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ACQUERUGIOLA
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
La
pioggia, seppure fine, scendeva sulla
città dalle prime ore del mattino. Luisa pareva
non farci troppo caso impegnata com'era
nell'espletare il lavoro di
portalettere. Camminava sul marciapiede
di Via D'Azeglio, spingendo la
bicicletta, senza scomporsi. Il
portapacchi, raccordato al mozzo della
ruota anteriore, sorreggeva una
ingombrante borsa di pelle colma della
corrispondenza da consegnare.
Scandiva i passi
pigramente, spostandosi da un palazzo
all'altro, prestando attenzione a non
urtare con la bicicletta le autovetture
che a scavalco occupavano i marciapiedi.
Accostò la
bicicletta sotto un terrazzino con
ringhiera al riparo dalla pioggia. Dalla borsa di pelle
si appropriò di alcune lettere e riviste, dopodiché
stese una pellicola di
cellophane sopra la borsa di pelle per riparare
la corrispondenza dalla pioggia.
La fila di pulsanti dei campanelli,
ubicata all'ingresso dell'edificio, comprendeva
una quindicina di nominativi. Diede una
scorsa ai nomi dei destinatari delle
lettere e pigiò uno dei pulsanti alla
parete.
- Chi è? - disse una voce
al citofono.
- Sono la postina signora,
c'è posta per lei.
- C'è da firmare? E'
l'assegno della pensione?
- No signora, è una
lettera commerciale.
- Ah, va bene, le apro il
portone.
Luisa entrò nell'androne
del palazzo, si avvicinò alle cassette
della posta e distribuì le lettere
premurandosi di infilarle in ciascuna
delle fenditure, facendo attenzione
ai nomi dei destinatari, poi tornò sui
propri passi.
Il giubbotto impermeabile,
giallo canarino, con due strisce
catarifrangenti orizzontali, la riparava
dalla pioggia fattasi più insistente
rispetto alle prime ore del mattino.
Oltre i portici
dell'Ospedale Vecchio arrestò il passo
davanti all'edificio che ospitava gli
uffici di una nota compagnia di
assicurazioni. Era lì che lavorava il
destinatario della lettera che teneva gelosamente custodita in una delle
tasche del giubbotto.
La missiva da consegnare
era una poesia. L'aveva scritta la sera
precedente prima di coricarsi a letto.
Era destinata a Paolo, l'uomo di cui era
pazzamente innamorata. Un amore nobile e
puro di cui il destinatario della
lettera non era a conoscenza.
Comporre poesie le riusciva
facile, era un modo per liberare la
fantasia e tuffarsi in un mondo fatto di
illusioni. Aveva iniziato da bambina a
imbrattare con disegni informi e parole
le pagine di un diario. E ancora ne
teneva uno.
Se da lì a poco avesse
incontrato Paolo gli avrebbe consegnato
la poesia. Doveva farlo! Stavolta era
determinata nel recapitargliela. Non
poteva rimandarne oltre la consegna come
era accaduto scrivendo le precedenti
poesie, da troppo tempo temporeggiava.
Oggi lo avrebbe fatto, ne era certa.
La giornata piovigginosa
sembrava adatta per mettere in atto il
suo progetto. In passato molti uomini
avevano approfittato della sua ingenuità
levandosela di torno dopo averla
scopata. Del loro modo di comportarsi
non era mai riuscita a farsene una
ragione e non se ne dava pace.
Guardò l'orologio al
polso: segnava le 10.00. Era
maledettamente in ritardo nella consegna
della corrispondenza. La borsa era colma
di lettere e giornali. e l'avrebbe
costretta a sforare il
normale orario di lavoro.
Spinse la bicicletta oltre
il portone che ospitava gli uffici della
compagnia di assicurazioni dove lavorava
il destinatario delle sue poesie. Si
premurò di appoggiare la bicicletta
nell'andito, contro una parete, dopodiché
si mise a cercare fra le lettere
conservate nella borsa quelle da
consegnare agli uffici della
assicurazione.
Si sentiva goffa e per
niente sexy con indosso il giubbotto e i
calzoni impermeabili. La pioggia, caduta
senza sosta da quando aveva preso
servizio, aveva intriso d'acqua la
camicetta e non solo quella. Il liquido
le era sceso lungo il fondo schiena e
sul torace inumidendole il petto.
Stava pensando ai danni che
le aveva provocato la pioggia quando fu
raggiunta da una voce maschile alle
proprie spalle.
- C'è posta per me?
- Che? - rispose Luisa.
- Chiedevo se c'è posta.
Luisa girò il capo e si
trovò dinanzi Paolo. In quel momento le
sarebbe piaciuto sgusciare fuori dalla
divisa e con le braccia saltargli
addosso. "Posso essere un
bocconcino delicato se mi metti alla
prova", gli avrebbe detto. Ma stava
sognando a occhi aperti.
- Beh, c'è posta?
- Ah, sì, certo.
Luisa gli consegnò alcune
lettere e un paio di riviste avvolte nel
cellophane. La mano le tremava mentre
gliele consegnava, ma non era per il
freddo.
- Ma lei è intirizzita
d'acqua, trema tutta.
Lettere e riviste finirono
a terra. Entrambi si chinarono per
raccogliere la corrispondenza. E per la
prima volta si trovarono col viso una di
fronte all'altro. Si guardarono a lungo
negli occhi, poi Luisa raccolse alcune
delle lettere e una sola delle riviste,
le altre le prese Paolo.
- Posso invitarla in
ufficio? Le preparo un caffè. Potrà
scaldarsi, dopodiché riprenderà
la distribuzione delle lettere. In un
cassetto della scrivania devo avere
anche dell'Aspirina se ne ha necessità.
Che ne pensa?
- La ringrazio, ma non
vorrei esserle di disturbo.
- Scherza? E poi stamani
sono solo in ufficio.
- E la bici con tutta la
posta?
- Non si preoccupi dentro
il portone è al sicuro.
- Una volta consumato il
caffè potrà riprendere la
distribuzione delle lettere. Che ne
dice?
- Beh, sì, vada per il
caffè e l'Aspirina.
Salirono la breve rampa di
scale che conduceva agli uffici
dell'agenzia di assicurazioni al primo
piano dell'edificio. Paolo la precedette
e Luisa lo seguì dappresso fino alla
porta d'ingresso.
- Venga avanti, si
accomodi.
- Ho poco tempo a
disposizione. Devo proseguire nella
distribuzione della posta, e poi non
vorrei arrecarle troppo disturbo.
- Si metta a suo agio. -
disse l'uomo indicandole la sedia posta
davanti alla scrivania. - Le prendo una
Aspirina e le preparo il caffè
A Luisa non sembrò vero di
trovarsi in compagnia di Paolo. Sfilò
il giubbotto e lo ripose
sull'attaccapanni accanto alla porta
d'ingresso, poi andò a sedersi sulla
sedia dinanzi alla scrivania.
- Qui ci vuole un buon caffè!
- disse Paolo che nel frattempo aveva
fatto ritorno nella stanza e teneva
stretto nelle mani un vassoio con due
tazze fumanti. - L'Aspirina
effervescente gliela metto nel piattino.
- Sì grazie.
Paolo appoggiò il sedere
al bordo della scrivania, davanti alla
camicetta sbottonata della portalettere
da cui scorgeva il solco fra le tette.
Luisa non fece caso allo sguardo
dell'uomo impegnata com'era nel bere a
sorsi il caffè.
- I suoi abiti sono
bagnati.
- Non è niente, ormai ci
sono abituata all'acqua, passerà. -
disse con un certo imbarazzo.
Paolo si portò alle spalle
di Luisa e l'accarezzò sulle spalle. Turbata dal
tocco delle dita sulla pelle Luisa non
si scostò, nemmeno si ribellò quando
le mani dell'uomo scivolarono sulle
tette ed esplorarono i capezzoli che
sporgevano tumidi dal tessuto del
reggiseno. Reclinò il capo all'indietro
e si abbandonò sullo schienale della
poltrona con il resto del corpo.
Paolo si premurò di
slacciarle i bottoni della camicetta e
le scostò i capelli da un lato
lasciandole una parte del collo scoperta
su cui fece scendere le labbra.
Un brivido di calore scosse
Luisa da capo a piedi quando le
addentò il collo. Le punte dei
capezzoli, pizzicate dalle dita
dell'uomo, le accesero la voglia di
essere scopata, subito.
Si ricordò di non avere
con sé dei preservativi e la cosa la
irritò parecchio perché era sua
abitudine cautelarsi ogni volta che
faceva l'amore. Stava considerando
questo aspetto quando l'uomo,
abbandonata la posizione dietro la
sedia, si portò davanti a lei. Tutt'a
un tratto abbassò braghe e mutande e le
mostrò il cazzo in piena erezione.
La cappella aveva un
aspetto lucente e pulsava sollevandosi a
piccoli tocchi. Paolo appoggiò le mani
dietro il capo di Luisa e le sospinse il
cazzo in bocca.
Luisa dilatò le labbra e
condusse la cappella in gola. Un
rigurgito di vomito la fece trasalire.
Trattenne il cazzo con la mano impedendo
che le venisse meno il respiro, ma
l'uomo le scostò il braccio.
- Stai ferma, non devi fare
niente! Lascia che sia io a muovermi
dentro di te.
Il capo di Luisa rimase
imprigionato fra le mani di Paolo,
sancendo di fatto che sarebbe toccato a
lui muoversi. L'uomo affondò il cazzo
nella bocca imponendo a Luisa di
rimanere inoperosa. Lei ubbidì,
umiliata e confusa, mentre Paolo dava
sfogo al proprio capriccio.
Nessuno l'aveva mai
oltraggiata in quel modo. La bocca, le
labbra, che infinite volte nell'intimità
della sua stanza da letto avevano
sussurrato il nome di Paolo, stavano
impregnandosi dello smegma depositato
intorno alla cappella di quello stesso
uomo. Rimase immobile, stringendo il
cazzo nella bocca, fintanto che la
cappella la sommerse di sperma.
Singhiozzò più volte
trangugiando il liquido lattiginoso
senza dare a vedere che le ripugnava
farlo. Strofinò le labbra con
l'avambraccio asportando i residui di
sperma, infine si alzò dalla sedia.
- C'è un bagno dove posso
riassestarmi?
- Sì, dietro quella porta.
Si mise seduta sul water e
tirò lo sciacquone per coprire i
singhiozzi che le uscirono dalla bocca
insieme a grumi di sperma che sputò
nel lavandino. Una volta resasi
presentabile, fece ritorno nell'ufficio.
- Beh, forse è meglio che
ritorni al mio lavoro. - disse Luisa.
- Sì, direi di sì. - le
confermò Paolo.
Infilò il giaccone con le
strisce catarifrangenti tracciate sulle spalle e
si avvicinò alla porta.
- Ci vediamo presto. -
disse Paolo tenendo l'uscio scostato.
- Sì... sì...
arrivederci.
Luisa fece di corsa le
scale che conducevano all'andito
dell'edificio. La bicicletta con la
borsa della posta era ancora lì;
nessuno l'aveva trafugata. Qualcun
altro, invece, le aveva portato via
qualcosa di più prezioso: la dignità.
Una volta in strada
s'incamminò, sotto la pioggia, verso
Piazza Santa Croce. Mantenendo il manubrio
della bicicletta stretto nella mano si
fermò in corrispondenza di un cestino
dei rifiuti. Tolse dalla tasca del
giaccone la lettera che avrebbe voluto
fare pervenire a Paolo e la gettò nella
spazzatura.
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