SABBIA
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

       Sovente mi capita di ricevere inviti a cena da studenti, iscritti alla facoltà di medicina e chirurgia, che svolgono il tirocinio nella clinica dove presto servizio come infermiera. Sono restia ad accettare un loro invito, ma con Silvano avevo fatto una eccezione.
   Dopo avere trascorso la mattina in clinica ero sfinita, sull'orlo di una crisi di nervi, ero pentita di avere accettato l'invito a cena. Invece furono sufficienti tre ore di riposo, trascorse a dormire durante il pomeriggio, per ritemprarmi dalle fatiche e recuperare nuova linfa vitale.
   Erano da poco passate le sette di sera quando misi piede nel box della doccia. Il getto d'acqua calda servì a dilatare i pori della pelle per renderla morbida e vellutata. Feci scivolare la saponetta sulla pelle, soffermandomi sulla fica e le tette, particolarmente sensibili al tatto delle mie dita. Accarezzai i capezzoli e nel farlo avvertii un piacevole stato di benessere, specie quando toccai le estremità compattate dal getto d'acqua.
   Non rimasi troppo tempo sotto la doccia. Evitai di masturbarmi come mi capita di fare quando sono nervosa oppure devo recarmi a un appuntamento galante. Eliminai le tracce di sapone depositate sulla pelle e scivolai fuori dal box per asciugarmi. Da un cassetto del comò sottrassi un intimo in pizzo nero, trasparente quanto basta da eccitare persino un moribondo. Un tessuto che non aveva niente da invidiare a quelli della Perla, soprattutto per l'effetto che faceva su di me. Avevo una voglia matta di scopare, e poi contavo sul fatto che anche Silvano ne avesse altrettanta perché in questo caso avremmo fatto furore.
   Rassodai le tette, impacchettate nelle coppe del reggiseno, utili a spingerle verso l'alto, dopodiché indossai la gonna e una camicetta. Infine calzai delle scarpe con tacco da dieci e nient'altro. Alle otto precise, dopo essermi imbellettata il viso, ero pronta a uscire di casa. Per ultimo mi diedi una spruzzata di profumo fra le cosce, là dove non arriva il sole.
   Silvano era ad aspettarmi al bar Principe, poco distante dalla rampa d'accesso del Pronto Soccorso. Parcheggiai l'Opel Tigra a scavalco sul marciapiede, davanti al bar, e mi avvicinai al mio corteggiatore.
   - Ciao! - disse quando mi vide.
   Si alzò dalla sedia e ci scambiammo un doppio bacio sulle guance, dopodiché presi posto a sedere di fronte a lui. Era elegante da fare schifo, indossava giacca e pantaloni grigio antracite e una cravatta di colore turchino. Non sono abituata a passare le serate in compagnia di raffinati fighetti, e poi detesto gli uomini profumati in modo eccessivo come lo era lui quella sera.
   Avevo accettato di uscire in sua compagnia perché l'avevo giudicato un tipo alla mano, a differenza di molti suoi colleghi che in ogni occasione mostravano d'avere la puzza sotto il naso. In clinica l'avevo sempre visto con jeans e giubbotto di pelle, invece quella sera me l’ero trovato davanti con al polso un Rolex Daytona.
   - Cosa facciamo stasera? - fu la prima domanda che mi venne spontanea rivolgergli.
   - Hai qualche idea? - disse dando risposta alla mia richiesta.
   - No. Andiamo a cena?
   - Ti piacerebbe andare al mare?
   - Eh?
   - In poco più di un'ora raggiungiamo Marina di Carrara.
   - Ma...
   - Che turno fai domani?
   - Il pomeriggio.
   - Bene! Così domani mattina potrai rimanere a letto fino a mezzogiorno e riposarti.
   - Pensavo di trascorrere una serata tranquilla, invece...
   - Andiamo, dai, ho la macchina nel parcheggio dell'ospedale. Lascia qui la tua vettura, la riprenderai al nostro ritorno.
   Esitai prima di accettare la sua proposta, ma la voglia di trasgredire era più forte della stanchezza che mi portavo addosso. Accettai di seguirlo anche perché avevo troppo voglia di scopare e sarei andata in capo al mondo se me lo avesse chiesto.

   A quell'ora l'Autocamionale della Cisa era pressoché sgombra di automezzi. I fari del Bmw su cui avevo preso posto perforavano il buio della notte illuminando i catarifrangenti rossi e gialli posti ai bordi della strada. L'auto procedeva a velocità sostenuta sui viadotti battuti dal vento passando attraverso valli e profondi canaloni. Le montagne c'inghiottivano dentro interminabili gallerie mentre ci spostavamo diretti verso il mare. 
   Qualche autoarticolato, in eccesso di peso, ci fu d'intoppo nei tratti in forte pendenza della autostrada e rese più lenta la nostra corsa. La voce di Biagio Antonacci e quella dei Tiro Mancino imbottirono l'abitacolo di note musicali per tutta la durata del viaggio.
   Silvano, nonostante il nauseante profumo che si portava addosso, si mostrò allegro e di compagnia. Seguitò a parlare per tutto il viaggio fintanto che raggiungemmo Santo Stefano Magra. Lì abbandonammo l'autostrada per raggiungere il litorale ligure e subito dopo quello toscano.
   Il lungo mare di Marina di Carrara non era affollato di gente come nei mesi estivi. Il clima di uno straordinario ottobre mite, caratterizzato dalle alte temperature, era stato un invito a uscire da casa per godere della magnifica serata.
   L'odore di salsedine che avvertii alle narici appena scesi dalla vettura fu una lieta sorpresa. Ci mettemmo a camminare lungo uno dei viali del lungomare affiancati come fossimo soltanto due amici. Dopo un po' che camminavamo Silvano si fece più intraprendente e mi circondò un fianco con una mano. Lo lasciai fare augurandomi che fosse solo l'inizio di una intimità che ci avrebbe condotto a scopare, se mai si fosse deciso a provarci.
   - Hai fame? Andiamo a mangiare qualcosa? - disse indicandomi la vetrina di un ristorante dall'altra parte della strada.
   - No, andiamo verso la spiaggia, dai. Ho voglia di stare a guardare il rifrangersi delle onde del mare sulla battigia.

   Gli stabilimenti balneari erano circondati da barriere invalicabili erette con lamiere e assi di legno, disposte verticalmente, messe lì a protezione dei fabbricati per evitare incursioni ladresche, ma soprattutto a protezione delle onde del mare che potevano arrivare fino agli stabilimenti nel caso di forti mareggiate. Individuammo uno dei rari punti in cui era possibile accedere liberamente alla spiaggia e raggiungemmo il mare.
   - E' meglio che mi liberi delle scarpe. - dissi quando raggiungemmo la spiaggia. - I tacchi affondano nella sabbia. Se le tengo ai piedi rischio di cadere e farmi male.
   - Io non ho di questi problemi, per fortuna, ma se decidiamo di camminare sulla battigia allora le tolgo anch'io.
   - Sì, dai, andiamo là.
   Il rumore delle onde che s'infrangevano sulla riva mi misero addosso un po' di malinconia. Avrei voluto vivere la nottata in piena libertà, scopando senza troppi problemi. Più di tutto desideravo essere ammansita da un paio di braccia che mi cingevano il corpo carezzandomi teneramente. In quei momenti non mi riuscì di capire cosa stesse aspettando a baciarmi. Non vedevo l'ora d'essere coccolata, ma non volevo essere io a dirgli che mi sentivo sola da morire e avevo voglia di qualcuno che mi scopasse per lenire le mie pene.
   Raggiungemmo la battigia e restammo a guardare il moto delle onde che si spegnevano una dopo l'altra sulla riva, dopodiché camminammo con i piedi immersi nell'acqua per un lungo tratto d'arenile, abbracciati una all'altro, mentre la luna nel suo primo quarto illuminava in maniera inadeguata la spiaggia lasciandola pressoché al buio.
   - Potremmo immergerci in acqua e fare il bagno. Che ne pensi? - proposi con un po' di faccia tosta.
   - Eh?
   - Dai, spogliamoci e tuffiamoci in acqua.
   - Stai scherzando, vero?
   - No, accidenti! Dico sul serio.
   - Ma tu sei pazza, siamo in ottobre, mica in estate.
   - L'acqua non è fredda, ci facciamo una nuotata e torniamo subito a riva, dai.
   - Non abbiamo neanche il costume.
   - Che importa facciamo il bagno nudi, no?
   - Sì, certo per questo non c'è problema, ma...
   Non rimasi ad aspettare che escogitasse altre scuse, cominciai a sbottonarmi la camicetta e proseguii a denudarmi togliendomi la gonna. Esitai un istante prima di liberarmi del reggiseno, poi lo lasciai cadere a terra sugli abiti accatastati sulla sabbia. Prima di correre verso riva e tuffarmi nel mare, lasciai cadere le mutandine e subito dopo mi allontanai da Silvano. 
   L'acqua era fredda più di quanto avevo supposto. Proseguii nel mio cammino fintanto che l'acqua mi giunse alla cintola, dopodiché mi tuffai fra le onde. Eseguii alcune bracciate trattenendo il fiato. Smisi di nuotare e mi fermai dove toccavo con i piedi il fondale. In quel punto l'acqua del mare mi giungeva alle spalle.
   L'acqua gelida mi indurì i capezzoli. Incominciai a tremare e mi ritrovai con la pelle d'oca. Girai lo sguardo verso riva e intravidi Silvano intento a venirmi incontro. Nudo era un bel vedere, anche se le tenebre nascondevano molte parti del suo giovane corpo. Mi raggiunse e con voce tremante mi confidò che aveva freddo. Col palmo della mano schiaffeggiai la superficie dell'acqua e gli bagnai la parte del corpo ancora asciutta.
   - Basta! Torno a riva, non resisto un minuto di più in acqua.
   - Che fighetto sei.
   - Fighetto un corno, non ho intenzione di prendermi la polmonite, dovresti fare ritorno a riva anche tu.
   Mentre Silvano stava facendo ritorna verso riva mi inabissai nell'acqua. Eseguii delle lunghe bracciate e mi spinsi al largo. Feci ritorno sulla spiaggia dopo una decina di minuti intirizzita dal freddo.
   Silvano se ne stava sdraiato per terra, bocconi, col culo esposto verso l'alto.
   - Mamma mia che freddo fa! - dissi mentre tremavo come una foglia al vento.
   Mi sdraiai accanto al mio compagno in cerca di un poco di calore, ma anche lui era scosso da brividi di freddo.
   - Arrotoliamoci nella sabbia, dai. Servirà ad asciugarci! - suggerii.
   Lasciammo che i nostri corpi si rotolassero sulla spiaggia vestendoci la pelle di minuscoli granelli di sabbia nel tentativo di asciugarci dall'acqua. Portammo a termine una infinità di giravolte fintanto che i nostri visi vennero a scontrarsi e ci trovammo sul fianco una accanto all'altro. Percepii il calore del suo respiro contro la mia bocca e la vicinanza del suo corpo arricchì la voglia che avevo di scopare. Lui lo intuì perché avvicinò le labbra alle mie e mi baciò, da prima in maniera delicata poi con maggiore passione.
   Ci ritrovammo con i corpi appiccicati uno all’altro e con la sabbia che faceva da collante. Percepii la consistenza del cazzo premermi contro l'addome e mi prese una dannata voglia di stringerlo nella mano, invece mi astenni dal farlo. Mi abbandonai fra le braccia di Silvano e lasciai che mi accarezzasse le tette accalorandosi nel lambirmi i capezzoli con l'estremità delle dita.
   Mi baciò allo stesso modo che avevano fatto molti altri uomini prima di lui. A nulla sarebbe servito fare dei paragone con chi lo aveva preceduto perché quello di cui avevo voglia era soltanto di scopare, riservando per me la parte del suo corpo più preziosa, mentre il mio corpo era tutto per lui.
   Silvano mi fece stendere con la schiena sulla sabbia e salì sopra di me. Allargai le cosce e lasciai che mi penetrasse nella vagina nel modo più semplice che tutt'e due conoscevamo. Premetti i calcagni, ricoperti di sabbia, sopra i suoi glutei e accompagnai i movimenti del suo bacino mentre affondava il cazzo dentro di me.
   - Godo! Cazzo se godo! - urlai sorprendendolo.
   Premette la bocca sulla mia e seguitammo a baciarci senza smettere un solo istante di scopare. Tutt'a un tratto avvicinò le mani sulle tette e cominciò a pizzicarmi i capezzoli.
   Il piacere che provo ogni volta che un uomo fa questo gesto mentre scopiamo non ha eguali. Godevo e speravo di protrarre all'infinito quegli attimi di felicità. Tutt'e due eravamo in affanno, respiravamo a fatica e con la pelle d'oca. Mi lasciai guidare dai movimenti del suo corpo trascinata in un vortice di passione mentre il cazzo affondava dentro di me.
   - Sì... sì... fammi godere! - supplicai Silvano.
   Mentre mi scopava speravo soltanto che non raggiungesse troppo presto l'orgasmo, ma prolungasse quegli istanti di piacere mantenendo l'uccello sempre duro. Più di una volta fui prossima a raggiungere l'orgasmo, ma non ci riuscii. Per farlo avevo bisogno di scopare con un uomo che mi trattasse da puttana, anziché con tenerezza come succede alla maggioranza delle donne. Allora glielo dissi stupendolo non poco.
   - Dimmi che sono una puttana? Dai, dimmelo... dimmelo.
   - Eh?
   - Devi dirmi che sono una troia. Fammi godere... fammi godere. - lo supplicai.
   - Ma sei sicura?
   - Uffa! Dai, dimmi che sono una troia!
   Le parole che iniziò a rovesciarmi addosso, dietro mia sollecitazione, da prima con un certo timore, poi con livore, sembrarono liberarlo del candore che aveva contrassegnato il suo comportamento fino a quel momento.
   - Troia! Troia! Sei una grande ciucciacazzi, ecco quella che sei. Dillo... che la sei... eh!
   - Sì, la sono. La sono. E' vero. - Urlai mentre ero prossima all'orgasmo.
   Raggiunsi l'acme del appagamento prima che Silvano ci arrivasse lui. Gli urlai addosso tutto il piacere che stavo provando stringendogli il cazzo nella vagina. Quando fu prossimo a venire mi adoperai affinché Silvano si girasse sul dorso allontanandolo da me. Feci appena in tempo a prendergli il cazzo fra le labbra che lo sperma si riversò nella mia bocca.

   Al nostro ritorno in città l'alba era spuntata da poco. Silvano mi fece scendere dal Bmw dinanzi alla serranda chiusa del bar Principe dove avevo lasciato la mia vettura. Ci accomiatammo sfiorandoci le labbra con un ultimo bacio. Della sua persona non mi importava granché. D'importante c'era che per una sera aveva soddisfatto il mio piacere, quello e nient'altro.

   Molti uomini mi giudicano una ragazza spregiudicata e senza troppi problemi. Più di una volta mi sono domandata a cosa serve vivere liberi senza l'amore. Perché è quello di cui ho tanto bisogno.

 

 

 
 

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