AU PAS DE COURSE
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

         Il Giro d'Italia è da sempre sinonimo della primavera mentre il Tour de France lo è dell'estate. L'estate è il mese di luglio, quando il caldo è torrido, il ritmo della vita scorre lento, la gente si mostra nuda nelle spiagge, e le giornate sembrano non finire mai. 
   Avevo lasciato Parma nel primo pomeriggio per raggiungere l'Alpe d'Huez intenzionato ad assistere all'arrivo di tappa del Tour de France. Nel bagagliaio della station-wagon, oltre alla bici da corsa, mi ero premurato di collocare la tenda da campeggio, un sacco a pelo, e tutto l'occorrente per dormire all'aperto in compagnia di migliaia di cicloturisti che sarebbero convenuti all'Alpe d'Huez da tutta Europa. 
   L'Alpe d'Huez, al pari del sassoso Galibier e dei nebbiosi Tourmalet e Aubisque, appartiene al novero delle salite che hanno fatto grande la storia del Tour de France. 
   La strada che da Le Bour-d'Oisans s'inerpica sui fianchi rocciosi della montagna, e conduce alla famosa stazione turistica, è lunga soltanto quattordici chilometri, ma comporta molte difficoltà per chi l'affronta in sella alla bicicletta. 
   E' una salita magica, taglia gambe, spietata, che non concede un attimo di respiro, con una pendenza media del 10%, ed è una salita che consegna sul volto di chi la porta a termine le tracce di una immane fatica. 
   Dopo avere viaggiato per tutto il pomeriggio raggiunsi l'abitato dell'Alpe d'Huez (classico esempio d'imbruttimento di una splendida conca alpina rovinata dalla cementificazione e dalla presenza di funivie e skilift) verso l'imbrunire. 
   Le aree adibite a parcheggio erano stipate all'inverosimile di autovetture, camper e roulotte. Sistemai la station-wagon su di un prato, in prossimità di un laghetto alpino, a poca distanza dalla stazione di partenza di una funivia, dopodiché mi premurai di scaricare il materiale che mi ero portato appresso per il pernottamento. Impiegai pochi minuti a sistemare la tenda a igloo. Prelevai dal bagagliaio della station-wagon il sacco a pelo e il materassino su cui avrei trascorso la notte.
   Stavo gonfiando il materassino nelle vicinanze della tenda quando mi avvidi della presenza di una ragazza a pochi metri dalla mia postazione. Era seduta davanti a una tenda canadese dal telo argentato e guardava nella mia direzione.
   Aveva le ginocchia piegate con le cosce appoggiate contro l'addome. Un paio di calzoni corti davano rilievo a un paio di gambe lunghe e affusolate.
   Il colore dei capelli, raccolti a coda di cavallo, di un biondo platino, le conferivano un aspetto da donna nordica: svedese, danese o magari tedesca. Questa fu l'impressione che ne ricevetti.
   Mostrava d'avere una trentina di anni; solo qualcuno meno dei miei. Nella mescolanza disordinata di persone che abitavano l'accampamento sembravamo due pesci fuor d'acqua, nella solitudine delle nostre tende da campeggio. Quando si accorse che la stavo osservando scostò il capo di lato e trovò rifugio dentro la tenda.
   A mezzanotte dopo essere andato a zonzo per il paese e assaporato il clima di festa che furoreggiava nella cittadina, affollata all'inverosimile da un gran numero di turisti, tornai alla tenda. M'infilai nel sacco a pelo, senza togliermi di dosso jeans e maglione, e mi addormentai quasi subito. 
   Le luci dell'alba mi destarono dal sonno in cui ero sprofondato la sera precedente. Rimasi accucciato dentro la trapunta di piume d'oca del sacco a pelo in uno stato di dormiveglia, poi mi immersi nella lettura di un libro fintanto che la voglia di fare pipì mi convinse a uscire dalla tenda.
   La giornata era splendida. Il cielo, sgombro di nubi, era di una tinta simile al blu; rare volte mi è capitato di vedere un cielo con quella gradazione di colore.
   Con le ciabatte ai piedi m'incamminai verso uno dei gabinetti appositamente attrezzati dalle autorità comunali per soddisfare i bisogni fisiologici delle persone acquartierate nelle tende.
   Al ritorno nell'accampamento incappai nella ragazza dai capelli biondi che avevo intravisto la sera precedente seduta davanti alla tenda a poca distanza dalla mia.
   Il volto, solo quello, usciva fuori dalla cerniera che serviva a chiudere e aprire l'ingresso della tenda canadese. Le sorrisi e proseguii oltre, ma subito dopo una voce di donna richiamò la mia attenzione.
   - Monsieur... Monsieur!
   Girai il capo nella direzione della voce, anche se mi sembrò abbastanza strano che qualcuno si rivolgesse a me.
   - Non parlo francese. Mi spiace. - dissi rivolto alla ragazza.  
   - Sei italiano?
   - Sì. - dissi sorpreso dalla inflessione veneta della voce della ragazza
   - Anch'io sono italiana, di Verona.
   - Io di Parma.
   - Ho bisogno di una cortesia, se puoi farmela.
   - Anche due se posso esserti utile.
   - Ho un problema, un grosso problema.
   - Dimmi.
   Piegai le ginocchia fino a toccare terra con l'estremità delle mani e mi ritrovai col muso di fronte al suo viso.
   - Non metterti a ridere, ti prego.
   - No, te lo assicuro.
   - Mi è accaduto un piccolo incidente e non so come uscirne fuori.
   - Quale?
   - Quando sono andata a dormire ho lasciato gli abiti e la biancheria intima sul prato davanti alla tenda. Stanotte qualcuno ci ha vomitato sopra e ha imbrattato jeans, maglione e tutto il resto, rendendoli pressoché inservibili. - disse indicando il cumulo di vestiti impiastricciati di vomito ammucchiati fuori dalla tenda. - Ora sono senza nulla addosso. Saresti così gentile da prendere la borsa sportiva che ho nel bagagliaio della macchina e portarmela qui?
   - Va bene! Ci penso io, stai tranquilla. 
   - La vettura è quella. - disse indicando una Volvo station-wagon distante una decina di metri alle mie spalle. - La borsa la trovi nel portabagagli.
   - Provvedo subito. - dissi prendendo in consegna la chiave che apriva la serratura della vettura.
   Quando feci ritorno dalla ragazza collocai la borsa sportiva davanti l'ingresso della tenda, dopodiché mi accovacciai sui talloni e mi ritrovai davanti alle guance del suo viso, seminascosto fra due lembi di cerniera della tenda per non farsi vedere nuda.
   - Davvero hai dormito senza nulla addosso? E non hai sofferto il freddo?
   - Ho un sacco a pelo che sprigiona più calore di una termocoperta. E poi non ho l'abitudine di tenere addosso reggiseno e mutandine quando vado a dormire, a volte non li porto nemmeno di giorno, pensa un po'! - disse senza manifestare alcun imbarazzo. - Ti ringrazio per avermi consegnato la borsa. Sei stato gentile.
   - E' stato un piacere conoscerti. - dissi. - Se ti occorre aiuto sai dove trovarmi. Ciao!
   - Ah, dimenticavo. Il mio nome è Silvia.
   - Il mio è Lorenzo. - dissi allontanandomi.
   Dentro la tenda a igloo mi liberai degli indumenti e indossai la salopette oltre alla maglia da ciclista. Subito dopo scaricai la bicicletta da corsa dal bagagliaio della station-wagon dove era custodita.
   Ero intento a calzare le scarpe da ciclista quando mi sentii chiamare dalla ragazza.
   - Vuoi tenermi compagnia a colazione?
   - Eh? - dissi girando il capo nella sua direzione.
   - Ti sto chiedendo se ti va di fare colazione in mia compagnia.
   Piegata sulle ginocchia dinanzi a un tavolo da campeggio Silvia era impegnata a prepararsi la colazione.
   - Sto scaldando il tè, ne vuoi una tazza?
   - Sì, grazie, se non ti è di disturbo.
   Mi avvicinai al tavolo. Presi posto sul prato davanti a un barattolo di marmellata di prugne e dei granetti di pane secco, associati a una tazza di tè fumante.
   - Hai intenzione di cimentarti nella salita? - dissi riferendomi alla divisa da ciclista che aveva indosso.
   - Sono venuta apposta.
   - Anch'io, e non è la prima volta che mi capita.
   - Ho sentito dire che è una salita ribelle, piena di difficoltà.
   - Dipende dal ritmo che s'imprime alla pedalata.
   - Qualcosa d'eccezionale deve possederla questa salita, non si spiegherebbe altrimenti lo straordinario consenso di pubblico radunato qui.
   - Di straordinario c'è soprattutto la gente che si assiepa lungo i tornanti.
   - Non capisco..
   - Nessun'altra granfondo potrà mai eguagliare i raduni spontanei di ciclisti nelle sedi di tappa alpine e pirenaiche del Tour. All'Alpe d'Huez convengono migliaia di cicloturisti da tutta Europa per affrontare senza spirito competitivo la salita, pedalando ognuno al proprio passo. Non credi sia fantastico tutto questo?
   - Sì, credo di sì.
   - Quando pensi di partire?
   - Fra mezz'ora. - dissi.
   - Posso fare la salita insieme a te?
   - Perché no?
   - Finiamo di consumare la colazione e subito dopo partiamo, va bene?
   - Sì.

   I primi due chilometri di arrampicata si dimostrarono micidiali, anzi da fare a pezzi i muscoli delle gambe. Nei pressi di La Garde, dopo quattro chilometri di salita, la pendenza della strada si attenuò e riprendemmo fiato, ma si trattò di una breve tregua perché la strada riprese subito a salire.
   Silvia stava appiccicata alla mia ruota e mostrava di mantenere facilmente l'andatura che avevo imposto all'arrampicata senza andare in affanno. 
   La pendenza della strada, seppure severa, non era di quelle impossibili, ma comunque in grado di affaticare chiunque non è in grado di dosare le forze, sennonché avevo ecceduto col ritmo della pedalata per fare bella figura con Silvia.
   La gente acquartierata sul ciglio della strada ci gratificò con frasi d'incitamento e qualche spinta sul sedere; per ovvi motivi più a Silvia che al sottoscritto, perché in sella la ragazza era davvero uno schianto con il suo culo a mandolino. 
   Stavo considerando l'eventualità di rallentare il ritmo della pedalata e riprendere fiato, quando la mia compagna di arrampicata mi affiancò e mise la ruota anteriore della bicicletta davanti alla mia.

   Curvo sulla schiena, le mani aggrappate al manubrio, incominciai ad ansimare in maniera scomposta, infastidito dalle gocce di sudore che mi scendevano copiose dalla fronte e finivano la corsa sugli occhi.
   Continuai a spingere con forza sui pedali, incollato alla ruota di Silvia di cui potevo ammirare le forme del culo, seppure privo di qualsiasi effetto stimolante sui muscoli delle mie gambe.
   Silvia pedalava senza scomporsi, con l'agilità di una gazzella. Io, al contrario, faticavo a mantenere il ritmo della sua pedalata. 
   Sopportai la bava alla bocca, il sudore, e il dolore ai muscoli delle gambe. Strinsi i denti e prosegui nella pedalata senza cedere un solo metro dalla sua ruota.
   In prossimità di un tornante, là dove la pendenza sembrò farsi più ostica, mi alzai sui pedali e incominciai a scuotere il sedere umido di sudore, poi ripresi l'arrampicata seduto sul sellino, con le mani tese sul manubrio.
   Incominciai a respirare a bocca aperta sbuffando per la mancanza di ossigeno. Silvia si avvide delle difficoltà in cui stavo dibattendomi e si girò verso di me.
   - Come va? - chiese preoccupata.
   - Bene... bene... - mentii spossato per la fatica.
   Nel momento in cui la strada riprese a salire manovrai la leva del cambio alleggerendo il ritmo della pedalata. Proseguimmo l'arrampicata appaiati, sostenuti nella immane fatica dagli incitamenti che ci provenivano dalla gente assiepata ai lati della strada.
   All'altezza di Huez, punto ostico del percorso, distante quattro chilometri dal traguardo, fui tentato di mettere il piede a terra.
   - Non fermarti, eh. - m'incitò Silvia.
   Non mi sentii umiliato quando stese la mano sulle mie natiche e incominciò a spingermi, anzi, il tocco della sua mano mi diede la forza necessaria per seguitare a pedalare.
   Raggiungemmo il lungo rettilineo su cui era posto il traguardo applauditi dalla folla di persone assiepate dietro le transenne.
   Superata la linea di arrivo arrestai la bicicletta e misi il culo a terra stremato per la fatica. Silvia mi abbracciò schioccandomi un paio di baci sulle guance.
   - Beh, è fatta! - disse.
   - Sì. E' fatta. - risposi esausto.
   Trascorremmo il resto del pomeriggio coricati sull'erba, a ridosso di un tornante della strada, guardando le persone che salivano a piedi e in sella alla bicicletta verso il traguardo.

   Il rumore delle pale degli elicotteri annunciò l'approssimarsi dei corridori. Erano da poco passate le 17.00 quando le motostaffette della gendarmeria francese transitarono davanti alla nostra postazione.
   Di colpo la gente andò a collocarsi a ridosso delle transenne per seguire da vicino il passaggio dei ciclisti. Io e Silvia rimanemmo seduti sul prato in una posiziona sopraelevata rispetto alla strada, collocazione che ci diede modo di scorgere un lungo tratto del percorso e una serie di tornanti in lontananza.
   Pantani "Il Pirata" transitò dinanzi alla nostra postazione per primo, acclamato dalla folla. Dopo un paio di minuti giunsero gli inseguitori distanziati di poche decine di secondi uno dall'altro. Infine per ultimo, dopo circa mezzora, transitò anche il gruppo dei velocisti; i più lenti a salire. Quando abbandonammo la nostra postazione il sole era tramontato oltre le cime delle montagne. 
   La strada che dall'Alpe d'Huez conduce al fondovalle era bloccata dalla gendarmeria nazionale. Gli agenti impedivano alle autovetture acquartierate all'Alpe di scendere a fondovalle dando modo alla folla assiepata nei quattordici chilometri del percorso di abbandonare le postazioni e scendere per primi.
   - A quanto pare non sarà per niente facile spostarsi da qui. Temo che soltanto verso mezzanotte gli agenti permetteranno alle auto di raggiungere il fondovalle sino a Le Bour-d'Oisans. E' accaduto anche negli anni scorsi.
   - E allora che si fa? - chiese Silvia.
   - Penso che stanotte dormirò di nuovo qui. L'avevo messo in preventivo quando sono partito da casa. E tu cosa pensi di fare?
   - Non lo so.
   Quando raggiungemmo il laghetto dove avevamo parcheggiato le autovetture c'erano rimaste poche tende da campeggio acquartierate, due erano le nostre.
   - Vado a cambiarmi, poi mi recherò in paese per mangiare qualcosa, spero di trovare posto in qualche ristorante. Tu che fai? - dissi.
   - Vengo con te, aspettami.
   Quando Silvia uscì dalla tenda aveva indosso una minigonna di jeans e una felpa blu. Non aveva i capelli raccolti a coda di cavallo, ma cadevano lisci sulle orecchie fino a toccarle le spalle.
    La prima cosa che mi venne in mente, scorgendola abbigliata in quel modo, fu di domandarmi se sotto la gonna avesse o meno le mutandine.
   - Andiamo? - disse.
   - Dovresti tirarti dietro la giacca a vento.
   - Dici?
   - Più tardi farà freddo.
   - Va bene, hai ragione tu.

   Ristoranti e tavole calde erano tutti affollati di gente. Snidammo un tavolo libero in un taverna greca, fuori mano, dove consumammo la cena.
   Durante il giorno avevamo parlato soltanto di cose frivole, a tavola invece parlammo molto di noi stessi in una atmosfera sospesa, con il tempo che trascorreva lento perché avevamo molte cose da dirci anche se non lo sapevamo.
   - Sei fidanzata?
   - Sì e no.
   - Perché?
   - Sono un tipo complicato, non sono una donna facile.
   - La vita in comune è complicata. Quando ho provato a mettermi insieme a una donna è stata una tragedia. Forse la soluzione migliore per un uomo e una donna è quella di vivere ciascuno per proprio conto, e incontrarsi per fare l'amore, andare a cena, al cinema e...
   - Non sono d'accordo, io ho bisogno di avere un uomo accanto a me. Non mi basta averne uno con cui scopare. L'unica cosa che pretendo è di non essere trattata per una che dice scemenze soltanto perché è donna.
   - Hai ragione. 
   Tutt'e due condividevamo la medesima voglia di raccontarci e non avremmo più voluto andarcene da lì. Lasciammo che le confidenze crescessero lente e inesorabili conquistando terreno nei nostri cuori.
   A mezzanotte abbandonammo il locale dopo esserci scolati più di un boccale di birra. Quando ci trovammo nell'accampamento presi congedo da lei e la salutai. Stavo allontanandomi quando mi sentii chiamare per nome.
   - Lorenzo... Lorenzo...
   Mi girai e guardai nella direzione di Silvia.
   - Perché non vieni a dormire nella mia tenda? Ci terremo compagnia. Vuoi?
   Rimasi silenzioso per qualche istante prima di risponderle, poi feci cenno di sì.
   - Recupero il sacco a pelo e sono lì da te.
   - Ti aspetto fra cinque minuti, però.
   - Va bene.
   Andai a rifugiarmi dentro la tenda a igloo col cuore in subbuglio, incredulo per l'invito inatteso ma reso così esplicito da Silvia.
   Il coso mi pulsava sotto i pantaloni, la pelle mi puzzava di sudore, e addosso avevo una grande voglia di scopare.
   Quando mi affacciai all'ingresso della tenda Silvia era accucciata nel sacco a pelo, sottratta alla mia vista dalla semioscurità della notte.
   - Vieni avanti, dai, non stare lì.
   - Ho portato anche il materassino. - dissi curvando il capo, mentre mi addentravo carponi nella tenda.
   - Bene, stendilo qui. Di fianco a me.
   Dispiegai il materassino sul fondo della tenda, dopodiché collocai il sacco a pelo sopra l'imbottitura d'aria. Sfilai le scarpe e mi ficcai nella trapunta di piume d'oca.
   - Non dirmi che ti sei rifugiato dentro il sacco a pelo vestito.
   - Sì, che c'è di strano?
   - Niente.
   - E tu?
   - Io?
   - Si, tu.
   - Beh, te l'ho detto, non sopporto di avere qualcosa addosso quando vado a dormire.
   - Non ci credo. - dissi sempre più eccitato. 
   - Ne vuoi la prova o ti basta la mia parola.
   - La prova. - dissi. 
   Nella semioscurità della tenda riuscii a scorgere l'ombra del suo corpo avvolto nel sacco a pelo, soltanto quella, mentre il viso era qualcosa di indefinibile. Tutt'a un tratto avvertii il fruscio provocato dal cursore di una cerniera scorrere su una doppia fila di dentini in metallo. Subito dopo la sua mano prese la mia e la condusse a contatto del suo corpo, là dove la pelle era protetta da una fitta giungla di peli.
   - Allora, ne sei convinto?
   Non diedi risposta; non ce ne fu bisogno. Avvicinai le labbra alla sua bocca e la baciai. Restammo a lungo a crogiolarci nel limbo di una travolgente passione, scambiando la lingua nella bocca dell'altro.
   - Spogliati. - disse.
   Assecondai la sua richiesta togliendomi gli abiti di dosso, poi arrotolai il mio sacco a pelo sotto le nostre teste.
   Silvia sgusciò fuori dal sacco a pelo e stese la trapunta sui nostri corpi nudi.
   La sua pelle era calda, morbida, liscia, come me l'ero figurata prima di entrare a contatto con il suo giovane corpo. Mi ritrovai appiccicato, cuore contro cuore, stretto a lei, in un tenero abbraccio con le tumescenze delle tette a premermi sul petto.
   Lasciai che mi seducesse sfiorandomi il petto con la bocca, succhiandomi i capezzoli, affondando le unghie sul torace, strusciando le cosce sulle mie, facendo le fusa come una gatta in calore. Incrociai più volte la sua bocca prendendo possesso della lingua, leccandola, adulandola come fosse una gemma preziosa: e lo era per davvero.
   Quando mi prese il cazzo nella mano e lo strinse avvertii un forte desiderio di seppellirle la cappella nella bocca, ma non diedi seguito al mio istinto lasciando che fosse lei a governare il nostro legame amoroso.  
   La passione che Silvia spese nella sua azione, nei gesti, nei gemiti, e nelle parole che seguitò a sussurrarmi all'orecchio erano espressioni di un forte desiderio di piacere sessuale.
   Ficcarglielo in bocca, ecco! Era lì, soltanto lì che desideravo metterglielo, il cazzo. 
   - Succhiamelo. - dissi facendo pressione con la mano sulla nuca di Silvia.
   Avvicinò le labbra alla cappella stringendo il cazzo nella mano, poi cominciò a coccolarlo girandoci intorno con la lingua, lubrificandolo con la saliva. Quando cominciò a stringerlo fra le labbra, affondandolo in gola, muovendo più volte il capo avanti e indietro, incominciai a gemere di piacere. Mi abbandonai al godimento che sapeva donarmi la sua bocca e glielo dissi. 
   - Mi fai godere. Mi fai godere!
   Silvia sembrò eccitarsi ancora di più nell'udire le mie parole. Strinse con maggiore forza il cazzo fra le labbra e cominciò a carezzarmi le palle solleticandomi con le dita l'ano.
   Quando sentii premere le dita sull'orifizio mi meravigliai non poco, ancora di più quando cercò di attraversare lo sfintere con un dito.
   Mi lasciai andare a un forte sussulto quando superò l'anello dell'ano e incominciò a scoparmi nel culo. Nessuno lo aveva mai fatto prima di lei.
   Provai uno strano piacere e ne ebbi vergogna. Mi divincolai dalla stretta, allontanai il cazzo dalla bocca, dopodiché andai a mettermi carponi fra le sue gambe divaricate. Fra le cosce era bagnata fradicia. Intinsi la lingua fra le labbra della vagina e cominciai a leccarla privandola dell'umore che fluiva dalla piccola cavità.
   Il clitoride era gonfio, turgido, grosso come un cece. Lo avvolsi fra le labbra e cominciai a succhiarlo eccitato dai gemiti di piacere che uscivano dalla bocca di Silvia che non mancò di accompagnare con delle parole i movimenti delle mie labbra mentre succhiavo.
   L'orgasmo di Silvia giunse liberatorio accompagnato da una serie di brividi in tutto il corpo. Cercò di allontanarmi spingendomi il capo lontano dalle sue cosce, ma non allontanai la bocca dal clitoride, seguitai a succhiarlo mentre mi supplicava di non farlo.
   - Smettila. Smettila... Mi fai male! - disse.
   Quando staccai la bocca per scoparla si mise sopra di me, nella posizione a smorzacandela, con le gambe divaricate a cavallo del mio bacino. Prese il cazzo nella mano e lo mise a contatto della figa, poi lo infilò dentro serrando le pareti della vagina attorno il mio sesso.
   Mentre la scopavo prese a lambirmi con le dita le areole dei capezzoli e io feci altrettanto carezzandole le tette, pizzicando a più riprese i capezzoli fino a farla urlare di dolore o piacere, non lo so.
   Nella semioscurità non riuscivo a vedere il suo volto, intuivo solo i lineamenti, le ombre, ma riuscivo a cogliere la passione che infiammava di desiderio il suo giovane corpo. Quando fui prossimo a venire glielo dissi.
   - Vengo... Vengo... - urlai.
   Silvia si staccò da me e lasciò cadere la bocca sulla cappella facendo entrare lo sperma nella bocca, poi mi baciò. 

   Alle sette di mattina, dopo una intera notte trascorsa a fare l'amore, decidemmo di partire verso l'Italia prima che la gendarmeria francese chiudesse la strada al traffico per dare il via alla tappa.
   Discendemmo i quattordici chilometri che da l'Alpe d'Huez conducono a Le Bour-d'Oisans, ognuno alla guida della propria autovettura, poi proseguimmo verso Briançon. In una caffetteria del Colle del Monginevro consumammo la colazione, dopodiché ci salutammo in modo definitivo senza scambiarci nessuna promessa di rivederci.

   Dopo la vittoriosa scalata Marco Pantani tornò a essere vincitore sulla stessa cima due anni dopo, nel 1997, poi fu la volta di Giuseppe Guerini nel 1999, di Lance Armstrong nel 2001, di Iban Mayo nel 2003 e infine di Lance Armstrong nel 2004.
   Negli ultimi dieci anni ho presenziato a tutte le edizioni di tappa piazzando la tenda nel medesimo posto, vicino al laghetto, dove l'avevo piantata accanto a quella di Silvia, con la speranza di incontrarla, purtroppo non è si più fatta vedere. Quest'anno il Tour arriverà all'Alpe d'Huez e io sarò là ancora una volta.

 

 
 

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