IL CASSONETTO
(Storie di barboni)

di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

     Erano scese le ombre della sera quando Marilena raggiunse il Centro Commerciale Tirreno, un megastore situato sulla Via Aurelia. Si era spinta sino lì, pedalando in sella alla bicicletta, decisa a passare a setaccio il contenuto dei cassonetti dell'immondizia a ridosso della struttura commerciale. 
    Recuperare del cibo di scarto era lo scopo che si era prefissata. Ma se i metronotte si fossero accorti della sua presenza mentre faceva la cernita, sforacchiando i sacchi di plastica che contenevano i rifiuti, l'avrebbero allontanata come era accaduto in altre occasioni. 
   Quando raggiunse la fila di cassonetti dal cielo iniziarono a cadere delle gocce di pioggia, presagio dell’imminente temporale. Sistemò un paio di cassette per la frutta una sull'altra, davanti a uno dei cassonetti, e ci salì sopra, poi sollevò il coperchio. 
   Favorita dalla luce diffusa da un lampione si diede da fare, con le mani nude, a rovistare dentro il cassonetto, rompendo i sacchi di plastica ammonticchiati uno sull'altro.
   Il cassonetto, colmo di rifiuti d'ogni genere, emanava un tanfo irrespirabile, in netto contrasto con l'odore di salsedine che proveniva dal mare distante soltanto un centinaio di metri dall'ipermercato.
   Cibo di scarto non ne trovò. Si affrettò ad abbassare il coperchio del cassonetto e passò a esaminarne un altro. Il successivo era colmo di cartoni da imballaggio, delusa si spostò verso un terzo cassonetto.

   Marilena era un'alcolista cronica come prima di lei lo era stato il padre, morto di cirrosi epatica all'età di soli quarant'anni. Testimone della devastazione fisica del padre, ridotto a una larva umana, si era convinta che per nessuna ragione al mondo avrebbe mai toccato un bicchiere di alcol. Invece quando si era trovata a sostenere importanti responsabilità sul posto di lavoro, era precipitata nell'inferno della dipendenza da alcol senza accorgersene.
   Laureata in Economia e Commercio, con il massimo dei voti, vantava un mix equilibrato di competenze fondamentali nei campi dell'economia e della gestione aziendale. Appena laureata era stata assunta da una importante azienda alimentare della città. Nel volgere di pochi anni, grazie alle sue riconosciute competenze, si era trovata a dirigere l'ufficio marketing della medesima azienda. Esperta dei metodi e delle tecniche della matematica finanziaria e attuariale, aveva svolto con duttilità e competenza le funzioni direttive a cui i vertici dell'azienda l'avevano destinata. La sua carriera pareva in continua ascesa, soprattutto perché era stimata dai dirigenti dell'azienda che le stavano sopra di grado, motivo che le era stato di stimolo per darsi di più, sempre di più nel lavoro.
   Inseguendo le prospettive di una luminosa carriera aveva compiaciuto i manager dell'azienda per ambizione personale, ma anche per il facile guadagno, pretendendo troppo da se stessa, lavorando giorno e notte senza un attimo di pausa. Ma alle prime difficoltà, quando il fisico aveva cominciato a cederle per la fatica e lo stress, era andata in crisi.
   Col passare delle settimane aveva cominciato a non credere più in se stessa. Per la testa le erano comparse le prime paure, ma le angosce erano soltanto quelle che partoriva la sua mente malata a causa dello stress. Senza rendersene conto aveva dato avvio a una girandola di comportamenti frustanti che l'avevano condotta a rifugiarsi nel bere.
   All'inizio della sua storia con l'alcol si ubriacava nella solitudine della propria abitazione, lontano da occhi indiscreti. Lo faceva per darsi coraggio, ma soprattutto per paura di non essere in grado di svolgere al meglio il ruolo assegnatole dall'azienda per cui lavorava.
   Al risveglio, ogni mattina, il primo pensiero andava alla bottiglia di cognac che l'attendeva in cucina insieme al caffè caldo, mentre  durante la giornata, in ufficio, andava a bere nel bagno riservato al personale dirigente dove nessuno avrebbe potuto vederla.
   L'alcol, poco per volta, era diventato l'unica sua ragione di vita. Un processo lento e distruttivo che le aveva tolto la percezione della realtà, modificandone le abitudini, snaturando i valori e i sentimenti nei confronti della vita. 
   Era diventata diffidente nei confronti dei propri collaborati e di tutte le persone che le gravitavano d'intorno, finendo col vivere un mondo a parte, tutto a sé, lontano da quello delle persone normali o meglio dei non alcolisti.
   Una domenica mattina, dopo che aveva trascorso la notte a bere, si era presentata nuda e ubriaca sul balcone di casa e aveva cominciato a inveire contro il mondo intero, pronunciando frasi sconnesse. A chi, affacciandosi alla finestra, l'aveva invitava a ritirarsi dentro le mura di casa aveva risposto minacciando di buttarsi dal balcone.
   I carabinieri, accorsi sul posto, l'avevano costretta a salire sopra una ambulanza e condotta al Pronto Soccorso. I sanitari, costatato il suo stato, avevano provveduto a farla rinchiudere in una casa di cura per malattie mentali, formulando la diagnosi di alcolismo depressivo.
   Dalla clinica era stata dimessa dopo una sola settimana di ricovero. Sospesa in via cautelare dall'azienda per cui lavorava, aveva ripreso a bere, forse anche più di prima, dopodiché aveva tentato il suicidio, finendo per essere di nuovo ricoverata in una clinica per malattie nervose. 
   Più tentativi di suicidio si erano succeduti nel volgere di pochi mesi. Dopo ogni ricovero Marilena cercava di smettere di bere, compiendo grandi sforzi di volontà, senza riuscire a farlo. I medici che l'avevano in cura l'avevano invitata ad abbandonare i superalcolici, consigliandola di bere soltanto del lambrusco. - Un vino a bassa gradazione alcolica che fa le bollicine e anche buon sangue. - le dissero per rincuorarla.
   Quando per l'ennesima volta era uscita dalla clinica per malattie mentali, dopo un ricovero durato un paio di mesi, aveva perso casa, lavoro, amici ed era piena di odio e rancore verso tutto e tutti.

   Marilena si sporse col capo in avanti come fosse sua intenzione farsi inghiottire dalle lamiere del cassonetto. L'odore che sprigionavano i rifiuti era nauseabondo. Aiutandosi con la forza delle braccia incominciò a rompere i sacchi dell'immondizia, dopodiché si mise alla ricerca della frutta eliminata dai bancali del supermercato perché guasta o inverminita.
   Alcune foglie di lattuga fecero capolino da uno dei sacchi di plastica con cui stava cimentandosi nella sua quotidiana battaglia per la vita. Allargò l'apertura del sacco di plastica, poi fece in modo di liberare un certo quantitativo di foglie d'insalata che si affrettò di ficcare in una delle borse di plastica che si era portata appresso. Fece a pezzi degli altri sacchi finché ne trovò uno che conteneva pesche guaste. Era intenta a compiere una cernita fra i frutti quando un autovettura arrestò la corsa in prossimità dei cassonetti. Sgomenta si voltò nella direzione dei fari della macchina. Tutt'a un tratto un metronotte uscì da una delle portiere e si avvicinò a lei.
   - Beh, si può sapere cosa stai combinando? - disse l'uomo in divisa. 
   Il metronotte, un tipo piuttosto giovane, dalla pelle scura, ostentava un grosso revolver, sistemato al fianco destro, con il calcio metallico che fuoriusciva dalla fondina su cui manteneva calcato, in modo minaccioso, il palmo della mano. 
   - Non lo hai capito?
   - Fai la furba?
   - Ma... vaffanculo! Stronzo!
   - Dai, vattene da questo posto alla svelta. Ormai dovresti saperlo che è proibito rovistare nei cassonetti.
   - Ho fame.
   - Vai a lavorare allora! Ci sono infinite possibilità di lavoro per una donna che ha voglia di darsi da fare.
   - Non posso.
   - Perché?
   - Non posso e basta.
   - Rimetti a posto le cose che hai tolto dai cassonetti e facciamola finita. Non ho tempo da perdere con te.
   Marilena fissò con odio la guardia giurata per qualche istante, dopodiché gli spiattellò una proposta.
   - Ti va di scopare? Se mi dai 10 euro ti faccio tutto quello che vuoi.
   L'uomo, sorpreso dalla strana proposta, guardò Marilena da capo a piedi. Il buio delle tenebre le nascondeva le numerose cicatrici di sofferenza radicate sul volto. Aveva trentasette anni e non era la prima volta che concedeva i favori del proprio corpo agli uomini in cambio di denaro. Aveva cominciato a farlo durante i frequenti soggiorni nelle case di cura di cui era stata ospite. Per ottenere di straforo qualche bicchiere di vino si faceva scopare dagli infermieri e dagli addetti alle pulizie, mai paghi di ottenere da lei culo, figa, e bocca.
   - Beh, non rispondi?
   - Non sei affatto male, è vero. Ma stasera non ho con me dei preservativi, altrimenti.
   - Hai paura che ti contagi, eh? E' questo che vuoi dirmi? - disse Marilena ridendo di gusto.
   - Beh, che c'è di strano? Con i tempi che corrono c'è da stare attenti a scopare con chiunque, specie con la prima donna che mi capita fra i piedi.
   - Se vuoi te lo succhio? Ti sta bene?
   Il metronotte rimase pensieroso, dopodiché sbottò.
   - Sì.
   Le luci anabbaglianti della macchina della vigilanza rimasero accese per tutto il tempo che Marilena gli succhiò l'uccello, al pari della luce azzurra lampeggiante che sovrastava il tetto della carrozzeria. Non vi furono preliminari, il metronotte sistemò la schiena contro uno dei cassonetti e lei si inginocchiò ai suoi piedi.
   L'uomo aveva il cazzo moscio quando Marilena glielo strinse nella mano, la stessa con cui fino a qualche istante prima aveva frugato nei sacchi dell'immondizia ammonticchiati sul fondo dei cassonetti. Il metronotte sembrò non fare troppo caso al grasso e l'umido di cui erano impregnate le dita della donna. Nemmeno l'odore liberato dai cenciosi capelli di Marilena che, inginocchiata davanti a lui muoveva insieme al capo mentre gli succhiava il cazzo, lo scoraggiò.
   Il metronotte si posizionò con le gambe bene divaricate sull'asfalto per mantenere l'equilibrio. Dopo un po' che Marilena succhiava le appoggiò entrambe le mani sul capo per aiutarla a spingere più a fondo la cappella nella bocca.
   Lei ebbe più di un sussulto soffocata dalla cappella che finiva per sbatterle contro la parete della gola. Cercò in qualche modo di espellere il cazzo per riprendere fiato, ma non le riuscì di farlo e singhiozzò un paio di volte prima di ricominciare a succhiare.
   Il metronotte le venne in bocca senza alcun riguardo, poi la obbligò a leccarglielo, il cazzo, asportando ogni traccia di sperma dalla pelle, infine ricacciò la cappella dentro la patta dei pantaloni.

   Era durato soltanto una decina di minuti il pompino. In altre occasioni si era trovata a dovere spremere a lungo le guance attorno il cazzo di qualche occasionale compagno, sfinendosi. Stavolta era riuscita a fare eiaculare il metronotte abbastanza in fretta e la cosa le diede soddisfazione. 
   - Tieni. - disse l'uomo affrettandosi a togliere dal portafoglio, custodito in una tasca dei pantaloni, una banconota da 10 euro.
   - Ti ringrazio, ci berrò sopra alla tua salute.
   - Sì, va be', ma adesso vattene, eh.
   L'uomo salì sulla autovettura e si allontanò lasciando Marilena dinanzi ai cassonetti. Appena la guardia giurata si fu allontanata Marilena riprese a rovistare nei rifiuti.
   Stava buttando all'aria alcuni sacchi di plastica quando la pioggia si fece più intensa. Tutt'a un tratto cominciarono a cadere dei chicchi di grandine che la colsero impreparata. Non sapendo dove trovare rifugio si catapultò dentro il cassonetto che poc'anzi aveva trovato occupato per intero da cartoni per l'imballaggio.
   Al riparo dalla grandine e dalla pioggia si rannicchiò sui cartoni dell'imballaggio, scambiandolo per un soffice materasso, poi rimase in attesa che cessasse il temporale, ma si addormentò.

   Marilena è morta perché ha cercato riparo dalla pioggia in un cassonetto per la raccolta della spazzatura, inghiottita insieme alla carta da imballaggio da uno dei numerosi camion compattatori della nettezza urbana che ogni notte svuotano i cassonetti in giro per la città.
   Ad accorgersi della presenza della donna erano stati gli addetti alla nettezza urbana dopo che il camion aveva agganciato il cassonetto e riversato il contenuto nella macchina tritatutto.
   Le urla della donna, provenienti dal camion compattatore, avevano messo in allarme i netturbini che avevano provveduto a bloccare il meccanismo del tritatutto quando il corpo di Marilena aveva già subito gravi mutilazioni all'addome e al capo. Trasportata d'urgenza all'ospedale era deceduta subito dopo il ricovero al Pronto Soccorso.
   Nei brandelli dei vestiti, imbrattati di sangue, che Marilena aveva addosso la polizia aveva rinvenuto alcuni biglietti personali e un documento di riconoscimento. Nella tasca dei jeans c'era una banconota da 10 euro, quella dispensatole dal metronotte.

 

 
 

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