che i
suoi occhi stavano vedendo aveva
dell'incredibile. Non gli era mai passato
per la mente che Marta potesse tradirlo.
Persino dinanzi alle evidenti tracce di
una presenza estranea nella casa stentò
a credere d'essere stato ingannato.
Magari l'amante di Marta era ancora
presente nella stanza da letto, oppure
si erano allontanati tutt'e due, pensò.
Ma chi poteva
essere costui? Sicuramente un collega di
lavoro di Marta, ma chi? Eppure nessuno
fra gli insegnanti del liceo che era
solita frequentare pareva il tipo
adeguato a lei. Di questo ne era certo.
Ciononostante
doveva essere per forza uno di loro, dal
momento che Marta non coltivava amicizie
al di fuori delle frequentazioni
scolastiche.
Istintivamente
si precipitò verso la stanza da letto e
la spalancò. Era vuota. Il letto
disfatto. Nell'aria si coglieva ancora
l'odore dei loro corpi. Probabilmente
avevano fatto sesso ed erano andati via
da poco, appena prima che lui facesse
ritorno a casa. Solo casualmente non li
aveva intercettati.
Rimase sullo
stipite della porta a osservare la
scena. Sul ripiano del comodino, dalla
parte del letto che lui era solito occupare,
il portacenere era pieno di mozziconi di
sigarette.
Fra un coito e
l'altro l'uomo si era abbandonato a
fumare più di una sigaretta. E le
cicche non potevano essere che
dell'ospite dal momento che Marta non
fumava.
Si avvicinò al
comodino, a lato del letto, prese fra le
dita uno dei mozziconi di sigaretta e lo
esaminò. Un impercettibile sorriso gli
uscì dalle labbra.
Tornò
in salotto, prelevò il cabaret delle
paste che aveva appoggiato sul tavolo, e
uscì da casa. Lasciò tutto in
disordine come aveva trovato, anche le
cicche lordate di rossetto che aveva
trovato nel portacenere sistemato sul
comodino.
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