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A
OCCHI NUDI
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
L a
notte era buia e fredda. Per strada non c'era anima viva. Ero uscito
di casa per eliminare, camminando, l'ansia che mi
attanagliava le
viscere. Sotto il trench indossavo il
pigiama a righe bianche e blu e un
gilet. Il bavero del soprabito,
mantenuto sollevato, mi proteggeva dalle
correnti d'aria e dal freddo. Ai piedi
calzavo dei mocassini con suola e tacchi
consumati, gli stessi che ero solito
indossare quando accompagnavo Arcibaldo,
un sètter di cane irlandese, ai
giardinetti prima che mia moglie se lo
portasse via insieme al suo
guardaroba.
Al telefono avevo
bisticciato con Elisa, la mia amante, ed
ero furibondo. Aveva interrotto la
comunicazione lasciandomi pendenti fra
le labbra le parolacce che avrei voluto
rovesciarle addosso, negandomi
l'opportunità per farlo.
A una precisa domanda mi
aveva risposto mentendomi e non era la
prima volta. Faceva
l'amore con altri uomini, ne ero certo,
e la cosa m'infastidiva parecchio anche
se non potevo vantare diritti sulla sua
persona perché Elisa era la donna di un
altro.
Facevamo l'amore
sporadicamente nonostante le mie
sollecitazioni. Quando le chiedevo
ragione di questo crescente distacco
attribuiva la responsabilità al marito,
adducendo come scusa che aveva cambiato
lavoro e raramente si allontanava da
casa.
Ero stanco di dare credito
alle sue menzogne, ma non sapevo
sciogliermi dal legame che mi teneva
ancorato a lei.
Il rumore dei miei passi
faceva eco sul lastricato del
marciapiede reso umido dalla pioggia.
Camminare mi sarebbe servito a placare
l'ansia, anche se nella mente seguitavo
a fare diverse congetture sul
significato delle parole pronunciate da
Elisa.
Dopo un po' che andavo a
zonzo per le strade del quartiere, senza
una meta precisa, arrestai il passo
dinanzi alla vetrina di una videoteca.
Il negozio, inaugurato di recente, era
incredibilmente aperto nonostante l'ora
tarda. Mi soffermai a guardare le
copertine delle videocassette esposte in
una delle vetrine, ma più di tutto
rimasi meravigliato dalla enorme quantità di
videocassette collocate nelle
scaffalature all'interno della
videoteca.
Guidato dall'istinto entrai
nel negozio senza una ragione precisa,
infatti, non era mia intenzione
effettuare acquisti, ma soltanto soddisfare la mia
curiosità.
Nonostante l'ora tarda il
locale era affollato di uomini e donne
occupati a scegliere film da prendere a
noleggio. Mi avvicinai alla sezione che
ospitava i film catalogati come
drammatici alla ricerca di pellicole di
registi francesi, i miei preferiti. Ne
trovai un paio di Leconte e uno dei
fratelli Dardenne, non troppo recenti in
verità e già programmati da Sky, poi
mi capitò di scorgere la copertina di
un film di François Ozon di cui
ricordavo una precedente pellicola con
protagonista Charlotte Rampling.
Proseguii nella ricerca e
passai a esaminare le videocassette in
mostra negli scaffali che ospitavano
film thriller. Mi persi a guardare le
immagini delle copertine seppure
annoiato dalla somiglianza dei titoli.
Ero intento ad ammirare la copertina di
un film di Brian De Palma quando, alla
mia destra, notai una porta con
l'indicazione "Cinema
erotico".
Una targa avvertiva la
clientela che l'ingresso nella stanza
era vietato ai minori di 18 anni. Mi
allontanai dalle scaffalature che
custodivano film thriller e, senza alcun
imbarazzo, girai la maniglia della porta
oltre la quale avrei trovato film
pornografici.
Mettendo piede nel locale
mi accorsi che gli scaffali erano
sistemati in modo diverso dall'ambiente
che mi ero lasciato alle spalle. Le
videocassette erano collocate per
traverso nelle scaffalature impedendo,
di fatto, a chiunque di scrutare le
immagini delle copertine.
Come nelle stanze
precedenti i film erano suddivisi in
sezioni, anche se risultava piuttosto
difficile fare un distinguo fra un
compartimento e l'altro stante la
peculiarità delle pellicole. Scartai i
film che mostravano coiti di donne con
animali e quelli gay. Mi avvicinai allo
scaffale che custodiva film lesbo e
cominciai a curiosare fra i titoli.
Tutt'a un tratto la porta
che dava accesso al locale si spalancò ed
entrò una donna. Girai il capo nella
sua direzione e la guardai con curiosità,
rimanendo sorpreso perché era sola. Lei
contraccambiò il mio sguardo, chiuse la
porta alle spalle e incominciò a
ficcare il naso fra i titoli delle
videocassette ordinate nello scaffale
poco distante dal punto in cui ero
fermo.
Le immagini delle copertine
che mi capitarono fra le mani erano
pressoché identiche. Le donne
comparivano nude e fornite di corpi per
me inarrivabili. Ero occupato ad ammirare
l'immagine di due bionde dai seni
gelatinosi, ritratte sulla copertina di
una videocassetta, quando la donna che
soltanto qualche istante prima aveva
messo piede nel locale inaspettatamente
si rivolse a me.
- Com'è?
- Eh?
- Le ho chiesto se il film
che stringe nella mano è di suo
gradimento. Cazzo! Non capisco perché
voi uomini scalpitate dalla voglia di
guardare un film lesbo. Non vi piacciono
le pellicole con delle sane scopate?
Sorpreso dalla sua protervia
rimasi imbambolato senza sapere
cosa risponderle. La guardai da capo a
piedi prima di replicare, ma lei riprese
a discorrere senza curarsi della mia
opinione.
- Non sa cosa rispondere?
Ha perso la lingua?
Bella non la era, affatto,
ma sfrontata sì. D'acchito mi era
risultata subito simpatica col suo
strano modo di fare. Mostrava d'avere
quarant'anni come me. Era vestita in
modo semplice; gonna corta di jeans,
calze scure, e giubbotto di pelle. Un
paio di occhiali avvolgenti, dalle lenti
scure, le nascondevano gli occhi. Intuii
subito che non doveva essere una donna qualunque.
Mi domandai cosa ci facesse in un posto
come quello, e da sola per giunta. Forse
era lì per farsi rimorchiare da
qualcuno, o forse no, pensai.
- Le piacciono i film lesbo,
eh?
- Sì, che c'è di strano?
- A me fanno schifo.
- Ognuno ha i suoi gusti,
magari a lei piacciono quelli gay.
- Non troppo, preferisco
gli uomini veri. I froci li detesto.
- Ah!
- E lei?
- Sono qui per caso, non ho
nessuna intenzione di acquistare o
prendere in affitto alcunché del
materiale pornografico esposto in queste
scaffalature. Contenta?
- Ma allora cosa c'è
venuto a fare qui?
- Non lo so.
Non so come né perché, ma
ci ritrovammo tutt'e due a camminare
affiancati l'uno all'altra sul
marciapiede, come se dovessimo recarci
in un posto preciso. Non mi fece nessuna
domanda a proposito del pigiama che
indossavo sotto il trench, forse nemmeno
se ne accorse. Non ci scambiammo il
nome, eppure non eravamo del tutto
estranei l'uno all'altra. Qualcosa della
sua persona mi affascinava e non sapevo
spiegarmene la ragione.
Per tutto il tempo seguitò
a parlarmi della figlia, single e madre
di un marmocchio di pochi mesi, e non cessò
di fumare dando fuoco a una sigaretta
dietro l'altra. Mentre camminavamo mi
capitò di scorgere più volte le nostre
immagini riflesse nelle vetrine dei
negozi a cui passavamo accanto e mi
sorpresi a osservare che formavamo una
strana coppia, lei e io.
- Andiamo là che è
aperto. - disse indicando uno snack-bar
all'altro lato della strada. - Le
andrebbe di bere qualcosa e mettere un
tramezzino sotto i denti?
- Ma...
- Adesso non dica che non
ha fame, eh.
- Potrei bere qualcosa,
tanto per farle compagnia, questo sì.
- Va bene, dai, mi segua. -
disse precedendomi di qualche passo
verso l'altro lato della strada.
Una densa nube di fumo
stazionava a mezz'aria e rendeva
l'ambiente quasi irrespirabile. Un paio
di uomini erano seduti sugli sgabelli a
trampolo davanti al bancone e
parlottavano con il barista. Prendemmo
posto a uno dei pochi tavoli liberi e
ordinammo una birra entrambi. Si accese
una sigaretta, l'ennesima da quando
avevamo lasciato la videoteca, e riprese
a parlare.
- Non mi ha ancora spiegato
cosa ci faceva in quel posto. - disse.
- E lei?
- Io?
- Sì, lei.
Non diede risposta a quella
domanda, incominciò a raccontarmi una
storia contorta, piena di nomi,
citandoli come se dovessi conoscerli.
Era docente all'università,
ma non mi rivelò di quale facoltà.
Rimasi ad ascoltarla senza interromperla
e scoprii che era sola come me, senza
nessuno accanto a tenerle compagnia
nella vita.
La curva rossa delle labbra
accostate al bordo del bicchiere di
birra mi suscitarono un improvviso
desiderio di scoparla. La sua bocca era
dannatamente piccola. Le labbra,
debordanti e adescatrici, la rendevano
desiderabile e particolarmente adatta a
fare pompini, pensai.
Seguitammo a parlare
bevendo birra e rifocillandoci con un
paio di sandwich al prosciutto farciti
con della maionese. Me la sarei portata a
letto volentieri anche se era persona
troppo colta e diversa dal mio standard
ideale di donna.
Per tutto il tempo in cui
restammo seduti al tavolo seguitò a
raccontarmi della carriera universitaria
e della figlia, senza fare alcun cenno
al marito se mai lo aveva.
Rimasi ad ascoltarla
sorseggiando birra come se fossi il suo
confessore, invece avrei voluto parlarle
di Elisa, dei suoi amanti e dei miei
problemi di merda.
Era l'una di notte o forse
anche più tardi quando ci ritrovammo a
camminare per la strada senza avere la
più pallida idea di dove saremmo andati
a finire, anche se la direzione era
quella dell'Oltretorrente.
Quando attraversammo Ponte
Verdi le presi la mano e gliela strinsi
forte. Lei non la ritirò e lasciò che
chiudessi le sue dita nelle mie,
dopodiché smise di parlare e lasciò
che l'accompagnassi là dove era mia
intenzione portarla, a casa mia.
Quando mi ritrovai dinanzi
al blocco di case dove s'innalzava la
mia abitazione guardai verso l'alto,
nella direzione del mio appartamento, e
mi accorsi di avere lasciato le luci
accese in una delle stanze.
- Abito qui. - dissi. -
indicando un grosso portone di legno.
- Carino come posto, è a
due passi dal centro storico.
- Andiamo su?
- Mi offri da bere? - disse
dandomi per la prima volta del tu.
- Sì.
Quando transitammo dinanzi
alle cassette della posta mi accorsi che
la mia era colma di dépliant e
volantini pubblicitari. Da un paio di
settimane non l'aprivo e mi promisi di
farlo. Salimmo a piedi le scale che
conducevano al terzo piano ignorando
l'ascensore.
L'appartamento era nel
medesimo disordine di quando l'avevo
lasciato prima di uscire di casa. Nel
salotto la luce era accesa e fu lì che
ci trasferimmo.
- Carino questo posto. Ci
abiti da solo? - disse prima di
liberarsi del giubbotto di pelle che
portava addosso, dopodiché sprofondò
il culo su uno dei due divani.
- Sì. - dissi liberandomi
del trench.
Mi avvicinai al tavolino a
fianco del divano dove la mia ospite
stava seduta e accesi l'abat-jour.
Spensi le luci del lampadario e la
stanza entrò in penombra.
- Va meglio ora? - dissi.
- Manca solo un po' di
buona musica.
- E poi?
Andai a sedermi accanto a
lei e ci guardammo fissi negli occhi.
Non si scostò quando la baciai, e
nemmeno si ritrasse quando le appoggiai
la mano sopra il ginocchio e cominciai a
carezzarle la coscia.
Indossava le autoreggenti e
mi fu facile raggiungere il bordo delle
mutandine. Quando mi arrischiai a
infilare le dita sotto il tessuto lei si
scostò e si mise in piedi.
- Ti spiace se vado in
bagno?
- E' di là, nel corridoio,
ti accompagno. - dissi alzandomi dal
divano.
La precedetti fino alla
porta della stanza da bagno. Mi premurai
di accendere la luce e lasciai che
mettesse piede nella stanza, dopodiché
mi allontanai.
Avevo il cazzo duro e una
grande voglia di scopare. Ritornai a
sedermi sul divano e rimasi in attesa
del suo ritorno. Quando comparve sulla
porta del salotto era nuda. Guardai con
curiosità il suo corpo dorato dai raggi
del sole e mi accorsi che non era fatta
male. Il viso non aveva la bellezza di
Elisa, ma tutto il resto era di
prim'ordine.
Le tette, piuttosto
piccole, a forma di calice, mostravano
le punte dei capezzoli spesse e
appuntite, ed erano quanto di più bello
mi fosse capitato di scorgere da molto
tempo. I fianchi stretti si allargavano
in modo armonioso sul bacino. Mostrava
un triangolo fitto di peli scuri fra le
cosce. Le gambe non troppo lunghe,
seppure affusolate, si dissolvevano
nelle caviglie strette e nei piedi
piccoli dalle dita minute. I capelli
neri come la pece, che fino a poco prima
avevo visto raccolti dietro il capo, a
coda di cavallo, apparivano sciolti e le
cadevano sulle spalle. Mi sollevai dal
divano e le andai incontro. Anche lei si
avvicinò. Senza i tacchi delle scarpe
la sua altezza era piuttosto bassa.
Quando mi fu vicina le cinsi le braccia
attorno alla vita, l'attirai a me, e la
baciai.
Era molto eccitata, lo
capii dal modo in cui cominciò a
scuotersi e tremare dopo poco che ci
baciavamo. Attraversò con una mano
l'elastico dei pantaloni del pigiama e
mi strinse il cazzo fra le dita. Staccò
le labbra dalle mie, sollevò il capo, e
mi guardò dritto negli occhi, poi
cominciò a menarmelo, il cazzo.
Mi ritrovai nudo, sdraiato
sul tappeto, con lei seduta sulle mie
cosce, nella posizione a smorzacandela,
a tastarmi i testicoli senza poterla
penetrare nella fica. Non mi era mai
capitato che una donna mi obbligasse a
fare sesso in quel modo. Le mani
stringevano i testicoli al pari delle
ganasce di una tenaglia. Il dolore
provocato dalla pressione delle dita era
accompagnato da un gradito piacere. Ci
sapeva fare più di qualsiasi donna con
cui mi era capitato di scopare.
Sdraiato sul tappeto la
guardavo dal basso verso l'alto, inerme,
mentre stava seduta sopra di me e non
smetteva di guardarmi negli occhi. Da
quella posizione condusse le mie mani
sopra le tette. Incominciai a carezzarle
perdendomi a strofinare le dita sui
capezzoli appuntiti e spessi per
l'eccitazione. Seguitammo a lungo a
toccarci in quel modo accrescendo in
entrambi la voglia di scopare. Nessuna
donna prima di lei mi aveva masturbato
cazzo e testicoli contemporaneamente,
perché di quello si trattava.
Respiravamo con affanno
entrambi per l'eccitazione e i nostri
corpi erano imperlati di sudore. Le
cinsi le braccia intorno alla schiena e
l'attirai verso di me. Quando le nostre
labbra giunsero a contatto fui
attraversato da un lungo brivido alla
schiena. Abbandonò le dita dal cazzo e
si strinse forte a me. Le nostre lingue
vennero a contatto e iniziammo a
solleticarle, una contro l'altra,
fintanto che mi prese il cazzo nella
mano e fece naufragare la cappella nella
fica.
Era bagna fradicia e il mio cazzo non le era da meno. Stese
le braccia sul mio petto e mi obbligò a
rimanere immobile attribuendosi il
compito di condurre al meglio la
scopata, e io la lasciai fare. Incominciò
a muovere il bacino in modo sinuoso, a
zigzag. Quando cercai di assecondarla,
deciso a entrare in sincronia con i suoi
spostamenti, mi invitò a lasciare
perdere e io le ubbidii anche perché
sarei venuto troppo presto, e non volevo
che accadesse.
Affondò a più riprese le
unghie nel mio petto scaricandomi
addosso una sequela di gemiti e tremori.
- Sto venendo. - dissi
quando fui prossimo all'orgasmo.
- Sì, vienimi dentro...
dentro.
Non ritardai la sborrata e
venni dentro di lei. Forse mi diede
anche un morso al collo quando
incominciai a tremare tutto, non ricordo
bene. Sta di fatto che me la ritrovai
accartocciata sul petto ad acquietarmi
dopo che avevo raggiunto l'apice del
piacere. Pervenne all'orgasmo soltanto
quando affondai le guance fra le sue
cosce e incominciai a prendermi cura del
clitoride con le labbra spompinandolo
fino a farla urlare.
Trascorremmo il resto della
notte a scopare, entrando e uscendo
dalle cavità dei nostri corpi
nutrendoci dei liquidi e inebriandoci
col profumo della pelle dell'altro.
Esausti ci addormentammo quando l'alba
era ormai prossima e la fica aveva
smesso di fumare.
Ci svegliammo alla stessa
ora, poco prima delle 10.00, quando la
gente comune è già al lavoro da un po'
di tempo. Aprendo gli occhi ritrovai il
suo volto nel guanciale accanto al mio e
mi domandai cosa ci stesse facendo
quella donna nel mio letto.
A mezzogiorno eravamo
tutt'e due alzati, pronti a fare
colazione, non più nudi ma con sulla
pelle gli abiti di tutti i giorni.
Quando la salutai, mentre
usciva dalla porta di casa, sapevo che
non ci saremmo più rivisti. Nemmeno
conoscevo il suo nome, ma le nostre
angosce erano del tutto simili.
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