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AU
PAS DE COURSE
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
I l
Giro d'Italia è da sempre sinonimo
della primavera mentre il Tour de France
lo è dell'estate. L'estate è il mese
di luglio, quando il caldo è torrido,
il ritmo della vita scorre lento, la
gente si mostra nuda nelle spiagge, e le
giornate sembrano non finire mai.
Avevo lasciato Parma nel
primo pomeriggio per raggiungere l'Alpe
d'Huez intenzionato ad assistere
all'arrivo di tappa del Tour de France. Nel bagagliaio della
station-wagon, oltre alla bici da corsa,
mi ero premurato di collocare la tenda
da campeggio, un sacco a pelo, e tutto
l'occorrente per dormire all'aperto in
compagnia di migliaia di cicloturisti
che sarebbero convenuti all'Alpe d'Huez
da tutta Europa.
L'Alpe d'Huez, al pari del
sassoso Galibier e dei nebbiosi
Tourmalet e Aubisque, appartiene al
novero delle salite che hanno fatto
grande la storia del Tour de France.
La strada che da Le Bour-d'Oisans
s'inerpica sui fianchi rocciosi della
montagna, e conduce alla famosa stazione
turistica, è lunga soltanto quattordici
chilometri, ma comporta molte difficoltà
per chi l'affronta in sella alla
bicicletta.
E' una salita magica,
taglia gambe, spietata, che non concede
un attimo di respiro, con una pendenza
media del 10%, ed è una salita che
consegna sul volto di chi la porta a
termine le tracce di una immane fatica.
Dopo avere viaggiato per tutto
il pomeriggio raggiunsi l'abitato
dell'Alpe d'Huez (classico esempio
d'imbruttimento di una splendida conca
alpina rovinata dalla cementificazione e
dalla presenza di funivie e skilift)
verso l'imbrunire.
Le aree adibite a
parcheggio erano stipate
all'inverosimile di autovetture, camper
e roulotte. Sistemai la station-wagon su
di un prato, in prossimità di un
laghetto alpino, a poca distanza dalla
stazione di partenza di una funivia,
dopodiché mi premurai di scaricare il
materiale che mi ero portato appresso
per il pernottamento. Impiegai pochi
minuti a sistemare la tenda a igloo.
Prelevai dal bagagliaio della
station-wagon il sacco a pelo e il
materassino su cui avrei trascorso la
notte.
Stavo gonfiando il
materassino nelle vicinanze della tenda
quando mi avvidi della presenza di una
ragazza a pochi metri dalla mia
postazione. Era seduta davanti a una
tenda canadese dal telo argentato e
guardava nella mia direzione.
Aveva le ginocchia piegate
con le cosce appoggiate contro l'addome.
Un paio di calzoni corti davano rilievo
a un paio di gambe lunghe e affusolate.
Il colore dei capelli,
raccolti a coda di cavallo, di un biondo
platino, le conferivano un aspetto da
donna nordica: svedese, danese o magari
tedesca. Questa fu l'impressione che ne
ricevetti.
Mostrava d'avere una
trentina di anni; solo qualcuno meno dei
miei. Nella mescolanza disordinata di
persone che abitavano l'accampamento sembravamo due pesci fuor
d'acqua, nella solitudine delle nostre
tende da campeggio. Quando si accorse
che la stavo osservando scostò il capo
di lato e trovò rifugio dentro la tenda.
A mezzanotte dopo essere
andato a zonzo per il paese e assaporato
il clima di festa che furoreggiava nella
cittadina, affollata all'inverosimile da
un gran numero di turisti, tornai alla
tenda. M'infilai nel sacco a pelo, senza
togliermi di dosso jeans e maglione, e
mi addormentai quasi subito.
Le luci dell'alba mi
destarono dal sonno in cui ero
sprofondato la sera precedente. Rimasi
accucciato dentro la trapunta di piume
d'oca del sacco a pelo in uno stato di
dormiveglia, poi mi immersi nella
lettura di un libro fintanto che la
voglia di fare pipì mi convinse a
uscire dalla tenda.
La giornata era splendida.
Il cielo, sgombro di nubi, era di una
tinta simile al blu; rare volte mi è
capitato di vedere un cielo con quella
gradazione di colore.
Con le ciabatte ai piedi
m'incamminai verso uno dei gabinetti
appositamente attrezzati dalle autorità
comunali per soddisfare i bisogni
fisiologici delle persone acquartierate
nelle tende.
Al ritorno
nell'accampamento incappai nella ragazza
dai capelli biondi che avevo intravisto
la sera precedente seduta davanti alla
tenda a poca distanza dalla mia.
Il volto, solo quello,
usciva fuori dalla cerniera che serviva
a chiudere e aprire l'ingresso della
tenda canadese. Le sorrisi e proseguii
oltre, ma subito dopo una voce di donna
richiamò la mia attenzione.
- Monsieur... Monsieur!
Girai il capo nella
direzione della voce, anche se mi sembrò
abbastanza strano che qualcuno si
rivolgesse a me.
- Non parlo francese. Mi
spiace. - dissi rivolto alla ragazza.
- Sei italiano?
- Sì. - dissi sorpreso
dalla inflessione veneta della voce
della ragazza
- Anch'io sono italiana, di
Verona.
- Io di Parma.
- Ho bisogno di una
cortesia, se puoi farmela.
- Anche due se posso
esserti utile.
- Ho un problema, un grosso
problema.
- Dimmi.
Piegai le ginocchia fino a
toccare terra con l'estremità delle
mani e mi ritrovai col muso di fronte al
suo viso.
- Non metterti a ridere, ti
prego.
- No, te lo assicuro.
- Mi è accaduto un piccolo
incidente e non so come uscirne fuori.
- Quale?
- Quando sono andata a
dormire ho lasciato gli abiti e la
biancheria intima sul prato davanti alla
tenda. Stanotte qualcuno ci ha vomitato
sopra e ha imbrattato jeans, maglione e
tutto il resto, rendendoli pressoché
inservibili. - disse indicando il cumulo
di vestiti impiastricciati di vomito
ammucchiati fuori dalla tenda. - Ora
sono senza nulla addosso. Saresti così
gentile da prendere la borsa sportiva
che ho nel bagagliaio della macchina e
portarmela qui?
- Va bene! Ci penso io,
stai tranquilla.
- La vettura è quella. -
disse indicando una Volvo station-wagon
distante una decina di metri alle mie
spalle. - La borsa la trovi nel
portabagagli.
- Provvedo subito. - dissi
prendendo in consegna la chiave che
apriva la serratura della vettura.
Quando feci ritorno dalla
ragazza collocai la borsa sportiva
davanti l'ingresso della tenda, dopodiché
mi accovacciai sui talloni e mi ritrovai
davanti alle guance del suo viso,
seminascosto fra due lembi di cerniera
della tenda per non farsi vedere nuda.
- Davvero hai dormito senza
nulla addosso? E non hai sofferto il
freddo?
- Ho un sacco a pelo che
sprigiona più calore di una
termocoperta. E poi non ho l'abitudine
di tenere addosso reggiseno e mutandine quando vado a dormire, a volte
non li porto nemmeno di giorno, pensa un
po'! - disse senza manifestare alcun
imbarazzo. - Ti ringrazio per avermi
consegnato la borsa. Sei stato gentile.
- E' stato un piacere
conoscerti. - dissi. - Se ti occorre
aiuto sai dove trovarmi. Ciao!
- Ah, dimenticavo. Il mio
nome è Silvia.
- Il mio è Lorenzo. -
dissi allontanandomi.
Dentro la tenda a igloo mi
liberai degli indumenti e indossai la
salopette oltre alla maglia da ciclista.
Subito dopo scaricai la bicicletta da
corsa dal bagagliaio della station-wagon
dove era custodita.
Ero intento a calzare le
scarpe da ciclista quando mi sentii
chiamare dalla ragazza.
- Vuoi tenermi compagnia a
colazione?
- Eh? - dissi girando il
capo nella sua direzione.
- Ti sto chiedendo se ti va
di fare colazione in mia compagnia.
Piegata sulle ginocchia
dinanzi a un tavolo da campeggio Silvia
era impegnata a prepararsi la colazione.
- Sto scaldando il tè, ne
vuoi una tazza?
- Sì, grazie, se non ti è
di disturbo.
Mi avvicinai al tavolo. Presi posto sul prato davanti a un
barattolo di marmellata di prugne e dei
granetti di pane secco, associati a una tazza di tè
fumante.
- Hai intenzione di
cimentarti nella salita? - dissi
riferendomi alla divisa da ciclista che
aveva indosso.
- Sono venuta apposta.
- Anch'io, e non è la
prima volta che mi capita.
- Ho sentito dire che è
una salita ribelle, piena di difficoltà.
- Dipende dal ritmo che
s'imprime alla pedalata.
- Qualcosa d'eccezionale
deve possederla questa salita, non si
spiegherebbe altrimenti lo straordinario
consenso di pubblico radunato qui.
- Di straordinario c'è
soprattutto la gente che si assiepa
lungo i tornanti.
- Non capisco..
- Nessun'altra granfondo
potrà mai eguagliare i raduni spontanei
di ciclisti nelle sedi di tappa alpine e
pirenaiche del Tour. All'Alpe d'Huez
convengono migliaia di cicloturisti da
tutta Europa per affrontare senza
spirito competitivo la salita, pedalando
ognuno al proprio passo. Non credi sia
fantastico tutto questo?
- Sì, credo di sì.
- Quando pensi di partire?
- Fra mezz'ora. - dissi.
- Posso fare la salita
insieme a te?
- Perché no?
- Finiamo di consumare la
colazione e subito dopo partiamo, va
bene?
- Sì.
I primi due chilometri di
arrampicata si dimostrarono micidiali,
anzi da fare a pezzi i muscoli delle
gambe. Nei pressi di La Garde, dopo
quattro chilometri di salita, la
pendenza della strada si attenuò e
riprendemmo fiato, ma si trattò di una
breve tregua perché la strada riprese
subito a salire.
Silvia stava appiccicata
alla mia ruota e mostrava di mantenere
facilmente l'andatura che avevo imposto
all'arrampicata senza andare in affanno.
La pendenza della strada,
seppure severa, non era di quelle
impossibili, ma comunque in grado di
affaticare chiunque non è in grado di
dosare le forze, sennonché avevo ecceduto col
ritmo della pedalata per fare bella
figura con Silvia.
La gente acquartierata sul
ciglio della strada ci gratificò con
frasi d'incitamento e qualche spinta sul
sedere; per ovvi motivi più a Silvia
che al sottoscritto, perché in sella la
ragazza era davvero uno schianto con il
suo culo a mandolino.
Stavo considerando
l'eventualità di rallentare il ritmo
della pedalata e riprendere fiato,
quando la mia compagna di arrampicata mi
affiancò e mise la ruota anteriore
della bicicletta davanti alla mia.
Curvo sulla schiena, le
mani aggrappate al manubrio,
incominciai ad ansimare in maniera
scomposta, infastidito dalle gocce di
sudore che mi scendevano copiose dalla
fronte e finivano la corsa sugli occhi.
Continuai a spingere con
forza sui pedali, incollato alla ruota
di Silvia di cui potevo ammirare le
forme del culo, seppure privo di
qualsiasi effetto stimolante sui muscoli
delle mie gambe.
Silvia pedalava senza
scomporsi, con l'agilità di una
gazzella. Io, al contrario, faticavo a
mantenere il ritmo della sua pedalata.
Sopportai la bava alla
bocca, il sudore, e il dolore ai muscoli
delle
gambe. Strinsi i denti e prosegui nella
pedalata senza cedere un solo metro
dalla sua ruota.
In prossimità di un
tornante, là dove la pendenza sembrò
farsi più ostica, mi alzai sui pedali e
incominciai a scuotere il sedere umido
di sudore, poi ripresi l'arrampicata
seduto sul sellino, con le mani tese sul
manubrio.
Incominciai a respirare a
bocca aperta sbuffando per la mancanza
di ossigeno. Silvia si avvide delle
difficoltà in cui stavo dibattendomi e
si girò verso di me.
- Come va? - chiese
preoccupata.
- Bene... bene... - mentii
spossato per la fatica.
Nel momento in cui la
strada riprese a salire manovrai la leva
del cambio alleggerendo il ritmo della
pedalata. Proseguimmo l'arrampicata
appaiati, sostenuti nella immane fatica
dagli incitamenti che ci provenivano
dalla gente assiepata ai lati della
strada.
All'altezza di Huez, punto
ostico del percorso, distante quattro
chilometri dal traguardo, fui tentato di
mettere il piede a terra.
- Non fermarti, eh. -
m'incitò Silvia.
Non mi sentii umiliato
quando stese la mano sulle mie natiche e
incominciò a spingermi, anzi, il tocco
della sua mano mi diede la forza
necessaria per seguitare a pedalare.
Raggiungemmo il lungo
rettilineo su cui era posto il traguardo
applauditi dalla folla di persone
assiepate dietro le transenne.
Superata la linea di arrivo
arrestai la bicicletta e misi il culo a
terra stremato per la fatica. Silvia mi
abbracciò schioccandomi un paio di baci
sulle guance.
- Beh, è fatta! - disse.
- Sì. E' fatta. - risposi
esausto.
Trascorremmo il resto del
pomeriggio coricati sull'erba, a ridosso
di un tornante della strada, guardando le
persone che salivano a piedi e in sella
alla bicicletta verso il traguardo.
Il rumore delle pale degli
elicotteri annunciò l'approssimarsi dei
corridori. Erano da poco passate le
17.00 quando le motostaffette della
gendarmeria francese transitarono
davanti alla nostra postazione.
Di colpo la gente andò a
collocarsi a ridosso delle transenne per
seguire da vicino il passaggio dei
ciclisti. Io e Silvia rimanemmo seduti
sul prato in una posiziona sopraelevata
rispetto alla strada, collocazione che
ci diede modo di scorgere un lungo
tratto del percorso e una serie di
tornanti in lontananza.
Pantani "Il
Pirata" transitò dinanzi alla
nostra postazione per primo, acclamato
dalla folla. Dopo un paio di minuti
giunsero gli inseguitori distanziati di
poche decine di secondi uno dall'altro.
Infine per ultimo, dopo circa mezzora,
transitò anche il gruppo dei velocisti;
i più lenti a salire. Quando abbandonammo la
nostra postazione il sole era
tramontato oltre le cime delle montagne.
La strada che dall'Alpe d'Huez conduce
al fondovalle era bloccata dalla
gendarmeria nazionale. Gli agenti
impedivano alle autovetture
acquartierate all'Alpe di scendere a
fondovalle dando modo alla folla
assiepata nei quattordici chilometri del
percorso di abbandonare le postazioni e
scendere per primi.
- A quanto pare non sarà
per niente facile spostarsi da qui. Temo
che soltanto verso mezzanotte gli agenti
permetteranno alle auto di raggiungere
il fondovalle sino a Le Bour-d'Oisans.
E' accaduto anche negli anni scorsi.
- E allora che si fa? -
chiese Silvia.
- Penso che stanotte dormirò
di nuovo qui. L'avevo messo in
preventivo quando sono partito da casa.
E tu cosa pensi di fare?
- Non lo so.
Quando raggiungemmo il
laghetto dove avevamo parcheggiato le
autovetture c'erano rimaste poche tende da
campeggio acquartierate, due erano le
nostre.
- Vado a cambiarmi, poi mi
recherò in paese per mangiare qualcosa,
spero di trovare posto in qualche
ristorante. Tu che fai? - dissi.
- Vengo con te, aspettami.
Quando Silvia uscì dalla
tenda aveva indosso una minigonna di
jeans e una felpa blu. Non aveva i
capelli raccolti a coda di cavallo, ma cadevano lisci sulle orecchie fino a
toccarle le spalle.
La prima cosa che mi
venne in mente, scorgendola abbigliata in
quel modo, fu di domandarmi se sotto la
gonna avesse o meno le mutandine.
- Andiamo? - disse.
- Dovresti tirarti dietro
la giacca a vento.
- Dici?
- Più tardi farà freddo.
- Va bene, hai ragione tu.
Ristoranti e tavole calde
erano tutti affollati di gente.
Snidammo un tavolo libero in un taverna
greca, fuori mano, dove consumammo la
cena.
Durante il giorno avevamo
parlato soltanto di cose frivole, a
tavola invece parlammo molto di noi
stessi in una atmosfera sospesa, con il
tempo che trascorreva lento perché
avevamo molte cose da dirci anche se non
lo sapevamo.
- Sei fidanzata?
- Sì e no.
- Perché?
- Sono un tipo complicato,
non sono una donna facile.
- La vita in comune è
complicata. Quando ho provato a mettermi
insieme a una donna è stata una
tragedia. Forse la soluzione migliore
per un uomo e una donna è quella di
vivere ciascuno per proprio conto, e
incontrarsi per fare l'amore, andare a
cena, al cinema e...
- Non sono d'accordo, io ho
bisogno di avere un uomo accanto a me.
Non mi basta averne uno con cui scopare.
L'unica cosa che pretendo è di non
essere trattata per una che dice
scemenze soltanto perché è donna.
- Hai ragione.
Tutt'e due condividevamo la
medesima voglia di raccontarci e non
avremmo più voluto andarcene da lì.
Lasciammo che le confidenze crescessero
lente e inesorabili conquistando terreno
nei nostri cuori.
A mezzanotte abbandonammo
il locale dopo esserci scolati più di
un boccale di birra. Quando ci trovammo
nell'accampamento presi congedo da lei e
la salutai. Stavo allontanandomi quando
mi sentii chiamare per nome.
- Lorenzo... Lorenzo...
Mi girai e guardai nella
direzione di Silvia.
- Perché non vieni a
dormire nella mia tenda? Ci terremo
compagnia. Vuoi?
Rimasi silenzioso per
qualche istante prima di risponderle,
poi feci cenno di sì.
- Recupero il sacco a pelo
e sono lì da te.
- Ti aspetto fra cinque
minuti, però.
- Va bene.
Andai a rifugiarmi dentro
la tenda a igloo col cuore in subbuglio,
incredulo per l'invito inatteso ma reso
così esplicito da Silvia.
Il coso mi pulsava sotto i
pantaloni, la pelle mi puzzava di
sudore, e addosso avevo una grande
voglia di scopare.
Quando mi affacciai
all'ingresso della tenda Silvia era
accucciata nel sacco a pelo, sottratta
alla mia vista dalla semioscurità della
notte.
- Vieni avanti, dai, non
stare lì.
- Ho portato anche il
materassino. - dissi curvando il capo,
mentre mi addentravo carponi nella
tenda.
- Bene, stendilo qui. Di
fianco a me.
Dispiegai il materassino
sul fondo della tenda, dopodiché
collocai il sacco a pelo sopra
l'imbottitura d'aria. Sfilai le scarpe e
mi ficcai nella trapunta di piume d'oca.
- Non dirmi che ti sei
rifugiato dentro il sacco a pelo
vestito.
- Sì, che c'è di strano?
- Niente.
- E tu?
- Io?
- Si, tu.
- Beh, te l'ho detto, non
sopporto di avere qualcosa addosso
quando vado a dormire.
- Non ci credo. - dissi
sempre più eccitato.
- Ne vuoi la prova o ti
basta la mia parola.
- La prova. - dissi.
Nella semioscurità della
tenda riuscii a scorgere l'ombra del suo
corpo avvolto nel sacco a pelo, soltanto
quella, mentre il viso era qualcosa di
indefinibile. Tutt'a un tratto avvertii
il fruscio provocato dal cursore di una
cerniera scorrere su una doppia fila di
dentini in metallo. Subito dopo la sua
mano prese la mia e la condusse a
contatto del suo corpo, là dove la
pelle era protetta da una fitta giungla
di peli.
- Allora, ne sei convinto?
Non diedi risposta; non ce
ne fu bisogno. Avvicinai le labbra alla
sua bocca e la baciai. Restammo a lungo
a crogiolarci nel limbo di una
travolgente passione, scambiando la
lingua nella bocca dell'altro.
- Spogliati. - disse.
Assecondai la sua richiesta
togliendomi gli abiti di dosso, poi
arrotolai il mio sacco a pelo sotto le
nostre teste.
Silvia sgusciò fuori dal
sacco a pelo e stese la trapunta sui
nostri corpi nudi.
La sua pelle era calda,
morbida, liscia, come me l'ero figurata
prima di entrare a contatto con il suo
giovane corpo. Mi ritrovai appiccicato,
cuore contro cuore, stretto a lei, in un
tenero abbraccio con le tumescenze delle
tette a premermi sul petto.
Lasciai che mi seducesse
sfiorandomi il petto con la bocca,
succhiandomi i capezzoli, affondando le
unghie sul torace, strusciando le cosce
sulle mie, facendo le fusa come una
gatta in calore. Incrociai più volte la
sua bocca prendendo possesso della
lingua, leccandola, adulandola come
fosse una gemma preziosa: e lo era per
davvero.
Quando mi prese il cazzo
nella mano e lo strinse avvertii un
forte desiderio di seppellirle la
cappella nella bocca, ma non diedi
seguito al mio istinto lasciando che
fosse lei a governare il nostro legame
amoroso.
La passione che Silvia
spese nella sua azione, nei gesti, nei
gemiti, e nelle parole che seguitò a
sussurrarmi all'orecchio erano
espressioni di un forte desiderio di
piacere sessuale.
Ficcarglielo in bocca,
ecco! Era lì, soltanto lì che
desideravo metterglielo, il cazzo.
- Succhiamelo. - dissi
facendo pressione con la mano sulla nuca
di Silvia.
Avvicinò le labbra alla
cappella stringendo il cazzo nella mano,
poi cominciò a coccolarlo girandoci
intorno con la lingua, lubrificandolo
con la saliva. Quando cominciò a
stringerlo fra le labbra, affondandolo
in gola, muovendo più volte il capo
avanti e indietro, incominciai a gemere
di piacere. Mi abbandonai al godimento
che sapeva donarmi la sua bocca e glielo
dissi.
- Mi fai godere. Mi fai
godere!
Silvia sembrò eccitarsi
ancora di più nell'udire le mie parole.
Strinse con maggiore forza il cazzo fra
le labbra e cominciò a carezzarmi le
palle solleticandomi con le dita l'ano.
Quando sentii premere le
dita sull'orifizio mi meravigliai non
poco, ancora di più quando cercò di
attraversare lo sfintere con un dito.
Mi lasciai andare a un
forte sussulto quando superò l'anello
dell'ano e incominciò a scoparmi nel
culo. Nessuno lo aveva mai fatto prima
di lei.
Provai uno strano piacere e
ne ebbi vergogna. Mi divincolai dalla
stretta, allontanai il cazzo dalla
bocca, dopodiché andai a mettermi
carponi fra le sue gambe divaricate. Fra
le cosce era bagnata fradicia. Intinsi
la lingua fra le labbra della vagina e
cominciai a leccarla privandola
dell'umore che fluiva dalla piccola
cavità.
Il clitoride era gonfio,
turgido, grosso come un cece. Lo avvolsi
fra le labbra e cominciai a succhiarlo
eccitato dai gemiti di piacere che
uscivano dalla bocca di Silvia che non
mancò di accompagnare con delle parole
i movimenti delle mie labbra mentre
succhiavo.
L'orgasmo di Silvia giunse
liberatorio accompagnato da una serie di
brividi in tutto il corpo. Cercò di
allontanarmi spingendomi il capo lontano
dalle sue cosce, ma non allontanai la
bocca dal clitoride, seguitai a
succhiarlo mentre mi supplicava di non
farlo.
- Smettila. Smettila... Mi
fai male! - disse.
Quando staccai la bocca per
scoparla si mise sopra di me, nella
posizione a smorzacandela, con le gambe
divaricate a cavallo del mio bacino.
Prese il cazzo nella mano e lo mise a
contatto della figa, poi lo infilò
dentro serrando le pareti della vagina
attorno il mio sesso.
Mentre la scopavo prese a
lambirmi con le dita le areole dei
capezzoli e io feci altrettanto
carezzandole le tette, pizzicando a più
riprese i capezzoli fino a farla urlare
di dolore o piacere, non lo so.
Nella semioscurità non
riuscivo a vedere il suo volto, intuivo
solo i lineamenti, le ombre, ma riuscivo
a cogliere la passione che infiammava di
desiderio il suo giovane corpo. Quando
fui prossimo a venire glielo dissi.
- Vengo... Vengo... -
urlai.
Silvia si staccò da me e
lasciò cadere la bocca sulla cappella
facendo entrare lo sperma nella bocca,
poi mi baciò.
Alle sette di mattina, dopo
una intera notte trascorsa a fare
l'amore, decidemmo di partire verso
l'Italia prima che la gendarmeria
francese chiudesse la strada al traffico
per dare il via alla tappa.
Discendemmo i quattordici
chilometri che da l'Alpe d'Huez
conducono a Le Bour-d'Oisans, ognuno
alla guida della propria autovettura,
poi proseguimmo verso Briançon. In una
caffetteria del Colle del Monginevro
consumammo la colazione, dopodiché ci
salutammo in modo definitivo senza
scambiarci nessuna promessa di
rivederci.
Dopo la vittoriosa scalata
Marco Pantani tornò a essere vincitore
sulla stessa cima due anni dopo, nel
1997, poi fu la volta di Giuseppe
Guerini nel 1999, di Lance Armstrong nel
2001, di Iban Mayo nel 2003 e infine di
Lance Armstrong nel 2004.
Negli ultimi dieci anni ho
presenziato a tutte le edizioni di tappa
piazzando la tenda nel medesimo posto,
vicino al laghetto, dove l'avevo
piantata accanto a quella di Silvia, con
la speranza di incontrarla, purtroppo
non è si più fatta vedere. Quest'anno
il Tour arriverà all'Alpe d'Huez e io
sarò là ancora una volta.
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