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SNACK
BAR
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
S eduto
su una sedia a trampolo, davanti al bancone
del bar che ho sotto casa, stavo bevendo
un chinotto quando, fra
le bottiglie di liquore allineate come
birilli davanti alla specchiera, vidi
riflessa l'immagine di una donna nell'attimo in cui
mise piede nel locale.
Si guardò attorno, poi
venne dritta nella mia direzione e
occupò il seggiolino accanto
al mio. Appoggiò i gomiti sul bancone e girò il capo nella mia
direzione. Nell'istante in cui i nostri
sguardi s'incrociarono fui colto da un
piacevole presentimento. Infatti, per un istante pensai che
la donna dei miei sogni si era
materializzata accanto a me.
Soltanto mezz'ora prima ero
seduto sul divano del mio appartamento,
intento a guardare un film su Canale5, e
non potevo immaginare che al bar
sotto casa avrei incontrato Carmen.
- Un chinotto e un pezzo
focaccia farcita con del prosciutto
cotto. - disse al barman.
- Allora non sono l'unico a
cui piace il chinotto. - dissi indicando
la lattina di San Pellegrino appoggiata
sul bancone davanti a me.
- Direi di no. - sorrise.
- E' una bibita che tende
all'amaro. Ha un sapore particolare e
non a tutti piace.
- Sì, è vero. Ho iniziato
a berla da bambina e a tutt'oggi la
trovo ancora gradevole. Ho letto da
qualche parte che l'estratto di chinotto
utilizzato nella bevanda è una sostanza
fortemente stimolante, allo stesso modo
della coca presente nella formula della
Coca-Cola.
- Ecco spiegata la ragione
per cui mi ritrovo sempre eccitato dopo
che ho bevuto la bevanda. Forse è perché
consumo troppo chinotto. - dissi
accompagnando le parole con un sorriso.
- Non credo proprio. -
replicò la donna addentando il trancio
di focaccia che il barista aveva
collocato in un piattino sopra il
bancone.
- Il mio nome è Lorenzo. E
il tuo?
- Chiamami Carmen.
Mezz'ora più tardi eravamo
distesi sopra un divano letto, nella
terrazza del mio appartamento,
all'ultimo piano di un condominio di
sette piani.
Al bar, fra un sorso e
l'altro di chinotto, sviscerammo una
infinità di argomenti, poi le parlai
del panorama che si gode dal terrazzo
della mia abitazione accendendo la sua
curiosità. Condurla lì si rivelò una
impresa abbastanza facile. Anzi, fu lei
a prendere l'iniziativa dicendosi
curiosa di fare visita alla terrazza.
Dal belvedere del mio
appartamento ci soffermammo a guardare
il panorama notturno, inseguendo il
movimento dei fari delle automobili che
s'inerpicavano sulle colline distanti
una manciata di chilometri dal nostro
punto di osservazione.
Andammo a coricarci su
divano letto posto sul terrazzo, di cui
le avevo fatto cenno al bar, e ci
distraemmo a guardare le stelle.
Carmen mi si accucciò
addosso e incominciò a parlare. Aveva
una dannata voglia di dare sfogo alle
angosce che si portava appresso.
Avvertiva il bisogno di stare accanto a qualcuno che
stesse ad ascoltarla per raccontargli le
pene che le infliggevano tanta
sofferenza.
Ancora una volta fu lei a
togliermi dall'imbarazzo. Avvicinò le
labbra alle mie e mi baciò con tocchi
impercettibili delle labbra, staccandosi
quasi subito dalla mia bocca. Mi avvolse
le braccia intorno al costato e mi
strinse forte a sé. Allora le carezzai
i capelli più volte.
Avrei voluto lenire la sua
sofferenza mostrandole la mia amicizia,
ma ero troppo ansioso di approfondire la
conoscenza del suo giovane corpo per
prendermi cura anche della sua anima.
Sul petto percepivo la morbidezza delle
tette, che mi premevano sul torace,
mentre il cazzo pulsava irrequieto.
Il suo corpo era imperlato
di sudore. Mi azzardai a toccarla fra le
cosce e l'accarezzai. Sollevò un
ginocchio e andò a posare la gamba fra
le mie cosce strusciandosi contro più
volte.
Quando al bar mi si era
seduta accanto avevo subito percepito
che era una donna speciale. E non
mi ero sbagliato. Gli occhi, le curve
del bacino, le forme delle tette, il
viso, le labbra, tutto della sua persona
era fuori dell'ordinario, ed ero rimasto
sorpreso quando aveva accettato di
conversare con me rivelandomi che di
professione faceva l'infermiera, lo
capii soltanto quando sul divano si
rivolse a me.
- Vivo circondata dalla
sofferenza e dal dolore ma non riesco a
farci l'abitudine. Ecco perché ho tanto
bisogno d'amore.
Sussurrò quelle poche
parole con dolcezza, come fosse sua
intenzione giustificare la sua presenza
sul divano accanto a me. Le nostre
bocche entrarono in collisione subito
dopo che ebbe pronunciato quella frase.
Le lingue titillarono una contro l'altra
producendo lampi di piacere. Continuammo
a scambiarci baci e carezze fintanto che
Carmen si liberò dal mio abbraccio e si
mise ritta, in piedi, sul materasso,
davanti a me.
Si liberò della gonna
jeans e della canotta, dopodiché rimase
con indosso le sole mutandine e il
reggiseno.
Nella semioscurità
notturna riuscii a scorgere soltanto la
sagoma del corpo senza distinguere gli
indumenti intimi che aveva addosso. Portò
le mani dietro la schiena, slacciò il
reggiseno e lo lasciò cadere sul
materasso, poi fece lo stesso con le
mutandine.
Carmen stava davanti a me,
nuda, senza nulla addosso. Il buio
confondeva le sue forme rendendo ancora
più eccitante la situazione in cui mie
ero venuto a trovare.
- Spogliati anche tu, dai.
- mi sollecitò.
Mi raddrizzai con
l'intenzione di denudarmi. Lei mi fu
addosso e si adoperò nel togliermi la
T-shirt, i pantaloni e quant'altro
cingeva il mio corpo. Ci ritrovammo
nudi, uno di fronte all'altra, ad
ascoltare il canto dei grilli che
proveniva dalla campagna.
Consumammo la notte a fare
l'amore. Scopare, scopare, scopare, solo
questo volevamo entrambi. Alle prime
luci dell'alba ci ritrovammo con i corpi
umidi di rugiada. Ci avvolgemmo nelle
lenzuola e ricominciammo a fare l'amore
un'ultima volta prima di separarci.
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