CERCASI DONATORE
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

  
 
     L
a professione d'infermiera richiede in chi la pratica molta umanità. La esercitavo da una decina di anni e negli ultimi mesi avevo raggiunto il limite della sopportazione fisica e mentale. Stressata, prossima a un esaurimento nervoso, avvertivo il bisogno di dedicarmi a fare dell'altro, anziché rimanere a contatto ogni giorno con malati terminali, magari prestando servizio come infermiera in un ambulatorio, altrimenti mi sarei licenziata.
   Non sopportavo più di accudire persone ammalate di cancro o piccoli pazienti sofferenti perché affetti da malformazioni congenite. La sera, tornando a casa, faticavo a prendere sonno. A volte mi svegliavo di soprassalto, bagnata fradicia di sudore, con il respiro in affanno, e mi mettevo a piangere senza una apparente ragione.
   Il medico di famiglia a cui mi ero rivolta era stato bravo a recepire lo stato di sofferenza in cui ero precipitata e mi aveva prescritto dieci giorni di assoluto riposo. Consumai il congedo per malattia confinata fra le mura di casa guardando film alla tivù e leggendo libri. Un pomeriggio, mentre ero coricata sul letto, impegnata a leggere un romanzo, il telefono si mise a squillare.
   - Pronto!
   - Ciao, Erika, come stai? Sono Franca.
   Sconfiggendo la paura che mi rendeva ansiosa diedi risposta alla sua domanda.
   - Scusami, ma sono così depressa che ho avuto persino difficoltà a riconoscere la tua voce.
   - Ho un'importante notizia per te. - m'interruppe. - L'ho avuta da un amico sindacalista. T'interesserà sapere che fra poche settimane, in Clinica Ginecologica, sarà inaugurato un ambulatorio per la Riproduzione Assistita. Perché non provi a informarti? Senza altro avranno bisogno d’infermiere. Può interessarti?
   - Cazzo! Certo che m'interessa. - risposi mettendomi seduta sul letto.
   - Dimmi piuttosto in cosa consiste questo ambulatorio per la Riproduzione Assistita? 
   - Tutto quello che so è che apriranno l’ambulatorio nell'edificio della Clinica Ginecologica, altro non so dirti.
   - Ti ringrazio per avermi informata, sei una amica.
   Continuammo a chiacchierare per alcuni minuti, poi la salutai e ripresi a leggere le pagine del romanzo là dove l'avevo interrotto.
   Il giorno seguente, di prima mattina, mi recai negli uffici del Servizio Personale dell'Azienda Ospedaliera per chiedere informazioni a proposito del Centro per la Riproduzione Assistita.
   Il termine di presentazione delle domande di mobilità per il trasferimento nell'ambulatorio scadeva a mezzogiorno. Mi procurai un fac-simile della domanda, la compilai, e allegai le autocertificazioni indicate nel bando. Dopo una quindicina di giorni la selezione fu resa pubblica. Mi ritrovai in cima alla graduatoria, classificata al secondo posto. I posti da occupare erano tre.

   L'ingresso del Centro per la Riproduzione Assistita era disgiunto dagli altri servizi della Clinica Ginecologica. Nell'ampia sala d'attesa trovava posto un bancone destinato all'accoglienza del pubblico. Due ambulatori provvisti ciascuno di un bagno, riccamente attrezzato, completavano gli ambienti della struttura.
   Dopo la pubblicazione della graduatoria fui chiamata a prendere servizio nell'ambulatorio, solo allora venni informata del ruolo che avrei dovuto assumere nel Centro per la Riproduzione Assistita.
   Il compito cui ero stata destinata consisteva nel raccogliere il materiale donato dai pazienti: nel caso specifico sperma!
   La selezione dei possibili donatori era effettuata in maniera accurata dai medici del Centro. Ogni soggetto, prima di essere inserito nel gruppo dei papabili donatori, era sottoposto a una serie di indagini cliniche e umorali indispensabili per verificarne l'idoneità. I donatori, di norma, erano reclutati fra gli studenti universitari cui l'Amministrazione Ospedaliera rimborsava una cifra simbolica di 100 euro a donazione.
   Il bagno dove le persone effettuavano la donazione era provvisto di ogni comfort. Oltre a una poltrona in pelle trovava posto una tivù a colori, collegata a un lettore DVD, e una intera collezione di film porno di cui i donatori potevano avvalersi, insieme ad altri accessori, durante l'esercizio fisico della donazione. Prima di accedere al bagno a ciascuno dei donatori veniva consegnato un barattolo di plastica sterile dove collocare lo sperma.
   All'inizio di questa nuova esperienza lavorativa mi trovai a disagio nello spiegare ai ragazzi le norme igieniche cui dovevano attenersi prima e dopo il massaggio, ma col trascorrere dei giorni mi riuscì facile farlo, tanto che incominciai a divertirmi nel mettere in imbarazzo i donatori con le mie spiegazioni.
   Mi piaceva sbeffeggiare i ragazzi quando la quantità del liquido donato superava la norma. Nella paratia che separava il bagno da uno degli ambulatori trovava posto uno specchio unidirezionale. Questo permetteva a noi operatori del centro, medici e paramedici, di osservare i donatori mentre si masturbavano.
   Prima che i donatori si chiudessero nel bagno io e le mie colleghe gli impartivamo le indicazioni necessarie. In particolare ci soffermavamo sulle modalità cui dovevano attenersi per garantire una ottima qualità del materiale donato. Innanzitutto gli spiegavamo che il pene doveva essere perfettamente pulito al momento della donazione. A ognuno consegnavamo una bustina di sapone liquido detergente, monouso, di cui avrebbero dovuto servirsi per lavare il pene prima d'iniziare a masturbarsi.
   Questa norma di igiene potrebbe sembrare scontata, ma non tutti i donatori si attenevano a questa disposizione. Uno dei nostri compiti consisteva nel controllare che i ragazzi rispettassero con scrupolo la norma. Chi non si atteneva alle direttive veniva escluso dalla lista dei donatori e in seguito non più chiamato.
   Quando presi servizio nella struttura trascorsi parecchio tempo, nascosta dietro allo specchio unidirezionale, a osservare i ragazzi mentre si menavano il pene, successivamente mi limitai a verificare che non trasgredissero le più elementari norme igieniche. Soltanto in casi particolari m'intrattenevo a osservare il loro lavoro.
   Le tecniche di masturbazione che i ragazzi mettevano in atto erano molto similari. C'era chi lo faceva stando seduto sulla poltroncina, chi in piedi con la schiena appoggiata al muro e chi inginocchiato. C'era chi aveva bisogno d'ispirazione e si preparava all’atto sfogliando le pagine di una rivista pornografica, oppure chi si aiutava con le immagini di un film porno proiettato sullo schermo della tivù, ma c'era anche chi estraeva dal portafoglio la foto di una donna o di un uomo e guardando l'immagine si masturbava.
   Mi piaceva stare a osservare i movimenti della loro mano mentre si toccavano. In quell'ambulatorio mi capitò di visionare cazzi di ogni forma e lunghezza, ma non scorderò mai quello di Marco.
   Il giorno che si presentò allo sportello dell'accettazione era emozionato, anzi pareva si vergognasse per quello che stava accingendosi a fare.
   - Ho saputo dell'esistenza di questo Centro da un compagno d'università. Posso iscrivermi anch'io come donatore?
   - Si accomodi nella sala d'attesa. - gli risposi cercando di metterlo a proprio agio. - Fra non molto arriverà un medico che la visiterà, dopodiché saprà se è idoneo o meno alla donazione.
   Marco si mise seduto su una poltrona e rimase in attesa. Poco dopo il medico lo fece accomodare nell'ambulatorio per un primo colloquio.
   Mi colpì la sua riservatezza, cosa abbastanza rara nei ragazzi che si presentavano al Centro. Dopo qualche giorno fece ritorno in ambulatorio per sottoporsi a dei prelievi di sangue e consegnare un campione di sperma. Superò il test d'idoneità e il lunedì successivo si presentò di nuovo al Centro di buon ora.
   Gli consegnai il barattolo di plastica trasparente dove depositare lo sperma. Com'era mia abitudine, nel caso di nuovi donatori, lo informai sulle norme d'igiene cui avrebbe dovuto attenersi, poi lo accompagnai nel bagno e gli mostrai gli accessori di cui la stanza era dotata. Uscendo dalla stanza andai a nascondermi dietro il vetro unidirezionale e rimasi a osservarlo mentre si masturbava.
   Marco aveva vent'anni, dieci meno dei miei. Lo appresi leggendo la cartella clinica. L'espressione del viso, seria e allo stesso tempo triste, gli conferiva un aspetto d'adulto. Tipo alto e robusto portava i capelli corti lievemente sfumati sulle tempie. Gli occhi scuri erano solcati da ciglia nere e lucenti. La bocca, ben modellata, gli conferiva un aspetto malizioso. Un lieve cenno di barba ispida gli copriva la parte inferiore del viso.
   Nel bagno si guardò a lungo attorno, forse per prendere confidenza con l'ambiente, dopodiché lasciò cadere jeans e slip ai suoi piedi. Il cazzo non aveva niente di straordinario, era identico a quello di tanti altri ragazzi della sua età. Ne rimasi delusa. M'ero messa in testa che fosse dotato di un cazzo straordinario, invece no.
   Dopo essersi lavato incominciò a masturbarsi senza metterci troppa passione. Venne quasi subito eiaculando nel barattolo. Dopo avere assistito alla scena mi precipitai al bancone della reception per ricevere lo sperma.
   Marco uscì dal bagno poco dopo e mi consegnò il barattolo.
   - Se avete bisogno d'altro materiale posso tornare anche domani, mi farebbe piacere. - disse con tono implorante.
   Durante il periodo estivo erano pochi gli studenti universitari reperibili in città ed era difficile per noi infermiere contattarli, così gli fissai un appuntamento per il giorno successivo, nonostante fosse buona regola dell'ambulatorio lasciare trascorrere almeno tre giorni fra una donazione e l'altra.
   Marco rinnovò la medesima richiesta nei giorni seguenti. Per un mese intero si presentò ogni giorno all'ambulatorio. Tutte le volte, con mio grande stupore, la quantità di sperma che eiaculava superava il minimo consentito. Dopo le prime volte non mi recai più a osservarlo mentre si masturbava.
   Si toccava senza trasporto e fantasia, come se stesse espletando un lavoro e nulla più. Poi arrivò il giorno in cui Marco uscì dal bagno con in mano il barattolo vuoto. Si scusò e non lo rividi per molto tempo.
   Ai primi di settembre si fece vivo in ambulatorio Francesco, uno dei ragazzi che come Marco svolgeva l'attività di donatore.
   - Ciao Erika come va? E il mio amico Marco è molto che non si fa vedere?
   - Marco chi?
   - Marco Montanari, l'amico che ti ho mandato tempo fa. Ma si dai, quello che fa il donatore per mantenersi agli studi universitari. Te ne avrà parlato no?
   - A sì, ora ricordo, un tipo strano. Ma non mi ha detto che aveva bisogno di denaro.
   - E' un tipo particolare, molto riservato. Probabilmente non gli garbava di dirtelo. Non è facile per chiunque, specie per uno come lui, giustificare che si masturba perché ha bisogno di denaro, specie a una donna carina come te. Se lo vedi salutamelo. Ciao!
   Con il sopraggiungere della stagione autunnale gli studenti tornarono numerosi in città, anche Marco si presentò in ambulatorio.
   - Buongiorno, avete ancora bisogno di me? Posso donare?
   - Certo, domani alle otto c'è un posto libero nella lista e tu potresti occuparlo.
   - Va bene, allora verrò. - accennò a un saluto e uscì dal Centro.
   Il mattino seguente si ripresentò puntuale in ambulatorio. Gli consegnai il barattolo e, dopo che fu entrato in bagno, mi appostai dietro il vetro unidirezionale. Quella volta non si comportò come era solito fare. Andò a sedersi sulla poltroncina e iniziò a sfogliare le pagine di una rivista pornografica. Poco dopo si liberò dei jeans e degli slip. L'osservai attentamente durante i preliminari. Stava seduto sul margine della poltrona a capo chino e guardava le immagini patinate della rivista sistemata sul pavimento. Afferrò il cazzo e iniziò a masturbarsi. A dire il vero fece solo un maldestro tentativo perché il cazzo sembrò non volerne sapere d'inturgidirsi.
   Constatata l'inutilità del suo prodigarsi si lasciò cadere con la schiena sullo schienale della poltroncina e portò le mani al viso. Non so cosa mi prese, forse si trattò d'istinto materno o forse molto più semplicemente di compassione. Sta di fatto che mi precipitai davanti alla porta del bagno dove era impegnato Marco. Sganciai alcuni bottoni della divisa, liberai i seni, poi senza bussare entrai nel locale.
   Marco se ne stava seduto sulla poltrona col capo chino e osservava le foto della rivista sul pavimento. Era così assorto nei suoi pensieri che neanche notò il mio ingresso. Mi avvicinai a lui, ma solo quando gli fui vicina sollevò il capo.
   - Non ti preoccupare. - dissi. - Sono qui per aiutarti.
   M'inginocchiai ai suoi piedi e lo guardai dritta negli occhi bagnati di pianto.
   - Sono diventato impotente, nessuno mi può aiutare. - singhiozzò.
   Commossa da quelle parole sbottonai completamente il camice e gli mostrai le tette.
   - Guardami! Guarda bene queste tette. Posaci le mani sopra e ti accorgerai che quello che dici è solo frutto del tuo avvilimento e nient'altro, abbi fiducia in me.
   Presi le sue mani e le portai a contatto dei seni. Tutto quello che ne seguì avvenne con naturalezza, come se fossimo stati in intimità da sempre e in un certo senso era vero, anche se lui non lo sapeva. Se nascosta dietro al vetro ero stata ispirata da istinto materno nel correre in suo aiuto, davanti a Marco sentii prevalere la mia natura di seduttrice. M'inginocchiai ai suoi piedi e mi ritrovai col mento infilato fra le sue cosce a poca distanza dal cazzo molliccio e inerte.
   Per alcuni interminabili minuti seguitai ad accarezzarglielo, poi appoggiai la punta della lingua fra le cosce e inanellai dei lievi spostamenti leccandogli la pelle. Il cazzo rimase inerme a ogni mia sollecitazione. Un altro uomo, al posto di Marco, sarebbe esploso a quelle carezze, ma lui rimase passivo. Allungai una mano e con le dita gli sfiorai il cazzo, senza menarglielo, poi cominciai a leccargli le palle.
   A quei toccamenti Marco ebbe un primo sussulto. Non mi meravigliai quando il cazzo iniziò ad aumentare di volume. In fin dei conti era ciò che desideravamo entrambi. Marco divaricò ancora di più le gambe. Vista la reazione afferrai il cazzo con la mano e, tenendolo ben stretto, iniziai a menarglielo. Sennonché si afflosciò ancora una volta. Non mi persi d'animo, avvicinai la cappella alle labbra e iniziai a leccarla inumidendola con la saliva. Furono sufficienti pochi passaggi della lingua e il cazzo s'inalberò di nuovo. 
   - Mettilo in bocca. - mi supplicò Marco.
   Alzai il capo e per la prima volta vidi nell'espressione del suo viso i tratti di chi sta provando piacere. Schiusi le labbra e affondai il cazzo nella bocca. Eccitato da questa mia disponibilità Marco si sporse col bacino in avanti e mi spinse il cazzo in fondo alla gola.
   La punta della cappella premeva sulla parete posteriore del palato impedendomi di respirare. Mi allontanai e mi liberai della cappella che stava per soffocarmi. L'irruenza con cui mi aveva attirato a sé fu una ulteriore conferma del ritrovato desiderio sessuale. Non rimasi indifferente alla smania di scoparmi in bocca e ripresi a succhiarglielo. Dopo il primo assalto Marco iniziò a muovere il bacino con minore irruenza. Ero così eccitata per la strana situazione in cui mi ero venuta a trovare che non allentai la stretta delle labbra sul cazzo. Guidandolo con la mano roteai la cappella contro le pareti interne della bocca per poi sbatterla contro l'epiglottide. In alcuni frangenti ebbi persino l'impressione che il respiro mi mancasse. Nel momento in cui mi prendeva l'urto del vomito trattenevo il respiro per fare coincidere i miei movimenti con quelli del fianchi di Marco.
   - Cazzo, come mi fai godere. - disse.
   Non feci caso alle sue parole affamata com'ero del suo cazzo. Continuai a gustarlo ancora per un po' di tempo menandoglielo anche con le dita.
   Marco iniziò a tremare in tutto il corpo. Sollevò il bacino e gridò:
   - Godo! Godo! Vengooo!
   Sfilai il cazzo dalla bocca. Afferrai il barattolo di plastica appoggiato per terra e lo avvicinai all'uretra. Dopo pochi istanti, sollecitato dalla spinta della mia mano, uno schizzo di sperma centrò l'interno del barattolo. Altri fiotti seguirono il primo a brevissima distanza, alla fine serrai il coperchio sopra il barattolo e iniziai a raccogliere con le labbra quel poco di sperma rimasto depositato sulla cappella.
   Quando uscii dal bagno tenevo stretto fra le dita il barattolo di sperma come fosse un trofeo.
   - Ciao! Ti saluto. - disse quando ritrovai Marco davanti alla guardiola. - Non so come ringraziarti per quello che hai fatto.
   Mi diede un bacio sulla guancia e si allontanò.


   Sono trascorsi tre anni dal pompino che ho fatto a Marco. Non lavoro più al Centro per la Fecondazione Assistita. Da un paio di mesi ho preso servizio nell'ambulatorio della Clinica Dermosifilopatica. Oggi pomeriggio mentre attraversavo in bicicletta il Parco Ducale ho rivisto Marco. Passeggiava nel viale principale ed era in compagnia di una bellissima ragazza. Anche lui mi ha visto e con un cenno della mano mi ha salutata. Poi, mentre si allontanava, si è girato e sorridendo mi ha strizzato l'occhio.

 

 

 
 

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