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BOCCA
DI ROSA
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Nadja
andava orgogliosa del nomignolo Bocca di
Rosa affibbiatole dai clienti dopo che
un uomo, cui stava succhiando il cazzo,
si era accasciato al suolo, privo di
conoscenza, e condotto d'urgenza
all'ospedale per essere rianimato.
Uscendo da casa per recarsi
al lavoro era solita ingentilirsi le
labbra, sporgenti oltremisura perché
ritoccate di collagene da un chirurgo
plastico, con un lucidalabbra rosso
fragola, ponendo molta cura nelle
operazioni di abbellimento delle pieghe
cutanee che delimitavano l'accesso alla
cavità della bocca, strumento di lavoro
di primaria importanza per l'attività
lavorativa che espletava.
Si era fatta asportare
tutti i denti della mascella e quelli
della mandibola. Lo aveva fatto,
raccontava, per praticare nel migliore
dei modi il coito orale, mentre, al
contrario, la perdita le era stata
causata da una piorrea alveolare, con
formazione di pus negli alveoli dentari,
che aveva prodotto, in poco tempo,
l'espulsione dei denti dalla loro sede
naturale.
Nadja si era specializzata
nel fare pompini. Li faceva piuttosto
bene, adoperandosi nel fare godere gli
uomini con la bocca come sapeva fare
nessun'altra puttana. Raramente i
clienti si rivolgevano a lei per
scoparla nella fica o nel didietro, come
succedeva alle sue colleghe di strada,
soltanto la bocca le chiedevano e lei
gliela dava.
Espletava il mestiere di
prostituta in prossimità del Ponte
Romano che attraversa il fiume Taro,
sulla Via Emilia, distante una decina di
chilometri dalla città. Ogni notte
occupava la striscia di marciapiede
assegnatole da chi gestiva il racket
della prostituzione in quel tratto di
strada, mostrandosi nuda, con indosso la
pelliccia, un paio di calze a rete, e
delle zeppe dai tacchi altissimi che
assomigliavano a grattacieli.
Nadja andava orgogliosa
della protesi di denti artificiali con
cui aveva sostituito quelli guasti.
Esibiva la dentatura con orgoglio,
prodigandosi in sorrisi, premurandosi di
riporre la dentiera nella borsetta prima
di succhiare il cazzo ai clienti che
andavano pazzi per le morbide gengive
della sua bocca. Era cittadina slava, di
Banja Luka, e da tre anni risiedeva in
Italia. Sosteneva di avere venticinque
anni, ma probabilmente ne aveva qualcuno
di più. Madre natura l’aveva dotata
di un corpo seducente, tette sode e un
culo sporgente privo di smagliature. La
pelle chiara, colore della luna, era ben
visibile nel buio della notte, al
contrario delle donne nere che si
prostituivano oltre il cavalcavia
dell'autostrada, verso Salsomaggiore.
Nadja succhiava il cazzo ai
clienti impreziosendo la sua azione con
gemiti di piacere che avevano lo scopo
di offrire più spessore alle fantasie
erotiche degli uomini che si appartavano
con lei. Era brava nel fare scorrere il
cazzo nella bocca e leccarlo con la
punta della lingua. Lo teneva stretto, a
contatto di labbra e gengive,
avvolgendolo d'intorno meglio della
mucosa della vagina. Lubrificava il
cazzo facendo uso di una abbondante
quantità di saliva, che si premurava di
distribuire sulla cappella, per
facilitare il flusso e il deflusso nella
cavità della bocca.
Raramente le capitava di
non portare a termine un pompino senza
che il cliente eiaculasse. La maggior
parte degli uomini prediligeva che
succhiasse il cazzo stando inginocchiata
ai loro piedi. Ormai ch'aveva fatto il
callo alle ginocchia rimanendo
genuflessa. Stare chinata le dava modo
di percepire le contrazioni dello
scheletro degli uomini che le stavano
davanti, specie mentre eiaculavano nel
preservativo, e questo le dava
soddisfazione.
Nadja era un'eccellente
professionista. Prima di attivarsi nel
succhiare il cazzo ai clienti, da cui
pretendeva d'essere pagata in anticipo,
riponeva la dentiera nella borsetta.
L'avvolgeva dentro un fazzoletto di
carta, dopodiché cominciava a contrarre
le labbra sul cazzo facendolo scorrere
fra le gengive prive di denti. Fare
eiaculare un uomo col solo movimento
delle labbra e della lingua,
lasciandogli a protezione il
preservativo, non era cosa facile, il più
delle volte si aiutava con il movimento
della mano, strizzando persino le palle
al cliente che ne traeva ulteriore
piacere.
Molti clienti erano soliti
spararsi una sega prima d'accompagnarsi
con lei, ritardando in questo modo
l'istante in cui avrebbero eiaculato.
Questo espediente la costringeva a
succhiare il cazzo in tempi più lunghi
del solito riducendo, di fatto, il
numero dei clienti da soddisfare durante
una nottata.
Egidio Tedeschi era
innamorato pazzo di Nadja. Le metteva il
cazzo in bocca almeno due volte alla
settimana. Con Nadja avvertiva
sensazioni di piacere che nessun'altra
puttana sapeva offrirgli. Avrebbe voluto
sposarla e condurla a vivere nella sua
casa di campagna. Non era un capriccio
il suo, ma una vera ossessione. Più di
una volta l'aveva implorata
d'abbandonare il marciapiede per andare
a vivere con lui.
Nadja aveva ignorato le
attenzioni di Egidio, dedicandosi
soltanto a fargli raggiungere l'orgasmo
celermente, infilandogli persino un dito
nel culo per toglierselo in fretta
d'intorno.
Ma la sera in cui Nadja gli
succhiò il cazzo senza stenderci sopra
il preservativo, e depositò nella bocca
di Egidio lo sperma appena ingoiato, lui
capì che stava nascendo un'altra storia
fra loro due.
Nadja era espatriata
clandestinamente in occidente insieme ad
altre ragazze che come lei avevano
rincorso l'illusione di diventare
fotomodelle. Invece si era trovata a
battere il marciapiede costrettavi dal
racket che l'aveva fatta espatriare.
Egidio aveva quarant'anni,
viveva da solo, e gestiva un podere di
cinquanta biolche. Avrebbe potuto
risolvere facilmente il problema della
solitudine affidandosi a una agenzia
matrimoniale, come avevano fatto molti
suoi coetanei felicemente sposati con
donne sudamericane e asiatiche. Lui
invece desiderava sposare solo una
donna: Nadja.
S'impegnò a corrispondere
la cifra di cinquantamila euro all'uomo
che faceva da protettore a Nadja per
lasciarla libera. La trattativa fu lunga
ed estenuante, infine, trovato
l'accordo, col sopraggiungere della
primavera la ragazza andò a vivere
insieme a Egidio nella casa sulla
collina.
Nadja si trovò subito a
proprio agio nella piccola azienda
agricola. Guidare il trattore New
Holland da 90 cavalli, falciare l'erba
nei campi, rivoltarla, imballarla e
collocare le balle di fieno nella
barchessa, al riparo dalla pioggia,
erano lavori che faceva con passione,
allo stesso modo con cui in passato
aveva succhiato il cazzo ai clienti.
Nel lavoro era
instancabile, si affaccendava con
entusiasmo in ogni mansione, prendendosi
cura degli animali da cortile e di Wolf,
il pastore tedesco che faceva da cane da
guardia alla cascina.
Egidio si dimostrò
soddisfatto del modo in cui Nadja si era
calata nella vita di campagna e della
scelta fatta quando le aveva proposto di
vivere accanto a lui.
L'estate trascorse
apparentemente tranquilla. Egidio e
Nadja facevano l'amore spesso,
soprattutto nelle pause di lavoro.
Desideravano avere dei figli e non
misero in atto nessuna precauzione per
evitare una gravidanza. Egidio aveva
persino smesso di farsi succhiare il
cazzo riversando tutto lo sperma che
eiaculava nella fica di Nadja per farla
rimanere incinta.
Gli acquazzoni di fine
agosto misero fine all'estate e
lasciarono posto ai colori dell'autunno.
Giunse il tempo della vendemmia e i
banchi di nebbia velarono di grigio la
pianura.
A inizio novembre le
giornate si fecero lunghe e noiose.
Nadja cominciò a patire un certo
disagio. Sembrava annoiata, nemmeno le
frequenti visite in città parevano
acquietarla.
Una mattina Egidio si
svegliò di soprassalto e non trovò
Nadja nel letto accanto a sé. Gli prese
il panico. Scese di corsa la scala che
conduceva a pianoterra, ma in nessuna
delle stanze c'era traccia della
compagna. La casa era desolatamente
vuota senza Nadja. Sulla cassapanca
davanti alla porta di casa trovò una
camicia di seta rosa, una delle tante
che la compagna era solita indossare
quando andava a dormire. Uscì nell'aia
e iniziò a gridare il nome di Nadja, ma
nessuno rispose al richiamo; solo il
chicchirichì di un gallo.
In mutande, con ai piedi
gli zoccoli, salì sulla Volvo Station
Wagon parcheggiata sotto il porticato e
prese la direzione della Via Emilia,
distante solo qualche chilometro dalla
casa di campagna. Era sconvolto, non
osava supporre che Nadja fosse fuggita
senza una spiegazione. La prima cosa che
gli passò per la mente fu di andare a
cercarla là dove l'aveva conosciuta;
fra le puttane che battevano i
marciapiedi in prossimità del Ponte Romano.
Non trovò nessuna
prostituta a presidiare le banchine ai
margini della strada. Quando a metà
mattina fece ritorno a casa, trovò Wolf,
il pastore tedesco che faceva da guardia
alla cascina, ad attenderlo. Nadja non
era in casa. Entrando nella camera da
letto notò sul comodino, dalla parte
dove lei dormiva, un bicchiere di vetro
con a fior d'acqua la dentiera della
compagna. Allora fu certo che sarebbe
tornata.
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