STATO SELVAGGIO
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

  

   -Posso stare a guardarvi mentre la scopate?
   Nessuno dei presenti fece caso alla richiesta di Deborah, nemmeno Giancarlo, suo fratello, cui andava il merito di avere adescato la ragazza che da lì a poco lui e i compagni di avventura avrebbero stuprato.
   In più di una occasione Deborah era stata testimone delle bravate del fratello e anche stavolta, come era accaduto nelle precedenti circostanze, sarebbe rimasta muta spettatrice delle sevizie perpetuate ai danni della vittima di turno.
   Giancarlo aveva rimorchiato la ragazza al Rocambole, una delle tante discoteche che si affacciano sulla superstrada che da Riccione conduce a Pesaro. La ragazza, una avvenente mora di vent'anni, era caduta nella rete che lui le aveva teso come era accaduto a molte altre ragazze prima di lei.
   Si erano fatti compagnia per tutta la sera sniffando righe di coca nei bagni della discoteca, danzando sulla pista da ballo al ritmo di musiche latinoamericane, strusciandosi come cani in calore. Lei si era dimostrata avida di polvere bianca. Ne avevano sniffato più di una riga, ubriacandosi con boccali di birra bevuti in grande quantità.
   Allettata dalle avance di Giancarlo si era lasciata convincere a seguirlo, vogliosa di succhiargli il cazzo. In cambio gli avrebbe chiesto dell'altra coca da sniffare.

   Deborah, nonostante l'ora tarda, era rimasta sveglia davanti alla tivù in attesa che Giancarlo facesse ritorno a casa portandosi appresso l'ennesima vittima da stuprare. Dalla finestra della stanza da letto aveva assistito al trasbordo del corpo della ragazza dal bagagliaio del Mercedes alla porta della taverna, attigua al garage, dopodiché era scesa da basso, approfittando dell'assenza dei genitori durante il week-end, per assistere agli atti di sopraffazione e violenza che il gruppo di maschi avrebbe esercitato sulla vittima designata.
   Il corpo della ragazza, privo di indumenti, era avvolto con una pellicola trasparente di cellophane simile a quella che le massaie fanno uso per avvolgere gli alimenti. 
    Quando Deborah mise piede nella taverna la ragazza era distesa sul tavolo con gli occhi sbarrati. La bocca era spalancata con un grido rimasto soffocato per la presenza di una palla da tennis inserita fra mandibola e mascella. Le tette erano appiattite, compresse dal telo di cellophane che le avvolgeva per intero il corpo. Il monte di Venere appariva rivestito da un sottile strato di peluria nera, a forma di cuneo, tutt'attorno il sesso.

   La stanza del seminterrato, adibita impropriamente a camera delle torture, comunicava col garage e fungeva da taverna. Era lì, lontano da sguardi indiscreti, che Giancarlo e i suoi amici sottoponevano a violenza le ragazze che rimorchiavano nelle discoteche della Riviera Romagnola.
   Giancarlo avrebbe fatto volentieri a meno della presenza della sorella, ma dopo che in passato lo aveva scoperto mentre violentava una ragazza non poteva rifiutarle di presenziare a quelle sedute notturne. Lui e gli amici si erano abituati alla sua presenza nella stanza, anche se tutt'e quattro non sapevano spiegarsi come potesse assistere, senza ribellarsi, alle violenze perpetuate ai danni delle donne.
   Giancarlo si fece strada con la forbice fra le caviglie della ragazza. Le lame di acciaio lacerarono la pellicola trasparente separando l'involucro in due lembi. Liberate le gambe, risalì con le forbici lungo le cosce, poi scoprì il pube e raggiunse l'addome. Continuò nella sua opera levandole di dosso il resto del cellophane che le avvolgeva la pelle.
   Il corpo della ragazza era perfettamente abbronzato. Dei triangoli di pelle più chiari erano visibili nella zona dei capezzoli e sul pube, là dove era solita indossare il costume da bagno.
   Quando la ragazza ebbe le braccia libere si premurò di togliere dalla bocca la palla di gomma che teneva calcata fra i denti e le rendeva difficile il respiro. Non ricordava come era capitata lì. L'ultima immagine che serbava nella memoria era quella del ragazzo che aveva conosciuto fra le mura della discoteca. Lui le aveva offerto da bere uno strano sciroppo, dopodiché si era sentita male, poi non rammentava più nulla. Era stata drogata, ne era certa. Quella che doveva essere una serata spensierata si era trasformata in qualcosa di poco piacevole e ne aveva il terrore.
   Giancarlo e i suoi amici seguivano un rituale consolidato. L'avrebbero stuprata fino all'alba come era accaduto con le ragazze che l'avevano preceduta sopra quel tavolo. Tutt'e quattro erano eccitatissimi. Avevano il cazzo in tiro e non vedevano l'ora di scoparla.
   Angelo, Roberto e Alfio presero posizione attorno al corpo della ragazza. Giancarlo si piazzò a lato del tavolo. Distese le mani sulle tette e cominciò a carezzare i capezzoli. I movimenti delle dita stimolarono le forme scure delle areole. Le tette, parzialmente livellate, erano esuberanti e sode. All'apice dell'eccitazione Giancarlo abbassò i pantaloni e le mutande, dopodiché si affrettò a lasciarli cadere sul pavimento. Aveva il cazzo in piena erezione ed era pronto a stuprarla.
   La ragazza incominciò a dibattersi. Mise in movimento braccia e gambe urlando la propria disperazione con tutta la forza che aveva in gola. Riuscì a sollevare il busto, liberò un braccio, e graffiò il volto di Giancarlo. Una riga di sangue lo segnò su di una guancia. I complici di Giancarlo riuscirono a bloccarla e le riportarono la schiena a contatto del tavolo.
   - Ah, bene, stavolta abbiamo una troietta che non s'arrende tanto facilmente, eh! Ci sarà da divertirsi ragazzi! - disse agli amici.
   Giancarlo rovesciò sul volto della ragazza un manrovescio che le provocò una abbondante fuoriuscita di sangue dalla bocca, dopodiché servendosi della forza delle braccia le divaricò le cosce. Angelo e Roberto gli diedero man forte mantenendole spalancate. Alfio si attivò a tenerle fermo il capo.
   Giancarlo si affrettò a tastarle le labbra della figa, poi le infilò dentro due dita. Non era bagnata e di questo si crucciò, ma non poteva essere altrimenti.
   Depositò l'estremità delle dita sulla lingua e ne gustò il delicato sapore di piscio di cui erano impregnate. Strinse nella mano il cazzo e inumidì la cappella sputandoci sopra un grumo di saliva. Tirò a sé il pube della ragazza e lo avvicinò al bordo del tavolo. Inarcò la schiena ed entrò con la cappella nella fessura della figa, poi cominciò a scoparla muovendo il bacino avanti e indietro serrando le natiche per dare maggior vigore alla azione del cazzo. 
   Scopare in quel modo lo mandò presto in affanno. Il respiro gli si fece ansante. Era cosciente che sarebbe venuto alla svelta. La sensazione che stava provando era tremendamente piacevole. Avrebbe desiderato prolungarla all'infinito, ma non ci riuscì. Le sborrò nella vagina e si accasciò sull'addome della ragazza scosso da fremiti di piacere. Un profondo respiro mise fine all'amplesso.

   Per tutto il tempo dello stupro Deborah era rimasta a guardare il fratello emozionata per quanto stava accadendo davanti ai suoi occhi.
   Angelo non ebbe bisogno di sputare grumi di saliva sulla cappella come aveva visto fare a Giancarlo che l'aveva preceduto.
   Durante lo stupro la ragazza non aveva cessato un solo istante di piangere. Ma le umiliazioni e ancora di più i maltrattamenti e le botte l'avevano convinta a mettere da parte qualsiasi resistenza e arrendersi agli appetiti sessuali degli stupratori.
   Il cazzo di Angelo scosse il corpo della ragazza mettendo a rischio l'elasticità dei tessuti della vagina. La giovane assorbì i colpi che le infliggeva gemendo per il dolore. Le guance si rigarono delle lacrime che le scendevano copiose dagli occhi.
   Le tette, sollecitate dal modo di scopare di Angelo, si erano gonfiate all'inverosimile con i capezzoli turgidi. Anche i movimenti del respiro si erano fatti affannosi. Seguiva passivamente lo spostamento del torace, che s'innalzava a ritmo regolare seguendo il movimento della scopata dell'uomo che le stava sopra, ma era probabile che avesse paura. Una dannata paura di non uscire viva dalle mura di quella stanza.
   L'ordine delle scopate seguiva un ordine stabilito, sempre uguale. Per ultimo sarebbe toccato ad Alfio, il più giovane dei quattro. A lui sarebbe toccato ficcarle il cazzo nel culo.
   Deborah aspettava con ansia il momento in cui avrebbe assistito alla scena di sodomia, ma prima spettava a Roberto di scopare la ragazza.
   Contrariamente agli amici che l'avevano preceduto, Roberto non si catapultò sul corpo della ragazza. Rimase ritto in piedi e cominciò a masturbarsi. I compagni fecero inginocchiare la ragazza sul pavimento davanti a Roberto che le avvicinò il cazzo alla bocca nel momento in cui eiaculò imbrattandole le labbra di sperma.
   Deborah considerò strano l'atteggiamento di Roberto che aveva preferito appagare il proprio piacere sessuale masturbandosi anziché scopare la ragazza.
   Il corpo della giovane era sudicio di sperma. Spossata e umiliata non trovò la forza per ribellarsi quando la sistemarono in piedi davanti al tavolo. Qualcuno la obbligò a stare con l'addome chinato sul piano di legno e le mani tese in avanti, ad abbrancare il bordo del tavolo sopra la testa, con il viso messo di traverso mentre le labbra spandevano smorfie di dolore.
   Alfio, ultimo ad abusare del corpo della ragazza, si collocò alle sue spalle. Inumidì di saliva un dito e glielo ficcò dritto nel culo. La ragazza, colta di sorpresa, serrò le natiche, ma non riuscì a evitare l'esplorazione rettale che Alfio eseguì facendo roteare il dito nell'ano.
   Sottomessa, ma per niente docile, cercò di divincolarsi e cominciò a scalciare Alfio deciso a incularla. Un cazzotto, sferzato con forza da Giancarlo sul volto della ragazza, la fece desistere dal rivoltarsi togliendole ogni residua difesa, costringendola a subire le vessazioni dell'uomo.
   La cappella, umida di saliva, poggiò contro lo sfintere dilatandolo a dismisura. Alfio la penetrò con difficoltà nonostante l'abbondante impiastro di saliva che aveva provveduto a spalmare dentro e fuori l'ano. Più di un sussulto di dolore accompagnarono la scopata.

   Deborah seguì quanto accadeva sotto i suoi occhi senza provare raccapriccio per le scene di violenza. Assistere a un atto di sodomia le faceva male, ma le accendeva la fantasia più di qualsiasi altro atto di brutalità cui le capitava di assistere.
   Il dolore provocatole dai tessuti lacerati servì a destare la ragazza dal torpore in cui era sprofondata dopo il cazzotto comminatole da Giancarlo, e cominciò a gridare.
   - Basta! Basta! Vi supplico, abbiate pietà!
   Alfio proseguì nella sua azione eccitato dalla resistenza che incontrava nel fare penetrare la cappella nell'ano. A ogni affondo estraeva il cazzo e penetrava di nuovo la ragazza senza mai venire.
   L'espressione del viso di Alfio non lasciava dubbi sul piacere che stava provando. Non le sborrò nell'ano, tirò fuori il cazzo poco prima di eiaculare ed indirizzò il getto di sperma sulla schiena della ragazza riempiendola di liquido lattiginoso.
   La serata era solo all'inizio. Ripresero, a turno, a violentarla, dilungandosi nell'oltraggiarla con sempre maggiore spietatezza, prendendola a pugni e schiaffi, martellandola di calci.

   Quando Deborah abbandonò la compagnia dei ragazzi erano le quattro di mattina. Andò a coricarsi sul letto ma non le riuscì di dormire. Nella mente le scorrevano immagini di violenza, ma non erano scene riferibili allo stupro cui aveva appena assistito. Erano flashback, fotografie sbiadite di suo padre che la violentava. Era accaduto anni addietro e da allora non si era più ripresa. A nessuno aveva raccontato quello che le era accaduto. A tutti aveva tenuto nascosto la ignominiosa verità.
   L'alba era spuntata da poco quando i ragazzi iniziarono ad annodare le estremità di braccia e gambe della ragazza servendosi di un nastro adesivo. Il volto era tumefatto, ecchimosi bluastre coloravano il corpo fatto segno di brutale violenza per tutta la notte. Avvolsero le spoglie della giovane con una pellicola trasparente dello stesso tipo che avevano utilizzato quando l'avevano portata lì. Stavolta non le misero nessuna palla di gomma nella bocca: non ce n'era stato più bisogno.

 

 

 
 

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