1968
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

 

      All’età di diciassette anni, nel 1968, volevo fare la rivoluzione. Ero una ragazza dallo spirito ribelle e mi proponevo di cambiare il mondo. A distanza di cinquant'anni, ripensandoci, quel sogno rivoluzionario mi appare persino ridicolo, ma allora ero pronta a tutto pur di realizzare quello che al giorno d'oggi potrebbe essere reputato un delirio. Ero convinta che ci fosse la concreta possibilità di costruire una società giusta, basata sull'uguaglianza, mettendo al posto dei governati democristiani, che sino allora avevano amministrato l’Italia, un governo con a capo operai e studenti perché entrambi liberi dal giogo del capitalismo. Era una illusione quella che perseguivo anche se a condividere quell'utopia eravamo in tanti, anzi, tantissimi.
   All'epoca frequentavo il quinto anno del Liceo Classico Romagnosi, la scuola più snob della provincia di Parma, ed ero prossima a sostenere l'esame di maturità. Prima dell’avvento del sessantotto ero considerata una ragazza per bene, timida e impacciata, e tale ero rimasta fintanto che, a imitazione del maggio francese, in tutte le scuole della città era scoppiata la contestazione verso un sistema scolastico che studenti e molti insegnanti consideravamo classista e obsoleto. 
   Un tipo di contestazione che all'epoca aveva saputo coinvolgere la maggioranza delle coscienze di uomini e donne appartenenti a ogni strato sociale, e a cui l’industria culturale aveva affibbiato il nome di "Contestazione generale".
   Quello che noi studenti e operai ci proponevamo era di dare maggiore significato alla nostra esistenza, cambiando una società dominata dalle disuguaglianze e io mi sentivo pronta a lottare per costruire un mondo migliore.
   Un paradiso terrestre! A quello anelavamo. So bene che era una pretesa utopica, ma come tanti altri ragazzi e ragazze della mia generazione anch’io avevo per la testa una strana idea: cambiare il mondo. Oggi non mi vergogno nell’affermare che ho vissuto un lungo sogno, ma sognare è stato bellissimo!

   All’epoca raggiungevo Parma ogni mattina partendo in pullman da Roccabianca, piccolo paese della Bassa Parmense ubicato sulla riva destra del Po. E’ li che ho trascorso gran parte della mia vita. Durante le lunghe trasferte per raggiungere dalla campagna la città ducale è accaduto che ho stretto amicizia con Andrea; l'amore dei miei diciassette anni.
   Frequentava il quinto anno del Liceo Scientifico Marconi ed era prossimo a sostenere l'esame di maturità. Di famiglia contadina abitava in una casa colonica a San Secondo, distante soltanto una manciata di chilometri da Roccabianca. Il padre lavorava la terra come mezzadro e divideva gli utili, frutto del sudato lavoro, in parti uguali con il proprietario del fondo agricolo. Andrea coadiuvava i genitori nel lavoro dei campi e nella stalla. Io invece non facevo una mazza di niente, studiavo e basta!
   Nella primavera di quell'anno, quando nelle scuole di Parma ha preso forma il movimento di contestazione, Andrea era già politicizzato. Io, al contrario, ero completamente a digiuno di politica, pur essendo sensibile alle problematiche sociali stante l'educazione cattolica che avevo ricevuto. 
   Figlia unica, cresciuta nella bambagia di una famiglia borghese, ero una ragazza viziata, coccolata, e un po’ snob. Mio padre, infatti, era notaio e da sempre sostenitore della Democrazia Cristiana. Mia madre, maestra elementare, pure lei simpatizzava per la DC.
   Tutt'e due avevano riposto nella mia persona molte delle loro aspettative. Ambivano che mi laureassi per diventare una donna importante. Quando scoprirono che, nonostante la rigida educazione ricevuta, propugnavo idee da appassionata comunista non riuscirono ad accettare la cosa.
 
   A distanza di cinquant’anni il "Sessantotto", a Roccabianca, viene ricordato dalla popolazione del paese per tre accadimenti che all’epoca suscitarono molta curiosità.
   Il primo evento, senz'altro il più importante per la sua drammaticità, riguarda le acque del Po. Infatti, quell’anno avevano minacciato di rompere gli argini e soltanto un miracolo aveva salvato il paese dall'alluvione. Era stata la piena più consistente e pericolosa del fiume dopo quella disastrosa del 1951, che a tutt'oggi vive nella memoria collettiva di chi ne è stato testimone, e che a più riprese mi è stata raccontata dagli anziani del paese.
    Il secondo evento, non meno importante del primo per il clamore che aveva suscitato fra la gente, aveva portato alla ribalta nazionale il paese. Infatti, contrariamente a quanto era accaduto sino a quel momento, la casa di produzione proprietaria dei diritti cinematografici della serie di film con protagonisti Don Camillo e Peppone, pareva intenzionata a effettuare le riprese dell'ennesimo film della saga, tratto dai libri di Giovanni Guareschi, a Roccabianca anziché Brescello come era accaduto sino allora.
   La notizia, ne aveva del clamoroso e aveva provocato un grande scompiglio nella popolazione. Ma l'informazione, riportata a caratteri cubitali dai quotidiani locali, si era rivelata una bufala di cui non si è mai scoperto l'autore.
   Del terzo evento, quello che considero il più importante, ne sono stata involontaria protagonista. Il 26 dicembre, all'inaugurazione della stagione operistica del Teatro Regio, fra la folla di contestatori assiepati davanti all'ingresso del teatro a contestare la stagione lirica c'ero anch'io.
   In quella occasione non ero stata arrestata, ma l'immagine del mio volto era comparsa sulla prima pagina della Gazzetta di Parma, insieme a quella di altri contestatori, mentre tiravamo uova marce contro il sindaco di Parma affacciatosi sulla porta d'ingresso del teatro. La notizia aveva portato parecchio scompiglio nella piccola comunità del paese e condotto alla disperazione i miei genitori.
   Ma l'evento senz’altro più importante di quell'anno, a pensarci bene, è che mi ero innamorata di Andrea, la persona che più di ogni altra ha contribuito a farmi crescere intellettualmente, e a cui avevo lasciato in dono la verginità. 
   La nostra storia d'amore ha avuto inizio in quei travolgenti giorni di esaltazione e passione, culminati nell'occupazione di gran parte delle scuole della città e della sede centrale dell'Università in Via Cavestro.
   Le prime manifestazioni studentesche in città avevano avuto inizio a fine inverno 1967, ancora prima delle rabbiose contestazioni del maggio francese. Contagiata dal clima di ribellione che aleggiava dentro e fuori il liceo Romagnosi mi ero ritrovata, in più di una occasione, a manifestare in corteo per le strade della città contro un sistema, quello scolastico, che noi studenti giudicavamo arretrato e lontano dalla realtà sociale in cui vivevamo.
   "L'immaginazione al potere", "Tutto e subito", "Vietato vietare". Slogan gridati sulle barricate dagli studenti dall'università della Sorbona, erano soltanto alcune delle frasi che avevamo fatto nostre portando scompiglio nelle coscienze della popolazione studentesca della città, ma anche fra gli insegnati, molti dei quali avevano preso le nostre parti. Quelle frasi e le idee di libertà che propugnavamo avevano contaminato anche vasti strati della popolazione, soprattutto gli operai delle grandi fabbriche.
   Erano idee importanti quelle che sostenevamo, infatti, negli anni successivi, quelle stesse idee avevano contribuito a determinare un radicale cambiamento nel modo di pensare e nel tessuto sociale della città. In quel periodo storico nessuno era rimasto immune alle idee di rinnovamento che a macchia d'olio si erano propagate fra la popolazione. A distanza di cinquant’anni il tempo ne è testimone.
   In quelle giornate d'inizio primavera avevo pensato che il mondo da lì a poco sarebbe cambiato. E non lo avevo pensato soltanto in termini idealistici, infatti, insieme ai miei compagni di scuola e agli operai delle fabbriche ero scesa più volte per le strade a manifestare, condividendo con loro la gioia e la speranza che nella società che si stava riformando sarebbe cambiato tutto e subito.
   E’ accaduto durante quei giorni di contestazione che mi sono innamorata di Andrea. Eravamo diventati inseparabili anche se frequentavamo istituti scolastici diversi. Prima di conoscerlo filavo d'amore e d'accordo con Carlo, un ragazzo di città, iscritto al secondo anno della facoltà di Medicina. Un tipo di ragazzo che mostrava d'avere la testa a posto, al contrario di Andrea che non aveva ancora deciso cosa fare una volta ottenuto il diploma di maturità scientifica, a parte la rivoluzione.
   Nonostante tutt'e due fossimo ormai prossimi all'esame di maturità consumavamo intere giornate a discutere di politica in interminabili assemblee di studenti e operai, ma soprattutto seduti ai tavoli di qualche osteria dell'Oltretorrente, specie in quella del Sordo o dell'Oca Morta, locali poco distanti dal Liceo Marconi, dove ci intrattenevamo a bere, mangiare e giocare alle carte.
   Mi sono innamorata di Andrea senza rendermene conto, standogli accanto in quei giorni di lotta e contestazione generale. Lui era un vero leader, sempre in prima fila nelle manifestazioni, pronto a prendere la parola quando c'era da cogliere importanti decisioni nelle calde assemblee scolastiche.
  In quei giorni di contestazione avevo persino cambiato il modo di vestire, irretendo non poco mia madre che si era meravigliata nel vedermi preferire un abbigliamento casual a quello tradizionale che sino allora aveva contraddistinto la mia persona, specie quando mi aveva visto arrivare a casa con indosso l'eskimo, un cappotto militare con l'interno di pelo bianco che in quel periodo furoreggiava fra i compagni del movimento studentesco.
   Credo che la generazione a cui appartengo, quella del sessantotto, sia stata una generazione molto fortunata rispetto a tutte quelle che si sono succedute, perché a differenza dei ragazzi d'oggi avevamo una fede assoluta negli ideali, anche in quelli come il comunismo che, ahimè, si sono rivelati sbagliati, anche se a distanza di molti anni, sento ancora sulla pelle molte di quelle idee perché esprimono valori di solidarietà.

   La mia storia con Andrea ha avuto inizio nel buio di un cinema. Un pomeriggio, dopo l'ennesimo sciopero di protesta indetto dal Movimento Studentesco, cui aveva fatto seguito un corteo di manifestanti per le vie della città, io e Andrea c’eravamo intrattenuti all'osteria del Sordo con un gruppo di compagni. Tutt'a un tratto una delle ragazze aveva lanciato la proposta di recarci al cinema.
   C’era voluto un po’ di tempo per metterci d'accordo, discutendo sulla scelta della pellicola d’andare a vedere. Potrei sbagliare, ma credo che in ballo ci fossero stati tre film.
   "La strana coppia" con protagonisti Jack Lemmon e Walter Matthau aveva raccolto soprattutto i favori delle ragazze, mentre "Grazie Zia" un film erotico con Lisa Gastoni e Lou Castel aveva trovato l'approvazione di tutti i maschi. Andrea aveva proposto come alternativa "La notte dei morti viventi" un film horror opera prima di un regista, George Romero, del tutto sconosciuto, ma che in seguito sarebbe diventato il più celebre film horror di tutti i tempi.
   Dopo tanto discutere c’eravamo divisi in diversi gruppi. Io e Andrea, in compagnia di altre quattro coppie, avevamo preso la decisione di assistere alla proiezione del film “Grazie Zia”.

   Alle quattro del pomeriggio, dopo avere staccato il biglietto d'ingresso alla cassa del Cinema Pace, avevamo messo piede in platea. Il cinema distava solo un centinaio di metri da Piazza S. Croce dove, a proiezione conclusa, sarei dovuta salire, insieme ad Andrea, sulla corriera che ci avrebbe condotto a San Secondo e Roccabianca.
   A metà platea avevamo occupato una intera fila di poltrone  Andrea aveva preso posto accanto a me, sulla poltrona che confinava con il corridoio centrale della sala.
   Lisa Gastoni, bellissima protagonista della pellicola, incarnava la parte di una zia, quarantenne, sedotta dal nipote. L'audace e torbido rapporto non aveva mancato di eccitarmi, soprattutto per una serie di morbosi giochi erotici, davvero sensuali, presenti nella vicenda narrata sullo schermo.
   A quell'età bastava poco per scompigliarmi gli ormoni del sesso. Stavo guardando con interesse le immagini bianco e nero proiettate sullo schermo, quando Andrea prese a sfiorarmi il ginocchio contro il suo. Lì per lì avevo considerato la cosa del tutto casuale, ma dopo avere rinnovato il gesto più volte allora mi ero convinta che il movimento del ginocchio, strusciato contro il mio, era intenzionale e la cosa mi aveva messo in imbarazzo.
   Non avevo scostato la gamba, lasciando Andrea libero di proseguire nella sua opera di seduzione eccitata dall’ostinato contatto del ginocchio contro il mio. Mentre le immagini scorrevano sullo schermo non pensavo ad altro che al cazzo di Andrea e alle sue dimensioni.
   Doveva averlo duro, mi ero trovata a pensare, perché anch'io avevo la figa in liquefazione. Tutt'a un tratto mi ero ritrovata con la sua mano appoggiata sulla coscia. Terrorizzata gliel’avevo scostata respingendo la sua avance.
   Sennonché non si era dato per vinto, infatti, qualche istante dopo era tornato alla carica lasciando cadere ancora una volta la mano all'interno della coscia. Stavolta non mi ero ritratta e l’avevo lasciato fare, lasciando che seguitasse a palparmi.
   Incoraggiato dalla mia remissività aveva spostato le dita dal ginocchio verso le cosce e viceversa con movimenti lenti.
   Eccitata mi ero trovata con fiato sospeso. L'aria sembrava non volermi più uscire dai polmoni e il cuore mi palpitava. Non mi era mai accaduto di trovarmi in quello stato, nemmeno con Carlo; il mio ragazzo.
   Le coppie dei nostri amici, che nella platea del cinema occupavano le poltrone accanto alle nostre, stavano subendo gli effetti dei giochi erotici inventati da Salvatore Samperi, regista della pellicola, perché ragazzi e ragazze avevano già cominciato a limonarsi. Soltanto io e Andrea non lo avevamo fatto.
   Tutt’a un tratto Andrea aveva ritratto la mano dalla mia coscia lasciandomi delusa. Invece dopo qualche istante aveva appoggiato la mano sulla mia, sistemata sul bracciolo della poltrona, e l’aveva accompagnata sulla patta dei suoi pantaloni.
   Aveva il cazzo duro e la cosa non mi aveva sorpreso. Non mi ero sottratta alla stretta e nemmeno avevo opposto alcuna resistenza, anzi, avevo trovato piacevole strofinare la mano sul cazzo protetto dal tessuto dei pantaloni. Non ricordo in che modo da lì a poco ero venuta a trovarmi con la mano infilata nella fessura che si era aperta nella patta dei pantaloni impegnata a fargli una sega eccitata dalla situazione in cui ero venuta a trovarmi.
   Dopo un po' che glielo menavo Andrea si era alzato in piedi e mi aveva invitato a seguirlo. Non avevo nessuna idea di quali fossero le sue intenzioni e dove stava conducendomi ma l’avevo seguito senza protestare.
   La porta d’accesso ai bagni delle donne al pari di quelli riservato ai maschi si trovava in un angolo buio a monte della platea. Avevo seguito Andrea dappresso dentro uno dei cessi lasciando chiudesse la porta col chiavistello dietro di sé. Immobile, con le gambe che mi tremavano per l'eccitazione, la schiena appoggiata alle mattonelle del muro, davanti alla turca, ero rimasta in attesa che il mio compagno effettuasse la prossima mossa.
   Andrea mi aveva cinto le natiche con entrambe le mani e attirata a sé. Una volta lasciate cadere le labbra sulle mie, mi aveva penetrato la bocca con la lingua. Avevamo seguitato a lungo a titillare le lingue una contro l'altra mentre l'umido della mia saliva, mischiata alla sua, colava copioso sul mio mento.
   Avido del mio corpo mi sciolse la cinghia dei pantaloni. I jeans si afflosciarono sul pavimento depositandosi tra le mie caviglie. Ero vergine ma ero disposta a perdere la purezza se Andrea l'avesse voluto. Invece Andrea si era inginocchiato ai miei piedi, dopodiché aggrappandosi con le mani al sottile elastico delle mutandine le aveva fatte scendere, scoprendomi il pube poco per volta.
   Avevo la figa bagna fradicia e me ne vergognavo, ma Andrea dava l’impressione di non farci troppo caso. Si era incuneato con le guance fra le mie cosce costringendomi a divaricare le gambe. Nessuno prima di lui lo aveva mai fatto, nemmeno Carlo, il mio moroso.
   Non ero preparata a quel gesto, speravo che mi scopasse e ne ero rimasta delusa. Ma appena aveva incominciato a leccarmi le labbra della figa mi era montato un piacere che era la fine del mondo. Avevo cominciato a gemere di piacere allietata dai movimenti della lingua che mi leccava con insistenza. Presa com’ero dall’eccitazione mi era venuto spontaneo mettergli tutt'e due le mani sul capo e rimorchiarlo verso la figa mentre dalla bocca mi uscivano dei gemiti che non avevo saputo trattenere.
   Avevo raggiunto l'orgasmo mentre Andrea mi succhiava il clitoride, con le gambe che mi tremavano, e la figa che fumava per l'eccitazione.
   Mi ero accucciata con il culo sul pavimento del cesso esausta. In trance com’ero per la troppa eccitazione dell’orgasmo raggiunto non avevo fatto caso ad Andrea impegnato a slacciarsi le braghe. Qualche istante dopo mi ero ritrovata in ginocchio davanti a lui con la cappella davanti alla bocca senza sapere cosa fare.
   Seghe a Carlo ne avevo fatte, qualcuna, ma pompini no, quelli mai. Pensavo fosse una cosa sporca. E con Andrea avevo esitato prima di prenderlo in bocca, il cazzo, ma dopo avere cominciato a fare scorrere la cappella, umida di un liquido filamentoso, fra le labbra avevo compreso che la cosa era meravigliosa per entrambi.
   Andrea era venuto nella mia bocca scaricandomi in gola una grande quantità di sperma che a fatica mi ero sforzata di deglutire. Ci aveva pensato lui, baciandomi, a trarmi d'impaccio asportandone in parte nella sua bocca.
   Il pomeriggio trascorso insieme al cinema era coinciso con l'inizio della nostra storia. Dopo di allora eravamo diventati inseparabili e tali li siamo rimasti per un paio di anni, fintanto che era partito per il servizio militare.
   Durante quei lunghi mesi di lontananza mi sono innamora di Francesco, il ragazzo che in seguito è diventato mio marito e da cui ho avuto un paio di figli.
   Dopo la laurea speravo di intraprendere la carriera di ricercatrice universitaria, invece ho finito per collaborare con mio padre nella sua attività notarile, lavoro che faccio tutt'ora.
   Di recente ho saputo che Andrea si è separato dalla moglie. Adesso convive con una donna rumena che per alcuni anni ha fatto da badante a sua madre. Gestisce una stazione di servizio per il rifornimento di carburante sulla strada provinciale per Parma. Ogni tanto, se capita, mi fermo a fare il pieno di benzina da lui. Spesso ci soffermiamo a parlare di quando eravamo giovani e contestatori.
   A tutt'oggi sono ancora della idea che il sessantotto ha lasciato dei cambiamenti indelebili nella coscienza della gente. Quell'anno è stato l'inizio di una vera e propria rivoluzione culturale, a cominciare dai costumi, alla musica, al cinema, all'abbigliamento, alle idee, alle istanze, ai diritti, alla presa di coscienza di quei valori di libertà e solidarietà che sono diventati patrimonio comune delle persone, ma a cui i giovani d'oggi sembrano dare poca importanza.
   Cosa mi è rimasto di quegli anni? Non lo so, ma spero di essere rimasta quella che ero quando avevo diciassette anni anche se adesso non ne sono più molto sicura.

 

 
 

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