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ECSTASY
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Le
periferie di Parma hanno subito profondi
mutamenti nel corso degli anni
trasformando molti quartieri in vere e
proprie città nella città. Spazi
omogenei tutti uguali rappresentati da
edifici a edilizia popolare, pensati per
essere autosufficienti, circondati da
macchie di verde, centri commerciali,
discount e poco altro. Aree che hanno
finito per trasformarsi in luoghi
ristretti e soffocanti per chi ci abita.
E' in questa condizione di progressivo
degrado umano e ambientale, impreziosito
da cemento armato e nuove rotatorie
spartitraffico, che vivo le mie
giornate. Ma da queste periferie e da
questa città voglio fuggire al più
presto e un giorno lo farò.
Le luci al neon
dell'insegna luminosa spandevano una
luce azzurrina sul selciato, umido di
pioggia, davanti alla porta d'ingresso
del Nautilus. Ero arrivato nel locale
poco dopo la mezzanotte animato dalla
voglia di rifornirmi di hashish e bere
un bicchiere di birra, dopodiché avrei
fatto ritorno a casa.
I tavoli come ogni sabato
sera erano occupati da una moltitudine
di avventori. Una donna dalla pelle
colore della cioccolata, piacente quanto
basta da attirare la mia attenzione, mi
rincorse con lo sguardo mentre mi
avvicinavo al bancone del bar. Se ne
stava seduta a un tavolo, in perfetta
solitudine, probabilmente in cerca
compagnia. Una guêpière di pelle nera,
particolarmente stretta in vita, metteva
in mostra un ampio décolleté troppo
perfetto per essere naturale. Pareva
guardarmi con simpatia. Mostrava d'avere
venticinque anni, non di più. I capelli
neri come la pece, scompigliati, e le
labbra sporgenti, anche troppo carnose,
imbellettate da un lucidalabbra rosso
lampone, ne esaltavano l'aspetto
latinoamericano.
Nel portafoglio conservavo
cinquanta euro o poco di più. Cifra
inadeguata per garantirmi una scopata
con una donna di quello stampo, ma
sufficiente per garantirmi la quantità
di hashish per cui avevo fatto visita al Nautilus.
Ordinai una birra di malto,
scura, poi diedi le spalle al bancone in
attesa che il barista soddisfacesse la
mia richiesta. Incurante degli altri
clienti la mulatta non cessò un solo
istante di guardarmi lusingandomi con
degli ammiccamenti. Stava seduta a un
tavolo a pochi passi dal bancone con le
gambe accavallate, senza calze, e un
paio di sandali di colore ciclamino con
zeppe piuttosto spesse. Un profondo
spacco laterale della gonna metteva in
evidenza un paio di cosce in carne che
la rendevano appetibile. Presi a
fissarla in modo intenso, incuriosito
dalle attenzioni che riversava su di me.
Sbatteva le ciglia finte per richiamare
la mia attenzione, e non era un tic il
suo. Tutt'a un tratto mi accorsi della
strana prominenza cartilaginea che
sporgeva in maniera anomala nella parte
anteriore del collo.
Un dubbio mi colse e
riguardava la sua identità. Esaminai
con cura la struttura anatomica delle
mani cercando una conferma ai miei
sospetti. Una delle mani era appoggiata
sulla coscia su cui tamburellava
nervosamente le dita, l'altra stringeva
il calice di una bevanda alcolica.
Entrambe erano piuttosto grossolane,
tozze, seppure ben curate e con le
unghie lunghe più del normale.
Quest'ultime erano colorate di uno
smalto azzurro che bene si accordava al
colore scuro della pelle. Levai lo
sguardo dal transessuale, perché di
questo si trattava, turbato dalle
attenzioni che riversava su di me. Girai
le spalle e incominciai a bere a piccoli
sorsi la birra alla spina servitami dal
barista.
L'enorme specchio
incastonato nella parete, oltre il
bancone, seminascosto dietro le file di
bottiglie di liquore, rifletteva le
immagini del locale alle mie spalle.
Oramai non avevo dubbi sulla identità
della persona che vedevo riflessa nello
specchio. Non so cosa mi prese, ma
cominciai a interrogarmi sul suo conto,
incuriosito dalle attenzioni che
riversava su di me.
Cominciai a chiedermi se
sotto la gonna nascondesse il cazzo
oppure se ne era privo perché evirato.
Ponderai entrambe le ipotesi. La prima
delle due ipotesi era che, pur
identificandosi nel sesso opposto al suo
(quello femminile), ne avesse assunto
solo gli atteggiamenti e l'aspetto
esteriore, magari facendo ricorso a
ormoni e protesi di silicone per
mostrarsi per quello che desiderava
essere e non era, cioè una donna. La
seconda ipotesi, la più affascinate,
perlomeno ai miei occhi, era che avesse
assunto a tutti gli effetti le
caratteristiche fisiologiche femminili
compiendo un intervento chirurgico.
Ipotesi non del tutto campata per aria,
infatti, qualsiasi urologo avrebbe
potuto compiere l'intervento chirurgico
collocando un segmento d'intestino, al
posto del cazzo, formando una cavità
artificiale che avrebbe assunto a tutti
gli effetti l'aspetto di una vagina con
disegnate due splendide labbra
all'ingresso della cavità.
Stavo considerando entrambe
le ipotesi, mentre osservavo la schiuma
di birra depositata sulla superficie del
bicchiere davanti ai miei occhi, quando
lo sgabello al mio fianco fu occupato.
- Tutto a posto?
Girai lo sguardo nella
direzione della voce e mi trovai faccia
a faccia con il transessuale che
poc'anzi avevo scorto alle mie spalle.
- Sì. - dissi a disagio
per l'insolita presenza.
- Il mio nome è Carmen,
posso conoscere il tuo?
La voce possedeva un timbro
dolce, sensuale, femminile a tutti gli
effetti.
- Lorenzo. - farfugliai
piuttosto imbarazzato.
- Posso fare qualcosa per
te?
- Non penso. Ma posso
offrirti da bere se ti va. - dissi per
non apparire scortese.
- Sì, grazie.
Con un gesto della mano
richiamai l'attenzione del barista.
Quando si avvicinò ordinai Coca e Rum
come mi aveva suggerito l'ospite seduta
al mio fianco.
- Eppure sono dell'avviso
che non ti dispiacerebbe un pompino
fatto da me, eh? - disse dopo avere
sorseggiato parte della bevanda.
- Ma va...
- Li so fare bene, cosa
credi.
- Ne sono convinto. - dissi
scansando il suo sguardo, soffermandomi
a dondolare il bicchiere di birra posto
sul bancone davanti a me.
- Mi accontento di poco
denaro. Non ti piacerebbe fartelo
succhiare?
Voglia di farmelo succhiare
ce l'avevo, eccome! Da un paio di mesi
ero a secco di figa, inoltre
m'incuriosiva mettere la cappella dentro
due labbra come le sue. Un debole per un
transessuale dalle chiare forme
femminili come Eva Robin's ce l’ho
sempre avuto, ma la mulatta era
altrettanto seducente, anzi forse di più,
e faticai ad ammetterlo persino a me
stesso, ma non glielo dissi.
- Appresso non ho
sufficiente denaro per pagarti, mi
spiace.
- Mi accontento di poco.
Quanto hai in tasca?
- Ma non mi va.
- Non vuoi dirmelo?
- Pochi, te l'ho detto.
Quaranta euro. - dissi considerando che
dieci dei cinquanta euro che serbavo nel
portafoglio mi sarebbero serviti per
pagare le consumazioni.
Carmen appoggiò la mano
sulla mia coscia, poi risalì con le
dita verso l'inguine. Lasciai che
accarezzasse l'interno del ginocchio
eccitato per la strana situazione in cui
mi ero venuto a trovare. La mano cessò
di risalire lungo la coscia quando
giunse in prossimità della patta dei
pantaloni, e di ciò me ne rammaricai
perché avrei voluto che mi toccasse il
cazzo. Ma ancora una volta fu lesta a
togliermi dall'imbarazzo.
- Potremmo uscire da qui se
ti va, oppure andare a chiuderci nel
cesso, che ne pensi?
- No, nel cesso no.
- Usciamo fuori, allora.
- Okay, ma esci per prima
tu. Ti seguo fra poco.
- Va bene.
La Via Emilia a quell'ora
della notte era trafficata di
autovetture. Gente che si spostava da
una città all'altra alla ricerca di un
posto dove acquietarsi. Anch'io ero come
loro, ma di diverso c'era che ero in
compagnia di un transessuale e non
sapevo come avevo fatto a essere
adescato. Ero eccitato, maledettamente
eccitato, ma impacciato per essere in
giro di notte con un uomo di nome
Carmen.
- Dove andiamo? - dissi.
- Conosco un posto dove
nessuno ci verrà a disturbare.
Il parcheggio davanti
l'ipermercato della Esselunga, poco
distante dal Nautilus, era deserto,
soltanto due autovetture stazionavano
nell'area intera. Lo spazio adibito a
parcheggio era illuminato da pochi
lampioni. Cercai un posto in penombra
dove parcheggiare l'Opel Station Wagon.
Arrestai le ruote non
troppo lontano dalla Via Emilia su cui
si affaccia il grande magazzino. Spensi
il motore, tolsi la chiave dal
cruscotto, e mi occupai di spostare i
sedili ribaltabili verso il basso,
dopodiché abbassai pantaloni e mutande
facendoli scivolare fino alle caviglie.
Sdraiato sul sedile rimasi
in attesa che iniziasse a succhiarmi il
cazzo, intimidito per la strana
situazione in cui mi ero venuto a
cacciare. Carmen lo prese con garbo
nella mano e accompagnò il cazzo alla
bocca seppure avvizzito com'era. Cominciò a
spompinarlo inumidendo la cappella con
la saliva, poi si diede da fare con le
labbra stringendole attorno al cazzo.
Muoveva il capo su e giù
in maniera macchinosa e succhiava,
succhiava. Io invece non riuscivo a
togliermi dalla mente che a farlo fosse
un uomo, anziché una donna, pur se le
forme del corpo erano somiglianti a
quelle di una femmina e che femmina!
- Aspetta, aspetta.
Lasciati toccare. - dissi accostando le
mani sulle tette montate di silicone.
Ero bloccato, imbarazzato,
a disagio nella strana situazione in cui
mi ero venuto a trovare. Non riuscivo a
fare rimanere il cazzo duro a lungo e ne
ero umiliato. Non mi era mai successo
scopando con una donna, eppure di
puttane ne avevo scopate una infinità.
Il cazzo si ammosciava dentro la sua
bocca e a nulla erano servite le
attenzioni che Carmen riversava su di
me. Per niente scoraggiata proseguì a
darsi da fare succhiandolo, ma gli esiti
furono deludenti.
- Che c'hai, non ti piaccio
abbastanza?
La richiesta di una
spiegazione non mi colse impreparato. In
assenza di una risposta andò avanti a
toccarmi il cazzo con la mano fino a
farlo diventare duro, poi riprese a
succhiarlo per un paio di minuti,
fintanto che il cazzo si ammosciò di
nuovo. Operò un ultimo tentativo, ma di
fronte alla manifesta incapacità nel
mantenerlo duro mi fece venire
utilizzando soltanto la mano, facendomi
una sega, insomma!
- Vuoi toccarmelo? - disse
mentre ripulivo con i fazzoletti di
carta il cazzo dallo sperma che ancora
lo ricopriva.
- Eh?
- Ti ho chiesto se ti va di
toccarmelo.
Non le risposi, lasciai che
sollevasse la gonna facendo scendere
verso il basso le mutandine. Mi prese la
mano e l'accompagnò a contatto del suo
cazzo. Ero emozionato, non avevo mai
fatto una cosa del genere. Glielo presi
fra le dita. Era grosso più del mio.
Indugiai qualche istante, poi cominciai
a fare scorrere la mano sul corpo nodoso
del cazzo blandendolo fino a fargli
raggiungere la massima estensione.
- Ti piace?
Avvertivo l'acquolina in
bocca, sì, proprio il tipo di
salivazione che si percepisce quando si
ha desiderio per una cosa appetitosa, e
il suo cazzo lo era. Seguitai a
menarglielo senza dare risposta alla
interrogazione che poc'anzi mi aveva
fatto. Ansimavo per il piacere che
sapeva trasmettermi il cazzo che
stringevo nella mano. Anche il mio era
divenuto duro, stavolta senza l'aiuto
della sua mano. Carmen non lo succhiò,
nemmeno desideravo che lo facesse, lasciò
che portassi a termine la sega
lordandomi di sperma le dita strette
attorno alla sua cappella.
Prima di metterci in strada
e lasciare il parcheggio levai il
portafoglio dalla tasca dei pantaloni e
le allungai il denaro che conteneva.
- Quaranta euro, è tutto
quello che ho.
- Okay. Sta bene.
- Adesso te ne puoi andare.
Se vuoi.
- Non mi riaccompagni al
Nautilus?
- Ah. Sì, va bene.
La Via Emilia in direzione
di Reggio Emilia era trafficata di
macchine nonostante fosse notte fonda.
Mentre guidavo verso il Nautilus ci
imbattemmo in un gruppo di giovani
magrebini che si spostavano a piedi
lungo il ciglio della strada. Qualche
centinaio di metri più avanti alcuni
cassonetti dei rifiuti, dati alle
fiamme, bruciavano e illuminavano la
sede stradale, segnali di una ribellione
prossima a manifestarsi in ogni
periferia della città e nel resto del
paese, forse.
Abbandonata la Via Emilia
prendemmo la strada che conduce al
Nautilus, poco distante dalla linea
ferroviaria. Carmen scese dalla macchina
e la salutai.
Il quartiere dormitorio
dove risiedo si trovava dall'altra parte
della città, in uno dei casermoni del
quartiere Cinghio Nord. Impiegai una
decina di minuti a percorrere la
tangenziale e raggiungere casa.
L'orologio segnava le tre quando mi
coricai sotto le lenzuola. Nella camera
l'unico rumore che riuscivo a
distinguere era il silenzio della notte.
Troppo poco per seguitare a viverci.
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