A FARI SPENTI NELLA NOTTE
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

       Il mal di vivere lo conosco abbastanza bene, anzi mi accompagna da sempre. Ho cercato in tutti i modi di porvi rimedio, ma non ci sono mai riuscita.
    Da un po' di tempo assumo farmaci stabilizzanti dell'umore che mi aiutano a stare meglio, ma ci sono notti in cui sono particolarmente malinconica e mi prende una dannata voglia di ribellarmi, allora faccio di tutto per correre incontro alla morte. Scendo giù in strada, mi metto al volante della Wolkswagen Passat di mia madre, schiaccio il pedale dell'acceleratore e mi lancio a tutta velocità sulla Via Emilia a fari spenti nella notte.
   Sono conscia del rischio che corro, so bene che potrei fracassarmi contro una delle tante automobili che mi vengono incontro, ma non m'importa granché di rimetterci la pelle perché dentro, nell’anima, morta la sono già da molto tempo. Correre a folle velocità nel buio della notte è una delle pazze sfide che servono a mantenermi in vita.
   E' difficile da capire, lo so, ma non pretendo di essere facilmente compresa. So bene che la gente mi considera una squilibrata per questo mio modo di agire.
   I conducenti delle autovetture che mi vengono incontro, ignari della mia presenza oltre la linea bianca tratteggiata, frenano d'improvviso quando, in fase di sorpasso del veicolo che li precede, scorgono l'ostacolo della mia Wolkswagen Passat. Quasi sempre la manovra ha successo, spesso sbandano e a fatica riescono a mantenere l'autovettura dentro la carreggiata, raramente si ribaltano. I più coraggiosi cercano di portare a compimento il sorpasso del veicolo che li precede pigiando sul pedale dell'acceleratore, anche quando si tratta di un autotreno, mettendo a repentaglio la loro vita e la mia. In questo caso devio la linea di corsa ed emigro sul lato destro della strada, rasentando i paracarri, evitando l'impatto.
   Per guidare un autovettura a fari spenti nella notte ci vuole fegato, tanto coraggio e sangue freddo. La scarica di adrenalina che mi entra in circolo in quei momenti di forte tensione emotiva mi attraversa lo scheletro e giunge sparata sino al cervello.
   Ogni volta mi ritrovo col battito cardiaco accelerato, le pupille dilatate, il respiro in affanno e le mani sudate che stringono con forza il volante. Sono determinata nel gestire una scarica ormonale che mi fa paura, ma che sa trasmettermi una enorme quantità di energia addosso. Ogni volta che l'effetto della scarica di adrenalina giunge a termine, dopo che ho provveduto a riaccendere i fari dell'autovettura, mi ritrovo nelle condizioni di chi ha avuto un orgasmo, un meraviglioso orgasmo, e mi sento appagata.
   E' una sfida senza via di fuga quella che conduco contro la morte. Sono consapevole che prima o poi vincerà lei, tuttavia posso affermare, senza tema di smentita, di averla fregata più di una volta quella troia. In una di queste occasioni sono andata a fracassarmi, con la Fiat Bravo di cui ero alla guida, contro uno dei platani che fiancheggiano la Via Emilia nel tratto di strada fra Ponte Taro e Fidenza. Dalle lamiere della vettura mi hanno estratta, priva di conoscenza, i vigili del fuoco utilizzando la fiamma ossidrica, e a tutt'oggi non so spiegarmi come ho fatto a uscirne viva.
   Ho trascorso dieci giorni in camera di rianimazione in bilico fra la vita e la morte, poi sono rimasta bloccata per trenta giorni sopra un letto della Clinica di Ortopedia con il bacino e una gamba fratturati. Malgrado questa odissea ho ripreso a correre a fari spenti nella notte perché non so fare a meno di portare avanti questa sfida con la morte. E' più forte di me.
   Mi piacciono le donne. Sono lesbica. Appartengo a quella moltitudine di donne che la sera, sotto le lenzuola, avvicinano il cuscino a sé e sognano di stringere fra le braccia il corpo nudo di Nicole Kidman anziché quello di George Clooney.
   Sono consapevole che la maggior parte delle mie amiche mi scanserebbero se venissero a sapere che il mio cuore palpita tutte le volte che mi soffermo a parlare con la figlia del pollivendolo che ho sotto casa, invece devo fingere di avere la fica in liquefazione ogni volta che sto in compagnia di qualche affascinante compagno di università per non lasciare trapelare qual è la mia vera natura.
   Ho scoperto di essere lesbica all'età di quattordici anni quando, al liceo, mi sono innamorata di Vanessa, la mia compagna di banco. A quell'età avevo già sviluppato gli attributi femminili secondari e avevo cominciato a guardare con curiosità i corpi delle mie coetanee, di solito le più belle, mentre i maschi mi lasciavano del tutto indifferente.
   Non ho mai fatto partecipe Vanessa dei miei sentimenti, ho preferito tenerli celati anche a me stessa perché non avevo piena consapevolezza dello scompiglio ormonale che stava producendosi dentro me.
   Spesso, la sera, nel mio letto, prima di addormentarmi, mi masturbavo pensando a Vanessa, oppure mi perdevo a fantasticare richiamando alla mente i volti e i corpi di altre compagne di scuola. Le immaginavo protagoniste di situazioni irreali, impegnate a fare l'amore fra loro o insieme a me. Soprattutto mi piaceva figurarmele come protagoniste di ammucchiate. E' così che ho vissuto il sesso a quell'età.
   A quindici anni mi è capitato di assistere alla proiezione di un film lesbo. Il primo di una lunga serie. Una pellicola sentimentale, da stare male. Mi aveva incuriosito il titolo del film: "Un amour de femme". Ma soprattutto la copertina della videocassetta in mostra in uno degli scaffali della videoteca che avevo sotto casa. La copertina ritraeva due ragazze, abbracciate, che si sfioravano le labbra. Poca cosa, forse, ma una immagine oltremodo eccitante.
   Sullo schermo c'era rappresentata una situazione reale e tranquilla di due donne che si amavano, in maniera del tutto naturale, come avrei desiderato che accadesse nella mia quotidianità. Dopo avere assistito alla proiezione del film presi a noleggio, di nascosto dai miei genitori, una lunga serie di videocassette pornografiche, quasi tutte con protagoniste delle lesbiche, e da quelle immagini presi coscienza della bontà del sesso fra due donne.
   Per molto tempo ho temuto che sarei stata costretta a vivere la mia sessualità soltanto con la fantasia, piuttosto che nella realtà, e mi sarei dovuta accontentare di masturbarmi per tutta la vita, anche se la cosa non mi dispiaceva, affatto, perché c'avevo fatto il callo alle dita a forza di toccarmi il clitoride e farmi dei ditalini guardando le immagini delle pornostar protagoniste di film lesbo. Sono rimasta a lungo chiusa in me stessa, come una lumaca nella sua conchiglia, evitando qualsiasi contatto con il mondo esterno, e ho sbagliato.
   A sedici anni ero un’anima persa e non avevo fatto conoscenza con nessuna ragazza lesbica. Nemmeno le avevo cercate in verità, perché avevo troppa paura che le mie amiche si accorgessero della mia diversità, poi un giorno mi è capitato di vivere la mia prima avventura: quella che da troppo tempo fantasticavo.
   E' successo d'estate, in piscina, nel periodo in cui le scuole sono chiuse. Durante le vacanze avevo preso l'abitudine di trascorrere i pomeriggi, confinata nella piscina comunale, in compagnia delle mie amiche. Nuotare mi piaceva moltissimo, al contrario delle mie amiche che preferivano rimanere sdraiate sui lettini con attorno sciami di ragazzi affamati di fica.
   Nell'acqua mi muovevo come un animale acquatico. A quell'età il mio corpo era già bene formato, e il continuo sforzo muscolare (praticavo una infinità di altri sport) aveva contribuito a togliermi dallo scheletro l'adipe in eccesso, davvero poco in verità perché ho sempre avuto un corpo sufficientemente armonioso. Non a caso i ragazzi che mi gravitavano d'intorno come mosche sulla marmellata mi avevano confezionato il nomignolo di Sirenetta.
   Un pomeriggio, dopo che avevo nuotato a lungo nella vasca, anziché trattenermi a chiacchierare con le mie amiche, come ero abituata a fare, sono andata dritta nei locali delle docce, e ho avuto il primo approccio saffico.
   Ero intenta a lavarmi sotto una delle docce quando un'altra ragazza, la stessa con cui fino a poco prima avevo nuotato nella vasca e scambiato qualche parola fra una pausa e l'altra della nuotata, ha messo piede sulla pedana di legno della doccia accanto a quella dove avevo preso posto.
   Mostrava d'avere qualche anno più dei miei sedici anni. Il corpo, simile a quello di una statua, era ricoperto da un micro bikini trasparente, di colore rosa, da cui facevano capolino i capezzoli abbruniti. Ci siamo guardate a lungo, scambiandoci più di un sorriso, mentre l'acqua fluiva sui nostri corpi. Tutt'a un tratto si è scostata dal getto d'acqua, ha riversato sul palmo della mano del sapone liquido e ha incominciato a spargerlo sulla pelle fissandomi con interesse. Ho seguito con curiosità la sua azione senza toglierle gli occhi di dosso mentre insaponava le tette, spoglie del costume, le cosce, e faceva scorrere le dita sotto l'elastico degli slip.
   Rassicurata dai miei sorrisi ha abbandonato la sua postazione e si è avvicinata a me. Non ho opposto resistenza quando ha cominciato a carezzarmi il petto con la mano imburrata di bolle di sapone, nemmeno mi sono opposta quando mi ha attirata a sé e ha depositato un bacio sulle mie labbra.
   Mi sentivo come una pentola a pressione, con il cuore che martellava come una locomotiva a vapore, e tremavo tutta per l'emozione.
   Era la prima volta che ricevevo un bacio, nessuno lo aveva mai fatto prima di lei. Mi sentivo impacciata, goffa, maldestra, così ho lasciato che mi depredasse dell'innocenza senza oppormi. D'improvviso mi ha preso per mano e mi ha trascinata in uno degli spogliatoi attigui al locale delle docce, dopodiché ha serrato la porta dietro di sé e ci siamo ritrovate sole lei e io.
   Ero emozionata e non sapevo come comportarmi. Mi sono trovata con la schiena calcata contro una parete, e addosso il corpo di una sconosciuta che mi penetrava con gli occhi. Quando mi ha slacciato il gancio del reggiseno e ha lasciato cadere il tessuto sul pavimento istintivamente ho condotto le mani a protezione delle tette. Lei ha sorriso e me le ha levate, poi ha adagiato le dita sui capezzoli e ha cominciato a toccarmeli fuggevolmente, riempiendomi di brividi in tutto il corpo, mentre la fica mi doleva per la trepidazione.
   Nonostante il patrimonio di conoscenze che avevo acquisito guardando film lesbo ero bloccata e non sapevo come comportarmi. Lei invece ci sapeva fare, eccome! Ha cominciato a leccarmi il collo facendo scorrere denti e lingua sulla pelle, mordendola di tanto in tanto, mentre con le mani manovrava con destrezza le punte dei miei capezzoli torcendoli con le dita. Quando ha accostato le labbra sulle mie non desideravo altro che essere penetrata dalla sua lingua come avevo visto fare nei film. Invece ha centellinato i tocchi delle labbra sulle mie sfiorandole a malapena, ripetutamente, accrescendo l'inquietudine che mi portavo addosso. Sono stata io, in un lampo di presunzione, ad attirare il suo capo verso di me e baciarla. Lei mi ha scopato nella bocca, intingendo la punta della lingua fra le mie labbra cercando di leccarmi il pavimento della lingua, mentre l'umore che fuoriusciva dalla fica mi colava fra le cosce caldo come la lava.
   Quando mi ha infilato la mano sotto l'elastico degli slip, e ha raggiunto le labbra della fica, mi sono scostata e sono fuggita via lasciandola da sola a masturbarsi nello spogliatoio.
   Il giorno seguente l'ho cercata in giro per la piscina, ma non l'ho trovata. Lo stesso è accaduto il giorno successivo. Quando l'ho rivista, a distanza di una settimana, impegnata a nuotare nella piscina, ho aspettato che uscisse dall'acqua e sono andata a cercarla nei locali delle docce.
   Lei era lì, e mi aspettava. Stavolta non sono scappata quando mi ha infilato un dito nella passera. Mi ha fatto un ditalino e ho goduto. Le volte seguenti me l'ha leccata, la fica, e ha preteso che facessi lo stesso con lei.
   Abbiamo seguitato a vederci per tutta l'estate, poi col sopraggiungere della stagione autunnale ci siamo perse di vista.

   A questa prima avventura ne hanno fatto seguito molte altre. Ora sono più smaliziata, esigente e insoddisfatta. Mi piacciono le ragazze alte, tonde e scherzose, ma dopo Vanessa, ex compagna di banco, non mi sono più innamorata di nessun'altra e mai potrà accadere, questo lo so bene.
   Vanessa è morta in un incidente stradale all'età di quattordici anni. E' accaduto di notte, mentre col padre e la madre percorrevano la Via Emilia diretti a Salsomaggiore, nella medesima strada dove sono solita guidare a fari spenti nella notte. Sono spirati tutt'e tre al Centro di Rianimazione dell'ospedale di Parma dove sono stati trasportati senza mai avere ripreso conoscenza.
   Ho fatto sesso con molte donne, ma ogni volta che scopo con una nuova mi dimentico di quella precedente. Ho avuto diverse ragazze che mi sono piaciute, ma quello che ho provato per tutte loro è stata soltanto attrazione fisica e null'altro.
   Stanotte non avrò bisogno di correre a fari spenti nella notte per sentirmi viva. Ho un appuntamento con una ragazza che frequenta il quarto anno della Facoltà di Medicina. Un pezzo di fica di prim'ordine, una che mi ha fatto rizzare i capezzoli quando una comune amica ci ha presentate alla mensa dell'università. Il suo nome è Vanessa, identico a quello della mia ex compagna di banco.
   Il sesso è importante nella mia vita, ma non è la cosa più importante. Sarebbe meglio sapere chi sono, da dove provengo e dove andrò. Ma a tutto questo non c'è risposta, lo so.

 

 

 
 

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