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AGNESE
LA ROSSA
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
A ugusto
aveva trascorso la mattinata, chinato sui
libri, seduto a un tavolo della biblioteca
della facoltà di medicina. Fra tutti
gli esami da sostenere quello di
anatomia umana era un vero macigno,
infatti, la maggioranza degli studenti
lo riteneva quasi insormontabile.
Dopo circa sei mesi di
studio, con lo sguardo fisso sugli
atlanti di anatomia, non vedeva l'ora di
presentarsi dinanzi alla commissione
d'esame per rispondere alle domande dei
commissari, dopodiché, qualunque fosse
stato il risultato, avrebbe trovato
rifugio nella casa al mare di proprietà
dei genitori. Soltanto a fine estate
avrebbe fatto ritorno in città per
riprendere gli studi.
Quando poco dopo
mezzogiorno fece ritorno alla propria
abitazione non ebbe bisogno di levare
dalla tasca il mazzo delle chiavi per
aprire il portone del condominio.
Il portone si spalancò e si trovò di fronte Agnese. La ragazza ostentava un viso
assonnato, seppure mascherato dal
trucco, comunque delizioso anche in
quello stato.
Maglietta bianca, con in
bella evidenza la sagoma delle tette
prive di reggiseno, minigonna
nera, stivaletti che le coprivano le
ginocchia, era tutto quello che portava
addosso. I capelli rossi e mossi,
passati da parte a parte dai raggi dal
sole di mezzogiorno, spandevano dei
bagliori che la facevano apparire
irreale.
Prima che potesse ritrarsi lo abbracciò e lo baciò sulla
bocca. Era un bacio intimo, caldo, e per
niente velato quello che gli diede, come
solo lei ne era capace. Staccarono le
labbra quasi contemporaneamente e fu lei
a rivolgergli per prima la parola.
- Hai da fare? Ti va di
venire con me?
- Dove?
- Vado a fare colazione al
bar qui accanto. Mi tieni compagnia?
Sempre se ti va, eh.
- A quest'ora potrei
accettare un aperitivo. E' già l'ora di
pranzo. - disse Augusto guardando l'orologio al
polso. - Ma per te posso fare una
eccezione.
- Grazie, troppo buono.
- A proposito, a che ora
sei andata a letto stanotte?
- Alle quattro, credo,
perché?
- Hai un faccia!
- Davvero? - rispose
rabbuiata in volto.
- Hai avuto molto lavoro?
- Uhm... non mi posso
lamentare. Mica sarai geloso eh?
Augusto non le rispose, ma
l'affiancò sul marciapiede mentre si
incamminavano verso la caffetteria, poco
lontano dal condominio dove abitavano.
Stava per chiederle se
aveva dormito bene quando lo
investì con una domanda.
- Credi che i sogni
nascondano dei significati?
- Non lo so. Non sono
pratico di queste cose. Studio medicina,
mica psicologia. Perché mi fai questa
domanda?
- Perché sono una donna
che sogna molto di frequente. E poi
faccio sempre gli stessi sogni, ma forse
dovrei chiamarli incubi. Non te ne ho
mai parlato prima di oggi, ma credimi se
dico che non è bello svegliarsi dopo
avere fatto sogni come i miei.
- Posso sapere che sogni
fai? Mi hai incuriosito.
- Sono sogni strani.
Incubi! Sogno che sono nuda e cammino
per la strada di una città che non
conosco. Non mi stupisce l'essere nuda,
ormai ci ho fatto l'abitudine a
spogliarmi davanti agli uomini, ma non
so come ci sono capitata lì. Insomma
non ricordo mai cosa stavo facendo prima
di ritrovarmi nuda. E' questo che mi
spaventa di più.
- Nuda, nuda?
- A volte con indosso le
sole mutandine, altre con anche il
reggiseno, ma il più delle volte sono
completamente nuda.
- E la strada è sempre la
stessa?
- Non ci ho mai fatto caso,
ma sono strade deserte, con le
saracinesche dei negozi abbassate. E poi
mi prende l'angoscia perché ogni volta,
d'improvviso, mi ritrovo con molta gente
d'intorno. Cerco di nascondere le
mie nudità alla loro vista per paura di
essere derisa e mi copro con l'unica
cosa che ho a disposizione; le mie mani,
ma nessuno sembra fare troppo caso alla mia
persona.
Ogni volta non trovo mai un
abito con cui coprirmi e rimango sempre
nuda e ho paura. Mi sveglio e ho paura
della paura.
- A me capita raramente di
sognare, quando mi succede è perché ho
ecceduto nel bere o nel mangiare, allora
faccio dei sogni angoscianti oppure ho
delle visoni mostruose, altrimenti non
sogno mai.
- Ne sei sicuro? Io non lo
credo. Tutti sogniamo continuamente.
- Te l'assicuro.
- Ma una ragione deve pure
esserci se i miei sogni sono così
ricorrenti e tutti uguali l'uno
all'altro.
- Forse la ragione la puoi
cercare nel mestiere che fai.
- Può darsi. - rispose
Agnese abbozzando un sorriso malizioso.
- E se la vita fosse soltanto un lungo
sogno? Hai mai pensato a questa
eventualità?
- No.
- Sono convinta che i sogni
non siano del tutto astratti, ma parte
integrante della realtà. Ma non sto
parlando dei sogni che si fanno durante
il sonno, come quelli di cui ti ho
parlato poc'anzi, piuttosto di quelli
che hanno a che fare con le nostre
aspirazioni e desideri, oppure ai
pensieri che ci ronzano continuamente
per la testa e appartengono soltanto a
noi stessi.
- Ti sei alzata male, eh?
Dimmi la verità.
- Che stronzo...
- E va bene, dai, allora
quello che posso dirti è che non so
dare nessuna risposta alla tua domanda.
Mi chiedi se i sogni sono astrazione o
realtà, beh, quello che penso è che i
sogni fanno parte della nostra vita e
che dobbiamo coglierne le parti più
belle e cercare di renderle vive
attraverso il nostro desiderio. Tutto
qui.
La fermata dell'autobus si
trovava dall'altra parte della strada
rispetto alla caffetteria dove Agnese e
Augusto si erano appartati a un tavolo.
Dalla loro postazione, a ridosso del
marciapiede, potevano osservare il
passeggio della gente che transitava
davanti alla caffetteria. Quando la
cameriera fece ritorno al tavolo per
soddisfare l'ordinazione di un caffè e
di un bitter analcolico, Augusto trovò
il coraggio di rivolgersi ad Agnese come
da troppo tempo avrebbe voluto fare.
- Penso che dovremmo
smettere di vederci.
- Perché dici questo?
- Non voglio che cambi la
tua vita per me. E ti trasformi per
diventare quella che io vorrei che tu
fossi.
- Dai, non fare lo stronzo,
hai sempre saputo che di mestiere faccio
la spogliarellista e ballo nuda davanti
ad anziani bavosi. E' questa la ragione
che ti ha spinto ad avvicinarmi quando
sei mesi fa sono venuta ad abitare nel
condominio dove stai con i tuoi
genitori. Avevi voglia di scopare e ti ho accontentato, che altro? Ti ho
forse mai detto che mi devi sposare? Non
credo, ma quello che mi sento di dire è
che sto bene insieme a te. E se vogliamo
seguitare a vederci la cosa mi fa
piacere. Ti ho mai chiesto niente?
- Lo so, ma sto
attraversando un brutto periodo. Non ho
più niente da darti, mi spiace.
- Davvero vuoi che non ci
vediamo più?
Augusto non trovò
abbastanza coraggio per risponderle. La
tazza del caffè e il bicchiere con
l'aperitivo erano dove la cameriera li
aveva appoggiati sul tavolo. Né Agnese
né Augusto li avevano avvicinati alle
labbra. La tazza aveva smesso di
produrre fumo e l'aroma sprigionato
dalla miscela di caffè stava
consumandosi poco per volta. Augusto
allungò la mano per impugnare il
bicchiere dell'aperitivo, ma Agnese gli
afferrò il polso.
Il tocco delle dita della
ragazza si palesò il migliore dei
rimedi contro la malinconia che aveva
fatto presa nel cuore di Augusto. Agnese
seguitò a strofinargli la pelle con il
pollice eseguendo dei minuscoli
spostamenti a forma di cerchio. Augusto
si ritrovò ancora una volta con il
cazzo duro e si augurò che il modo di
palpeggiare di Agnese non dovesse finire
mai.
I loro sguardi
s'incrociarono. Tutt'e due erano consci
che avrebbero potuto fare a meno di
ricominciare a parlare perché in certi
momenti le parole non sono sufficienti a
esprimere i sentimenti. Ma Augusto
doveva ancora scoprire quali fossero i
suoi sentimenti verso Agnese. Forse
quello che voleva era soltanto scoparla,
ma non ne era cosi sicuro.
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