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BOCCA
A BOCCA
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Marta
è una donna a cui piace fare
sesso, ma non assomiglia né a Teresa
Orlowsky né a Milly D'Abbraccio,
pornostar di cui conosco intimamente
ogni pertugio del loro corpo. Alta, stretta di fianchi,
bacino largo, tette pendule nonostante
la giovane età, possiede belle gambe e
un paio di piedi lunghi quanto i miei.
Festeggiamo il compleanno nel medesimo
giorno, il 14 dicembre, e per molti anni
abbiamo abitato nella medesima palazzina
al civico 105 di Borgo Marodolo, nell'Oltretorrente.
Marta non è granché
bella. A dirla tutta bella non la è mai
stata neanche da bambina. Per certi
versi le assomiglio molto. C’è stato
un tempo in cui infilarle l'uccello
nell'umido della figa mi faceva stare
bene. Era brava nel soddisfare ogni mia
voglia e quando la comandavo lei
ubbidiva senza fare delle storie, mentre
ancora oggi la maggioranza delle donne,
imbarazzate dalla visione ciclopiche dei
venti centimetri di carne a riposo che
mi pendono fra le cosce, spesso si
rifiutano di farlo.
Con Marta abbiamo
cominciato a scambiarci baci e carezze
quando eravamo bambini, prima che il mio
uccello si sviluppasse e raggiungesse le
dimensioni attuali. A scopare invece
abbiamo iniziato soltanto da
adolescenti.
A sedici anni mi
masturbava. A diciotto facevamo l'amore
almeno una volta al giorno. D'estate con
la chiusura delle scuole lo facevamo
anche più volte di seguito. Agivamo di
nascosto dai nostri genitori, lontano da
occhi indiscreti, nella cantina del
condominio dove abitavamo. Un segreto,
il nostro, rimasto a lungo sopito senza
che nessuno si accorgesse della nostra
relazione.
Ormai sono trascorsi dieci
anni dall'ultima volta che ho fatto
sesso con Marta. Era
una torrida notte d'estate,
con le temperature salite sino a
quaranta gradi che avevano messo a dura
prova la pazienza delle persone, persino
stare fermi era faticoso. Nella mansarda
che all’epoca occupavo il caldo era
soffocante. Trascorrevo gran parte del
tempo nel bar sotto casa, provvisto di
aria condizionata, mentre nella mia
abitazione mi trattenevo soltanto il
tempo necessario per consumare il pranzo
e la cena.
Non vedevo Marta da
parecchi giorni ed ero preoccupato. Mi
evitava e non riuscivo a spiegarmene la
ragione, però serbavo una grande voglia
di scoparla.
Quella sera avevo giocato
a biliardo, con la gente accalcata
tutt'attorno al tavolo a guardarmi,
stupita, mentre passavo e ripassavo il
gesso sulla punta della stecca prima di
colpire le bilie sparse sul panno verde.
Quella volta lì, lo
ricordo bene, ero stato bravo
nell'abbattere più volte di seguito la
serie di birilli posti al centro del
tavolo da biliardo. A mezzanotte, dopo
avere vinto una serie interminabile di
partite, avevo lasciato la combriccola
di amici e, salito in macchina, ero
andato in giro per la città alla
ricerca di Marta, certo che l'avrei
trovata in una delle osterie dove era
solita intrattenersi a sbronzarsi.
Cominciai a spostarmi da un
locale all'altro, chiedendo a baristi e
camerieri notizie di Marta. Nessuno
sembrava averla notata. Alle due di
notte, quando ormai avevo perso ogni
speranza di scoparla, la rintracciai
alla Bottiglia Verde, una osteria del
quartiere dell'Oltretorrente.
Era seduta a un tavolo in
compagnia di due individui dalla pelle
nera. Una caraffa di vino e un bicchiere
erano appoggiati sulla tovaglia su cui
Marta teneva appoggiati i gomiti a
sostegno del mento. Incrociando il mio
sguardo fece finta di non vedermi. Ma la
presenza di un solo bicchiere sul tavolo
mi fece intendere quali fossero le intenzioni dei due musi neri. Le stesse
che mi avevano indotto a cercare Marta
in quel posto.
- Andiamo, dai, vieni via
da lì. - dissi.
Afferrai Marta per un
braccio e cercai di trascinarla lontano
dal tavolo, senza curarmi della presenza
dei due uomini dalla pelle nera
determinati a non lasciarsi sfuggire la
preda con cui speravano di concludere la
serata.
Uno dei due, un tipo smilzo
con il capo foderato di treccioline alla
Gullit, si alzò in piedi e con fare
minaccioso si avvicinò a me. Prima che
potesse fare qualsiasi gesto o
pronunciare una parola feci partire un
gancio sinistro che andò a colpirlo al
setto nasale. Quando il pugno incontrò
la parte prominente del volto dell'uomo,
incocciando nella cartilagine del naso,
ebbi la sensazione di qualcosa che stava
per cedere sotto la spinta delle nocche
della mano. Colto di sorpresa accostò
le mani al volto per tamponare il flusso
di sangue che usciva a fiotti dalle
narici imbrattandogli il viso.
L'altro uomo di pelle
scura, per niente scoraggiato da quanto
era accaduto all'amico, si alzò dalla
sedia. Spinse il tavolo in avanti, senza
preoccuparsi della caraffa di vino
appoggiata sulla tovaglia che cominciò
a oscillare. Un bicchiere si rovesciò e
il vino si sparse sulla tovaglia
macchiandola di rosso. Fui svelto
nell'impugnare la presa della caraffa e
colpire l'uomo al capo mandando in
frantumi il vetro.
- Dai, andiamo via. - dissi
a Marta.
- Sei pazzo! Pazzo! Ecco
quello che sei.
- Non rompere! Ti ho detto
di venire via con me. Hai capito?
Presi Marta per un braccio
e la trascinai fuori dal locale fra lo
stupore generale dei clienti che
occupavano i tavoli dell'osteria. Una
volta in strada la costrinsi a salire
sulla station-wagon che avevo
parcheggiato a
cavallo del marciapiede, a poca distanza
dal locale.
Il timore che i due
africani uscissero da un momento
all'altro dall'osteria mi fece
dimenticare di accendere i fari della
station-wagon mentre mi davo alla fuga
per la rete di borghi dell'Oltretorrente.
A quell'ora della notte la
Via Emilia era trafficata di anime
perse. Ai lati della strada mandrie di
puttane, perlopiù slave, erano in
attesa di clienti. Ai miei occhi Marta
era meglio della più bella di tutte
loro e non vedevo l'ora di scoparla.
Sistemai una mano fra le
sue cosce e ne colsi il delicato calore
del corpo. Guidavo con una mano sola,
con il capo di Marta accostata alla mia
spalla e le luci al neon delle insegne
luminose, poste ai margini della
carreggiata, che mi venivano incontro
stordendomi con i loro effetti
cromatici.
La voglia di scopare che
avevo addosso nel momento in cui misi piede nell'osteria, estintasi per
colpa dei due musi neri con cui avevo
fatto a botte, tornò a farsi prepotente
mentre mi allontanavo dalla città
diretto verso l'abitazione di Marta.
Inseguendo le insegne
luminose ai lati della carreggiata mi
trovai a pensare che l'eccessiva
urbanizzazione della città stava per
raggiungere un punto di non ritorno
deturpando il paesaggio dell'antica
strada romana.
Durante la corsa sulla Via
Emilia Marta mantenne per tutto il tempo
il capo appoggiato alla mia spalla.
Seguitai a carezzarle i capelli fino a
quando, oltrepassato il parcheggio del
Capitol Multiplex, una multisala alla
periferia della città, fermai la
station-wagon davanti alla sua
abitazione.
- Scendi giù, dai.
- No, non voglio.
- Adesso scendi subito
dalla macchina. Hai capito? Oppure
preferisci che ti trascini fuori con la
forza? Decidi tu quello che è meglio
per te.
- Non voglio. - si mise a
piagnucolare.
- Dai non fare la cretina.
- Restiamo in macchina a
parlare.
- Sei proprio scema eh!
Trascinai Marta su per le
scale, fino all'appartamento, anche se
non voleva saperne di venirmi appresso.
L'accompagnai nella camera e la spinsi
sul letto, poi cominciai a spogliarla
liberandola degli abiti che aveva
addosso, davvero pochi in verità.
Stavolta non oppose
resistenza. Lasciò che la denudassi
ostentando una certa arrendevolezza.
Anch'io mi denudai e presi posto accanto
a lei sopra le lenzuola.
Cominciai a muovere le dita
sull'addome di Marta umido di sudore.
Fremiti di piacere le percorsero tutto
il corpo e di questo me ne compiacqui.
Seguitai a carezzarla a lungo senza
fermarmi, poi feci scorrere la punta
della lingua sull'ombelico leccandolo
con una certa insistenza.
- Ammettilo, dai, che ti
piace quando ti lecco l'ombelico. -
dissi.
Accostai l'estremità della
lingua sull'introflessione cicatrizzale
al centro dell'addome e seguitai a
leccarla. Marta girò il capo di lato
obbligandomi a condurle il mento nella
mia direzione con la forza della mano.
- Beh, posso sapere che
cazzo c'hai?
- Niente, niente.
- Come sarebbe a dire
niente?
- Non ci pensare, succhiami
la passera. Succhiamela, dai!
Le allargai le gambe e
sprofondai con le guance fra le sue
cosce cibandomi dei fluidi filamentosi
che uscivano dalle labbra della vagina.
Ancora una volta mi ritrovai a leccarle
il clitoride stringendolo nella bocca.
Iniziai a spompinarlo inumidendolo più
volte con la saliva. Era gonfio e
turgido, esposto all'accanimento delle
mie labbra e al modo forsennato con cui
lo stavo succhiando.
- Mi fai schifo. - disse
Marta.
Sollevai il capo dal
bocciolo del clitoride che a lungo avevo
trattenuto fra le labbra e le risposi a
modo mio.
- Quando l'hai lavata
l'ultima volta, eh? - chiesi minaccioso.
- Non la lavo mai, lo sai.
- rispose Marta. - La tengo sudicia
apposta per te. Mi piace imbrattare di
mestruo e piscio il tuo sporco muso.
Chinai il capo e ripresi a
leccarla, nonostante l'abbondante flusso
di sangue del mestruo, impaziente di
farle raggiungere l'orgasmo.
Accostai le mani sotto i
glutei, abbrancandoli, li sollevai e
avvicinai la figa alle mie labbra,
evitando che Marta potesse liberarsi
dalla stretta delle mie mani.
Andai avanti a succhiarle
il clitoride fintanto che cominciò a
tremare e gemere di piacere. Raggiunse
un primo orgasmo quando le infilai due
dita nella figa e cominciai a
masturbarla. Proseguii a succhiarle il
clitoride nonostante cercasse di
liberarsi dal mio abbraccio spingendomi
lontano mentre gemeva.
Fra le sue cosce avrei
potuto scegliere di vivere e morire.
Scelsi di vivere e allontanai la bocca
dal clitoride.
La obbligai a farsi
inculare, infilandole il cazzo quasi per
intero nell'intestino, come spesso
succedeva quando facevamo l'amore.
Lasciò che la penetrassi
urlando più volte per il dolore.
Umiliarla era una delle ragioni che mi
spingevano a scoparla in quel modo.
Erano le quattro di mattina
quando uscii da quella casa. Dopo non l'ho più rivista. E'
scomparsa nel nulla. Ogni ricerca è
risultata vana. Sono trascorsi dieci
anni e l'ultima immagine che serbo di
lei è del suo didietro mentre la
scopavo nel culo.
Marta non assomiglia a
Teresa Orlowsky e nemmeno a Milly
D'Abbraccio. Marta è una donna
sgraziata, ma molto speciale. Marta è
mia sorella, gemella.
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